GLI ANNI GRIGI


Franz Jung

 



(...) Dovevo anche andare a Roma almeno una volta alla settimana per comprare diversi materiali. Non era raro che perdessi la corriera di ritorno e dovessi restare a Roma per una notte. Il mercato nero in Piazza Vittorio Emmanuele resterà uno di quegli straordinari ricordi che non si dimenticano più. Nei primi anni dopo la Rivoluzione ho visto il mercato di Sucharevka a Mosca, e anche i mercati delle pulci di Parigi e Londra: sono tutti provinciali in confronto al Vittorio. In se e per se il mercato era assolutamente proibito. Nelle stradine laterali e adiacenti pattugliavano i carabinieri, ma nella piazza medesima non si vedeva l'ombra di una divisa. Decine di migliaia di venditori, ognuno dei quali aveva un bancarella fissa, per la quale doveva probabilmente pagare un fitto a una qualche organizzazione, certamente non al comune o alla polizia. Le autorità lasciavano fare, anche perché non sarebbero state certamente in grado di sopprimere il mercato nero. I prezzi erano prestabiliti e venivano fissati quotidianamente - in che modo, non sono mai riuscito a capirlo. La disciplina che il mercato si dava autonomamente era degna di ammirazione. Il giorno in cui arrivò in visita a Roma Fiorello La Guardia, il sindaco di New York che aveva patrocinato gli aiuti americani all'Italia, la piazza del mercato restò assolutamente deserta, quando a cose normali si potevano osservare qua e là dei venditori anche di notte. Quel giorno invece, nessuna bancarella, nessun venditore e perfino nessuno spettatore. L'amministrazione comunale aveva diffuso un appello affinché l'italo-americano La Guardia fosse accolto "degnamente" - non una parola esplicita che vietasse il mercato nero. Gli italiani avevano capito anche così. In definitiva era proprio quell'americano a spedire in Italia le mercanzie che si vendevano in piazza.

Per il resto, a Roma non c'era niente che non valesse anche per qualunque altra metropoli. Certi aspetti potevano sembrare più coloriti che altrove, più corrispondenti allo spirito e al carattere del posto. C'erano i bari che tenevano i loro piccoli raggiri tra le nicchie delle mura dei bagni di Caracalla, i pataccari, che vendevano stoffe, orologi d'oro, orecchini e diamanti - ma non mi riuscì di scoprire delle truffe particolarmente nuove od originali: si metteva un oggetto rubato in tasca ad un malcapitato, il quale veniva arrestato da autentiche o fittizie forze dell'ordine, gli venivano sequestrati i documenti di identità e il poveraccio poi doveva ricomprarli a caro prezzo. Chi si ribellava alla frode veniva pestato malamente. Ma quello accadeva dappertutto. Non c'era niente di sostanzialmente nuovo nemmeno nei tranelli organizzati dalle prostitute della stazione.

Per contro, il sacco di sabbia mi è rimasto vivido nel ricordo. Gli alberi di mimose in fiore nel quartiere di Nomentana non mi fecero impressione, ma il sacco di sabbia mi colpì vivamente. Nei vicoli stretti della riva sinistra del Tevere, più o meno di fronte al Castel Sant'Angelo (un'imponente costruzione), si era consolidato il costume di colpire i passanti con un sacco di sabbia, il quale veniva legato ad un cordone elastico che lo faceva ritornare al lanciatore. Quest'ultimo restava ben nascosto negli antri oscuri dei palazzi. Spesso il primo lancio era solo una finta. La vittima si spostava scioccata sull'altro lato del vicolo, dove diventava un ottimo bersaglio per un secondo lancio con l'elastico, che partiva da un palazzo dall'altra parte della strada. La maggior parte delle volte il lancio risultava letale, poiché spappolava il cranio. La vittima più tardi veniva trasportata sulle spallette del Lungotevere e da lì veniva buttata nel fiume. L'intero quartiere era stato dichiarato 'off limit' dalle autorità: avevano escogitato un pretesto per escluderlo dalle ronde delle forze dell'ordine, la verità era che non avrebbero potuto comunque farci niente. Il quartiere era popolato dagli intermediari per i grossi venditori del mercato nero, dai trafficanti di sigarette e di droghe. A quel tempo i grandi piroscafi oceanici avevano ricominciato ad attraccare a Civitavecchia - una località divenuta famosa come porto di contrabbandieri per merito di Stendhal. I marinai da Civitavecchia poi si recavano a Roma, dove puntualmente restavano vittime dei sacchi di sabbia.

