GLI ANNI ROSSI


Franz Jung

 



"Qual'era il senso?

A quell'epoca... per scoprirlo, si levò dalle file della KAPD la proposta di inviare una delegazione a Mosca, allo scopo di scongiurare l'apatia politica e la cadaverica obbedienza che avevano condotto alla diminuzione dei tesserati. (...)

Risultò che nessuno dei quadri dirigenti era disposto ad offrirsi per il viaggio. Il fallimento era evidentemente prevedibile in partenza. (...)

Infine io mi dichiarai disponibile. Come socio nell'impresa mi venne assegnato il compagno Jan Appel. Avremmo potuto contare solo su noi stessi. Presi in consegna i documenti di identificazione, una serie di risoluzioni approvate, le linee guida da seguire nelle trattative - e per il partito la delegazione era già pronta per il viaggio.

Ho premesso tutto questo affinché quel che sto per raccontare venga posto sotto la debita luce.

Non ho intenzione di riferire solo un paio di avventure, nemmeno nell'ambito di questo libro che pure si concentra sugli aspetti più fatui dell'esistenza. Nondimeno resta mio dovere giustificare tali avventure, e in tal senso non posso evitare di elencarle; detto con franchezza - tutto ciò non mi diverte molto. Di tali peripezie cerco di afferrare il significato più profondo per il mio sviluppo successivo. Cerco tali motivazioni anche per giudicarle più dall'esterno, nel contesto dei processi sociali e politici. In ogni caso resto l'unico responsabile di tali giudizi. Non avverto neanche il bisogno di confrontarmi con chicchessìa. Questi fogli sono la mia Cronaca, e di nessun'altro.

Sotto bandiera rossa verso l'Unione Sovietica

Dalla sezione di Amburgo un marinaio di nome Knüfgen aveva segnalato che il vaporetto Senator Schröder della flotta peschereccia di Cuxhaven sarebbe presto salpato alla volta del Mar Bianco. Si trattava della sua prima spedizione peschereccia in quelle acque, che in altri tempi venivano invece solcate piuttosto regolarmente da imbarcazioni tedesche. Il capitano avrebbe dovuto incontrarsi con una commissione sovietica, e tramite quest'ultima avremmo dovuto essere accompagnati a terra nella baia di Murmansk.

Ci mettemmo subito in contatto con tale Knüfgen. Avremmo dovuto incontrarlo in casa di suo cognato, il quale lavorava sia come carpentiere in un villaggio della costa frisone orientale, sia come ufficiale di coperta a bordo del Senator Schröder . L'uomo non era affatto al corrente di quanto Knüfgen aveva riferito ad Amburgo, ma ci assicurò che per lui non sarebbe stato difficile imbarcarci clandestinamente.

Prima ancora che avessimo modo di discutere quell'inattesa novità - non avevamo affatto messo in conto la necessità di viaggiare come clandestini -, Knüfgen comparve affermando di avere appena incontrato il capitano: del viaggio non era stata ancora decisa l'esatta partenza, ma per il resto i preparativi erano a buon punto; Knüfgen aveva anche conferito con l'equipaggio, dapprima saremmo dovuti salire a bordo clandestinamente, giusto per non mettere in difficoltà il capitano di fronte dell'armatore. Saremmo dovuti salire a bordo quella stessa notte, poiché veniva dato per sicuro che il peschereccio avrebbe preso il mare il giorno successivo.

Knüfgen sembrava già aver discusso ogni dettaglio con la sezione locale. Non ci passò per la testa di porre ulteriori domande, e così gli affidammo il denaro assegnatoci dal partito... avrebbe pensato lui alle provviste e anche agli alcolici che avrebbero dovuto tenere di buon umore la ciurma.

Salimmo a bordo quella stessa notte.

Su quel viaggio la stampa riferì a titoli cubitali, con ornamenti fantasiosi per quanto riguarda la mia persona. Quel che posso dire oggi: il viaggio non fu niente di particolarmente eccitante, le cose imboccarono il loro corso semplicemente, senza eroismi di sorta. Certamente occorse fronteggiare difficoltà impreviste, ma ciò rientra nella natura intrinseca del viaggio.

Prima che l'equipaggio rientrasse a bordo, venimmo alloggiati dentro le cassepanche che correvano intorno al lungo tavolo al centro della cabina di soggiorno della ciurma. Nessuno dei membri dell'equipaggio era al corrente della nostra presenza. Quelle cassepanche contenevano strumenti e materiali dell'ufficiale di coperta, per cui ci offrivano una certa garanzia di non venir scoperti prima del tempo. L'aria all'interno era pesante e molto scarsa.

Occorreva tempo per abituare il sistema respiratorio a quella sistemazione. Sospettai che in caso di decesso di un membro della ciurma quelle casse venissero utilizzate come bare da issarsi fuori bordo: lunghezza, larghezza e altezza corrispondevano.

Il giorno successivo udimmo dalla bocca dei marinai - i loro occasionali commenti ci giungevano molto attutiti - che la partenza del peschereccio era prevista per l'indomani. Durante il giorno, quando la ciurma era a terra o al lavoro sul ponte, l'ufficiale di coperta veniva a sincerarsi di quando in quando delle nostre condizioni. Sollevava il coperchio con prudenza e ci incoraggiava: respirate liberamente! Non sarà una cosa lunga...

Dopo la prima notte eravamo così deboli che non avevamo la forza di nutrirci, troppo deboli perfino per prendere una decisione del tipo: lasciar perdere subito tutto. Per tutto il giorno non vedemmo né sentimmo Knüfgen. (...)

Circa all'altezza della nave-faro Elba I , venni tirato fuori dalla cassapanca. Talvolta mi capita ancora di ripensare alle facce dei marinai alla nostra vista; non sarebbero potute essere più sbalordite se fossi caduto direttamente dalla luna.

Accalorandosi notevolmente, Knüfgen arringò l'equipaggio in preda all'agitazione. A suo sostegno il cognato si era piantato sulla soglia che conduceva sul ponte. Io ero ancora troppo intontito per capirci qualcosa. Accanto a me, Jan Appel veniva estratto a sua volta dalla cassapanca.

Poi tutto accadde molto rapidamente. Knüfgen mi condusse in tolda. All'aria aperta mi sentii già molto meglio. Incontrammo quali subito il capitano. Non ricordo più molto bene, ma la conversazione dovette svolgersi su questa falsariga:

"Chi è costui?"

"Un rappresentante del governo russo che Le ingiunge di fare rotta verso Murmansk, dove ha intenzione di scendere a terra."

"Come potrei? Lei sa bene che facciamo corso verso l'Islanda."

"Ciò è di vitale importanza per il governo russo. Naturalmente i costi le saranno risarciti. Perfino una ricompensa..."

"Non è una cosa che possa decidere io . Io non ho il diritto di cambiare rotta. Avrei dovuto discuterne con l'armatore a Cuxhaven."

Knüfgen adottò allora un tono diverso: "Deve decidersi immediatamente, altrimenti saremmo costretti ad usare violenza. L'equipaggio sta dalla nostra parte come un solo uomo". Il capitano, con un tono sprezzante e ardito: "Come può pensare... insomma, fate come vi pare. Io rimetto il comando".

Knüfgen aveva estratto un'arma che pareva un revolver, si trattava però di uno scacciacani con cui gli allevatori frisoni erano soliti spaventare i bovini che facevano mostra di allontanarsi dalla mandria. Ordinò al capitano di abbandonare la tolda, entrambi scesero sottocoperta lasciandomi solo e sempre intontito nella cabina di navigazione. Durante la discussione non dissi una parola, né cambiai espressione anche solo per un attimo - d'altronde non mi sarebbe stato possibile.

Il capitano, sia detto per inciso, durante la guerra aveva comandato un sottomarino ed era stato ripetutamente decorato, uno degli assi della marina da guerra imperiale.

Il resto si svolse senza complicazioni.

Il cognato prese in consegna il capitano e lo condusse nel ripostiglio delle vele. Knüfgen andò a prelevare il primo timoniere dalla cabina, suo cognato il capomacchinista. Quando venne comunicato loro che il capitano aveva rimesso il comando e che il vaporetto avrebbe fatto rotta verso la Russia , entrambi si dimostrarono solidali con il capitano e così vennero rinchiusi anche loro nel ripostiglio.