Nessuno si aspetti che di Roma ricordi altrimenti qualche altro particolare degno di nota. Macerie ce n'erano come dappertutto, ma i resti del Foro Romano avevano l'aspetto di venire ripuliti e messi in ordine quotidianamente per i visitatori. Nel Colosseo avrei talvolta dormito volentieri, invece di vagare a vuoto per le strade deserte fino all'alba. Gli antri dei piani inferiori però erano occupati da utenti fissi che non tolleravano l'intrusione di estranei. Quel che restava dei piani superiori veniva affittato alle coppiette in cerca di intimità da un'organizzazione che sembrava piuttosto potente. I resti scalcinati erano riservati ai gatti e ai ratti, ma solo durante la notte; durante il giorno, alle guide turistiche.

Non sono così ignorante da non aver notato alcune chiese barocche. Avrei potuto ripararvi per sedere e meditare nell'oscurità, ma a quel tempo non ero nella disposizione di spirito adatta.

Cercai di scoprire che fine avevano fatto due compagni italiani che a suo tempo avevo aiutato a venir via da Mosca contro il volere del Comintern. Entrambi erano membri del Partito Comunista Italiano, ma all'epoca si trovavano all'opposizione rispetto alla dirigenza. L'uno era un quadro dirigente della federazione giovanile internazionale, l'altro il segretario di una sezione dell'Italia Settentrionale che aveva promosso l'occupazione di alcune fabbriche e il sabotaggio della produzione. Entrambi erano stati spediti al freddo per molto tempo, dimenticati o liquidati dalle successive dirigenze. Il coraggio con cui avevano tenuto testa ai gerarchi del Comintern mi aveva fatto una straordinaria impressione.

A quel tempo ero ancora in grado di emettere i lasciapassare del Soccorso Operaio Internazionale; su nomi e persone poi nessuno faceva ulteriori domande. In tal modo i due riuscirono a fuoriuscire dall'Unione sovietica.

Il primo, Terracini, era stato per molti anni Presidente del Senato italiano; al tempo in cui capitai in Italia era l'uomo più potente della Repubblica. Ma non mi provai nemmeno a contattarlo. Poteva sembrare che volessi incassare un credito. Terracini era perfino riuscito a portare via dal paese la sua ragazza, che apparteneva alla federazione giovanile russa.

L'altro era il mio amico Bombacci. Lo avevo conosciuto a Mosca, al tempo in cui era stato incaricato di giustificare di fronte al Comintern le occupazioni da parte dei consigli di fabbrica. Ci incontrammo in seguito un paio di volte a Berlino, poi ci perdemmo di vista. In verità non avevo fatto nulla per mantenere i contatti.

A Roma ebbi modo di apprendere come Bombacci fosse stato gradualmente allontanato dalla sua posizione all'interno del partito, e perfino dalle cellule separatiste le quali, come era accaduto anche in Germania, avevano tentato di costituire una Quarta Internazionale indipendente da Mosca. Oggi di quelle cellule sopravvive qualche resto, la loro centrale è un istituto scientifico di Amsterdam da cui mi fu possibile apprendere qualche notizia sul destino di Bombacci.

Per quanto la storiografia politica possa oggi considerare grottesca la figura di Mussolini, ai suoi primordi la contraddizione permanente tra intenti rivoluzionar-socialisti e brama di potere fu la caratteristica fondamentale che infine ne fece lo spauracchio fascista. Lo stesso Mussolini dubitava all'apice del suo potere che la forma di mobilitazione delle masse da lui prescelta fosse sufficiente "a mantenere intatta l'anima del popolo italiano".

Mussolini espresse dettagliatamente queste considerazioni in un resoconto pubblicato dopo la sua liberazione contro il volere delle autorità tedesche in Italia. Notoriamente proprio da quel momento Mussolini cadde "prigioniero", nello specifico dei suoi alleati tedeschi.