Nel frattempo Jan Appel era ritornato in sé nel salone dell'equipaggio. Tenne un discorso ai marinai su lotta di classe, solidarietà internazionale ed educazione alla coscienza proletaria. I marinai lo ascoltavano pieni di riverenza, dapprincipio avevano creduto che fosse un membro del governo russo; Knüfgen aveva immediatamente promesso loro una sontuosa ricompensa, insieme ad alti incarichi nella marina russa, da capitano di porto a Murmansk in su. Per quel posto si interessò il cuoco, che aveva intenzione di far arrivare moglie e figlio; Knüfgen aveva prontamente accettato. Il cognato tirò fuori una bottiglia di cognac e il cuoco frisse un centinaio di uova. Tutto sembrava essersi risolto nel migliore dei modi. Ora i marinai potevano anche muoversi liberamente sottocoperta.

Ma non tutto era filato liscio. Knüfgen era venuto a cercarmi per discutere con i due ufficiali rimasti, il secondo timoniere e il secondo ingegnere, i quali si erano asserragliati nella sala macchine.

Seguii la strategia già mostrata da Knüfgen: conciliante e tranquilizzante. Avevamo soprattutto bisogno del timoniere, poiché nessun altro membro dell'equipaggio era in grado di stabilire la rotta. In più cambiando il corso di navigazione avremmo dovuto attraversare un esteso campo minato tra la baia tedesca e il sud della Norvegia, un tratto d'acqua molto temuto ed evitato in quei mesi dalla marina di ogni paese. Quel particolare era stato da noi completamente trascurato.

Il timoniere dapprima si rifiutò categoricamente di collaborare. A bordo non esistevano carte navali, a parte un vecchio manuale velico di prima della guerra; le luci della costa danese erano fuori vista. Ci trovavamo nel mezzo di una crisi.

In quel momento ero stato sul punto di commettere un grosso errore. I marinai eccitati si erano radunati intorno a noi, avevamo condotto i due ufficiali in coperta di fronte al ripostiglio delle vele, dove erano rinchiusi gli altri ufficiali... l'importante in quella situazione era non negoziare a lungo... "Buttiamoli semplicemente a mare", dissi io, quando il secondo timoniere cominciò ad arringare i marinai sulle difficoltà della spedizione.

Il mio comando era proprio il tono meno adatto in quell'atmosfera carnevalesca.

Improvvisamente si fece silenzio. Se mi fossi lasciato andare a discussioni e convincimenti - sapevo, lo sentivo addirittura con certezza, l'umore si sarebbe rovesciato... probabilmente in quel caso sarei stato io a venire buttato a mare.

Il cognato di Knüfgen salvò la situazione. Condusse i due ufficiali sottocoperta: "A rapporto dal capitano!" Anche lui ora aveva tirato fuori un revolver da chissà dove.

Ma colui che davvero salvò capra e cavoli fu un vecchio lupo di mare, il capitano di un peschereccio all'ancora in Islanda che profittava del passaggio sul Senator Schröder per raggiungere la sua nave; Knüfgen si era completamente dimenticato di quel passeggero.

L'uomo aveva lasciato la sua cabina incuriosito dal trambusto che regnava in coperta. Quando alcuni marinai gli comunicarono che facevamo rotta verso la Russia , pensò ad uno scherzo. Allora gli spiegai a grandi linee la situazione e lui scoppiò a ridere ancora più forte. Venne rinchiuso nel ripostiglio insieme agli altri. Quel vecchio capitano ci rese un grosso servigio. Grazie al suo incorreggibile buon umore raggiunse con il cognato di Knüfgen un compromesso, senza il quale saremmo stati costretti a negoziare con i marinai. L'accordo prevedeva che gli ufficiali sarebbero stati trasferiti nella sala di soggiorno dell'equipaggio; di tanto in tanto avrebbero potuto essere accompagnati in coperta e sarebbero stati rifocillati adeguatamente dal cuoco. Il secondo ingegnere si sarebbe occupato di quando in quando delle macchine, mentre il timoniere avrebbe offerto il suo contributo nel calcolo della rotta. Anche gli altri ufficiali avevano un personale interesse a collaborare con Knüfgen per attraversare indenni il tratto minato.

La ciurma aveva preso possesso delle cabine degli ufficiali. L'atmosfera a bordo era tornata festosa. Il cuoco serviva porzioni doppie o triple. Ognuno ora aveva il tempo di riflettere a quali mansioni aspirare nella Russia sovietica. Knüfgen, nominato formalmente come massima autorità a bordo, stabilì i turni di guardia.

Il giorno successivo il capitano mi pregò di calcolare insieme a lui i costi della traversata fino a Murmansk e in aggiunta mi domandò se la nave avrebbe avuto la possibilità di fare rifornimento di carbone in un porto russo... io lo rassicurai sotto ogni aspetto.