L'attiva politicizzazione del popolo italiano si compì a spese della classe lavoratrice, e a vantaggio dei ceti piccolo-borghesi, i quali erano tenuti al guinzaglio da latifondisti, nobiltà reazionaria e Vaticano. Mussolini lo aveva riconosciuto, ma era già troppo prigioniero del suo stesso seguito per poter mutare indirizzo. È stato forse l'unico a prevedere con lucidità il crollo della sua stessa ideologia.

Proprio la necessità di procurarsi tempestivamente una carta di riserva nell'eventualità del fallimento lo indusse a mettere in fresco, per così dire, un gran numero di socialisti d'ogni sorta, rivoluzionari, anarchici e anche ogni genere di elementi sradicati dei ceti intellettuali. Questo processo dovette prolungarsi durante il ventennio per un arco di tempo considerevole. Io non conosco i dettagli della procedura con cui venne reclutata questa riserva e con quali metodi i singoli candidati venissero costretti a collaborare. La maggior parte venne probabilmente minacciata col confino, altri forse si ricomprarono in tal modo la libertà perduta.

Mussolini riuscì senza sollevare troppe attenzioni, coadiuvato da una squadra di stretti collaboratori, a collocare tali individui nei quadri medio-bassi dell'apparato statale, probabilmente sotto le apparenze di un servizio di sicurezza per gli affari interni con mansioni speciali. Per coloro i quali invece sorgevano complicazioni personali o caratteriali venivano riservati dei posti esclusivi in un Istituto Internazionale di Cinematografia. L'istituto pubblicava mensilmente una rivista dotata di ingenti mezzi finanziari, la quale senza risparmiare sui costi pubblicava reportages da ogni angolo del mondo, con approfondimenti tematici, inserti illustrati e cose di questo genere. In quell'istituto lavoravano decine di "nemici dello stato" verso i quali, come si diceva, il duce nutriva un grosso interesse.

L'aspetto straordinario di quella faccenda consisteva però nel fatto che nessuna delle "riserve" capiva un'acca di cinema, arte, pubblicità e pubbliche relazioni. Come mi venne riferito poi, passavano il tempo a sfogliare "pagine bianche".

In quell'instituto, in una stanza riservata alla redazione, sedevano alla scrivania uno di fronte all'altro Bombacci e il già menzionato Gasbarra. In questo frangente devo attenermi a quanto riferitomi dal Dott. Gasbarra, secondo il quale tra i collaboratori dell'istituto non venivano coltivate relazioni anche solo vagamente personali. Esteriormente apparivano tutti come sostenitori del regime, con la spilla fascista appuntata al bavero, per cui ognuno pensava soprattutto ai fatti suoi. Bombacci e Gasbarra scambiarono durante tutto quel periodo non più di un paio di parole al giorno. L'unico ricordo di Gasbarra è che Bombacci scriveva ad un diario dell'epoca di grosso respiro.

Il comunista Gasbarra venne trasferito a un certo punto al notiziario, nella sezione estera della radio italiana, in qualità di speaker tedesco delle notizie militari.

Il comunista Bombacci venne invece riservato per l'ultima fase del regime, la Repubblica di Salò, dal nome di una cittadina sul Lago di Garda. Mussolini lo nominò Ministro del Lavoro del nuovo governo.

Tutti i socialisti che ho interpellato sono concordi nell'affermare come ogni attività del governo di Salò partisse, in gran parte aggirando la sorveglianza tedesca, dal Ministero del Lavoro. Era Bombacci a scrivere i discorsi con i quali Mussolini cercava di riallacciarsi all'Internazionale dei Lavoratori. Fu lui inoltre a porre le basi per una nuova legge sociale, per la liquidazione dello stato cooperativo, nonché per la ricostituzione dei sindacati pre-fascisti.

Non ho alcuna prova di questo, ma è da tutti considerato assodato, ad esclusione dell'apparato comunista ufficiale, che Bombacci avesse stabilito un collegamento diretto con Mosca, probabilmente attraverso Tito. Bombacci aveva preparato una bozza di accordo tra Mosca e la Repubblica di Salò - secondo fonte sicura lo avrebbe perfino sottoscritto -, che prevedeva in caso di irrigidimento dei fronti un intervento russo a coprire la marcia delle unità partigiane slovene e croate nell'Italia Settentrionale. Praticamente a ciò avrebbe fatto seguito un'alleanza militare tra l'Unione sovietica e la Repubblica di Salò. Riconoscendo ufficialmente la Repubblica sociale i Russi avrebbero guadagnato una pezza d'appoggio sul fianco alleato meridionale. In quel caso Mussolini sarebbe stato ben disposto, con l'appoggio sovietico, a mobilitare il popolo italiano per l'indipendenza.