Avevo preso posto nella sopraelevata cabina di navigazione e da quella posizione potevo osservare le selvagge montagne d'acqua che battevano contro la prua; il Senator Schröder viaggiò per la maggior parte della traversata con vento forza otto o nove.

Per il resto durante il viaggio non accadde niente di straordinario. Superammo il tratto minato senza incidenti. Durante il cabotaggio della costa norvegese, della quale non disponevamo di carte navali, il timoniere collaborò lealmente all'illuminazione del vaporetto. La frastagliata costa norvegese vista da lontano risultava deprimente. Eravamo in viaggio già da otto giorni allorché identificammo grosso modo l'estremità settentrionale della Norvegia. Noia e monotonia, l'unico evento il cambio delle sentinelle.

Lasciatoci alle spalle Capo Nord, proseguimmo per due giorni tra nebbie e tempeste, con la terraferma ormai fuori vista. Sorse il dubbio che non seguissimo più la rotta prevista - ancora otto giorni e le provviste e il carbone per un eventuale viaggio di ritorno avrebbero cominciato a scarseggiare. Gli ufficiali non avevano più la minima idea di dove ci trovassimo. Nella ciurma l'entusiasmo da tempo aveva lasciato spazio ad una strisciante demoralizzazione. Qualcuno aveva scovato uno straccio rosso che venne issato sull'albero di trinchetto.

Sotto quella bandiera venimmo avvistati da una lancia da pesca norvegese che incrociò di traverso per chiederci del whisky. Grazie ai Norvegesi apprendemmo che ci trovavamo già nella baia di Murmansk. Da Vardö, il porto di appartenenza del cutter, si diramarono in tutto il mondo le prime notizie della nostra impresa. In virtù di ciò i russi spedirono dal porto militare di Aleksandrovsk delle motonavi di pattuglia alla nostra ricerca.

Tre giorni dopo venimmo individuati, mentre il Senator Schröder continuava a vagare nella nebbia, a vista e senza una rotta determinata. Oggi non credo che avremmo trovato da soli il porto di Murmansk senza cadere vittima dei tratti minati che i russi avevano mantenuto in vigore contro un'eventuale aggressione inglese.

Con un pilota russo a bordo venimmo scortati dapprima verso Alexandrovsk. Lì ottenemmo una squadra d'equipaggio russa, con la quale il Senator Schröder prese il mare alla volta di Murmansk. Il giorno del nostro arrivo a Murmansk era il Primo Maggio 1920. Una tempesta di neve imperversava sulla struttura portuale spoglia e completamente abbandonata. (...)

Non c'era nessuno che potesse comunicare con noi, nessuno di noi conosceva anche solo una parola di russo. L'aria nella baracca era pesante. I fiati aleggiavano sopra le masse, una nuvola di vapore grigia. L'illuminazione era così scarsa che si riusciva appena a distinguere il proprio vicino. La massa a un certo punto cominciò a cantare. Cantarono l'Internazionale, Bandiera Rossa e altre canzoni ancora. Tra una canzone e l'altra i singoli commissari tenevano una breve orazione che introduceva la canzone seguente. A quel modo saranno passate delle ore.

Divenne l'evento fondamentale della mia vita. Era quel che avevo sempre cercato, quello per cui ero corso in lungo e in largo fin dalla mia infanzia. Negli anni successivi, ogni volta che mi confrontai con la viltà degli uomini, con le loro iniquità, infedeltà ed egoismi, non esclusi quelli del popolo russo, mi bastava solo ritornare col ricordo a quel Primo Maggio a Murmansk per ritrovare il mio equilibrio. (...)

Dapprima la delegazione venne ricevuta da Lenin e successivamente da tutti i pezzi grossi dell'Internazionale. Tutti si mostrarono molto cordiali e oltremodo camerateschi. Lenin si informò sugli standard di vita degli operai tedeschi: cosa è rimasto come conseguenza della guerra? Cosa è cambiato per loro con il nuovo governo? Leggono i giornali? Discutono nelle fabbriche? e così via. Appel nella maggioranza dei casi non sapeva rispondere con precisione, Lenin aveva spesso bisogno di ripetere la domanda; io non venni interrogato affatto. Lenin mi trattò con aperto sarcasmo - un "compagno di strada"; detto francamente, non me ne importò più di tanto. (...)

(Traduzione di Antonello Piana)





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