Nel caso di un cambio di rotta alleato, che all'inizio del 1945 sembrava plausibile, a favore di un'alleanza con la Germania che impedisse l'avanzata dell'Armata Rossa nell'Europa Occidentale, l'accordo di Mussolini con Mosca si sarebbe rivelato un'efficace contromossa.

Le cose però andarono in ben altro modo. Nel Consiglio Supremo alleato Churchill non riuscì a imporsi. Il fronte comune contro la Germania, per quanto indebolito, rimase in piedi.

Vittima di ciò restò Mussolini e la Repubblica di Salò.

I particolari sulla fine di Mussolini sono ben noti e non è necessario quindi che io li rievochi in questa sede. Meno noto è il fatto che il reparto di partigiani che catturò Mussolini era il medesimo che lo stesso Mussolini, o più probabilmente Bombacci, aveva ingaggiato per la protezione del governo. Mussolini e il suo seguito di membri del governo e amici fidati avrebbero dovuto riparare in Svizzera sotto l'egida di un reparto di SS istruito da Berlino. Dopo che Bombacci ebbe allertato l'unità di collegamento partigiana attraverso la quale passava il contatto con i Russi, il reparto di SS fu costretto a ritirarsi in un paesino limitrofo, dove restarono anche i quattro autocarri con gli effetti e il cosiddetto tesoro del regime. Nel frattempo tra il reparto di SS e l'unità partigiana dovettero intercorrere delle trattative. L'oggetto della contesa era la spartizione del tesoro del regime che era stato trasportato via da Salò.

I cercatori di tesori dei villaggi intorno al Lago di Garda possono pure dormire sonni tranquilli. L'oro non verrà mai trovato, a parte qualche moneta sparsa qua e là, con le quali - come riportano i giornali di quando in quando - i bambini giocano per strada. L'oro, ovvero il tesoro del regime, è stato da tempo spartito. È stato spartito perfino ben prima che il seguito di Mussolini passasse sotto la tutela del comando partigiano.

In Italia le associazioni dei partigiani disputano ancora sull'entità delle quote della spartizione, che è diventata di pubblico dominio attraverso le indiscrezioni degli esclusi. Dalla parte tedesca dell'affare si sente molto meno. Lo stato maggiore avrà preso in consegna l'oro dal reparto delle SS. Sospetto che l'espatrio dei nazisti verso l'Argentina, che passava per Roma, non sarebbe stato possibile senza la protezione del comando partigiano, il quale in quelle settimane aveva in Italia il controllo assoluto della situazione.

Il fatto è che i reparti partigiani incaricati di proteggere l'espatrio di Mussolini non erano interessati in primis al tesoro del regime, il quale entrò in causa solo in un secondo momento.

La missione prioritaria consisteva nel mettere al sicuro i documenti, i contratti e la bozza di accordo sull'alleanza militare russo-italiana. Dei documenti non si venne a sapere nulla, e certamente non salteranno più fuori. Vennero messi al sicuro liquidando tutte le parti in causa. Prima che Mussolini e poi la Petacci venissero uccisi nella fase di pulizia, Bombacci cercò di mettersi in contatto con il comando che aveva incaricato l'unità partigiana. Aveva appena attraversato la soglia per recarsi dal comandante quando venne freddato sul posto, il primo della serie. Dapprima si diffuse la notizia che le due sentinelle avessero fatto fuoco accidentalmente, senza avere ordini in merito. Si era cercato di metter su una versione che consentisse eventualmente una riabilitazione postuma. Del resto anche le due sentinelle vennero uccise, la prima addirittura il giorno stesso in una lite tra ubriachi, l'altra un paio d'anni più tardi, in coincidenza con l'inizio della discussione parlamentare sull'uccisione di Mussolini.

Questa fu la fine di Bombacci. Era un mio amico. Non conosco i dettagli della sua relazione con Mussolini. Non mi interessano, così come non mi interessano le leggende che vengono sparse in giro da destra a sinistra. Bombacci resta un mio amico, nella memoria ancora oggi.

(Traduzione di Antonello Piana)



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