LA VETRINA


Luca Doldi

 


Un'altra volta. Passai davanti a quella vetrina un'altra volta. Sembrava un negozio che vendeva felicità. Sembrava fosse fatto apposta per umiliare le persone che non avrebbero mai potuto entrarci, le persone che non avevano amici con cui entrare a divertirsi, che non avrebbero mai avuto soldi per permetterselo.
La pizzeria aveva tre vetrine, illuminate alla perfezione, dalle quali potevi vedere tutti i tavoli, tutta quella gente seduta, felice, mentre mangiava, mentre rideva, mentre stava insieme alle persone care. Mentre apriva la bocca e infilava grossi bocconi di pizza, mentre finita una ne ordinava un'altra e poi ordinava il dolce, mentre pagava il conto con la carta di credito senza neanche guardare l'importo. Mentre amoreggiava con il fidanzato o la fidanzata, mentre nei loro occhi c'era scritto a chiare lettere che la serata sarebbe finita a letto o in macchina a fare l'amore. Mentre i genitori ridevano insieme ai loro figli, mentre i figli imparavano qualcosa di nuovo, mentre i genitori insegnavano a usare bene le posate al proprio bambino.
Mentre la vita all'interno scorreva sui suoi binari lisci e io stazionavo in un binario morto senza possibilità di fare retromarcia.
Ogni volta che ci passavo di fronte era come se una bocca si aprisse alla fine dello sterno, come un singhiozzo che non vuole concludersi, e un fiume di tristezza si faceva strada attraverso quella bocca, era insopportabile, ma non potevo fare a meno di assistere a quello spettacolo, forse per potermi auto commiserare, forse per la flebile speranza di poter entrare a far parte di quel mondo.
Non so quand'è stata l'ultima volta che ho fatto un pasto che si possa definire completo, ormai la pelle della pancia stava diventando uno strato unico con quella della schiena, non mi importava più di nulla, vagavo senza meta in quella cittadina che quasi neanche sapevo come si chiamava, nonostante fossi lì da mesi ormai.
Non ho mai scambiato neanche una parola con qualcuno, sembrava che nessuno mi vedesse, iniziai a pensare di essere diventato invisibile ad un certo punto, ma quando tentai di rubare una brioche in un bar poco distante dalla pizzeria, mi accorsi subito che in realtà non ero invisibile, tutt'altro.
Quella sera preparai tutto per bene.
Presi un tavolino abbandonato fuori da un bar chiuso con la sua sedia. Li portai di fronte a una delle tre vetrine. Presi la bottiglia di plastica che avevo con me e la appoggiai sopra. Apparecchiai il tavolo con precisione. Mi sedetti e iniziai a mangiare.
Non badavo alla gente che passava di fianco a me, non badavo neanche alla gente dentro alla pizzeria che mi osservava esterrefatta. Non badavo neanche all'odore di benzina che aleggiava nell'aria.
La vetrina si era spostata di qualche metro e ora mi racchiudeva all'interno della pizzeria. Nel mio piatto ora c'era una montagna di caviale, nella bottiglia, champagne, le posate erano d'argento, i miei vestiti logori e puzzolenti erano diventati uno smoking profumato. In quel momento gli sguardi esterrefatti si erano trasformati in sguardi di invidia, il disprezzo in ammirazione, finalmente ero entrato anche io in quel mondo che si divertiva che si amava, che stava in compagnia. Io non ero in compagnia di nessuno ma tutti gli sguardi puntati su di me, mi facevano sentire una star ed erano più che una piacevole compagnia, erano un bagno di felicità.
Quando finii il mio caviale, un cameriere, o almeno pensai che lo fosse, mi bussò sulla spalla. D'istinto chiesi del caffè, ma immediatamente due mani robuste e avvolte in guanti di pelle nera tentarono di trascinarmi fuori da quel mondo. Sentii una voce fuori dalla vetrina che mi diceva in modo perentorio "Lei non può stare qui!" e un'altra più distante che diceva "… Ma cos'è questo odore di benzina?", ma non volevo uscire, quella era la mia oasi di felicità e non volevo uscirne per nulla al mondo. Ma non riuscii a oppormi per molto tempo, alle due mani che già mi stavano stringendo se ne aggiunsero altre due e fui strappato di colpo da quel sogno.
Improvvisamente gli sguardi diventarono minacciosi, colmi di disprezzo e di compassione, i miei vestiti tornarono quelli di prima e la mia puzza tornò a farsi sentire ma insieme c'era un odore nuovo...cos'era quella puzza di benzina?
Quando mi girai capì che quelle quattro mani che mi avevano sradicato dalla mia pizzeria non appartenevano a camerieri ma bensì a poliziotti. Sentivo le loro richieste di documenti che non avevo, ma le loro voci erano lontane come se fra me e loro ci fosse ancora la vetrina della pizzeria, dopo alcuni movimenti concitati, lasciarono la presa e mi lasciarono andare per la mia strada. Presi la bottiglia, che ora era diventata una bottiglia di plastica ammaccata e sporca, ma ancora piena per metà di champagne, anche se sicuramente ora non conteneva più champagne.
Dopo i primi passi inciampai e caddi sull'asfalto, scorticandomi il volto. I poliziotti salirono in macchina e andarono via lasciandomi lì, se mi avessero soccorso avrebbero dovuto anche portarmi in caserma per accertamenti, non avrebbero più potuto lasciar correre, così preferii la loro indifferenza.
Quando mi rialzai tutto era tornato come prima, io al di qua della vetrina e la felicità al di là, rivedere quella facce sorridenti all'interno fu un colpo troppo duro da sopportare. Iniziai a piangere e una rabbia incontrollabile prese forma dentro di me.
D'improvviso decisi di entrare dalla porta principale. In mano avevo la bottiglia e se qualcuno mi avesse fermato l'avrei usata come corpo contundente. Ma non ce ne fu bisogno. Nessuno mi fermò, o almeno nessuno fece in tempo ad afferrarmi. Presi la bottiglia e mi scolai quello che c'era rimasto tutto d'un fiato, un po' mi colò sulla faccia e sui vestiti, ma non mi preoccupai di pulirmi. Ora che il sogno era finito ora che la cruda realtà era tornata ad avvolgermi, il sapore di quel liquido fu inconfondibile. Ecco da dove arrivava quell'odore di benzina, pensai. Il suo sapore oleoso rischiò di farmi vomitare in mezzo alla pizzeria, ma resistetti. Ora capii anche che quello che avevo mangiato non era caviale, bensì polvere da sparo. Mi sentivo ancora addosso gli sguardi di tutti, ci saranno state un centinaio di persone all'interno, e nei loro occhi si leggeva un sottile velo di paura mista a stupore e perverso divertimento. Quando tirai fuori la scatola dei cerini però lo stupore e vennero risucchiati via dagli occhi della gente intorno e rimase solo la paura, qualcuno accennò una fuga ma nessuno voleva fare movimenti bruschi, avrei voluto spiegargli che non ero un cerbiatto e che non mi avrebbero spaventato, ma non avevo tempo, sentivo delle voci che si rivolgevano a me in toni supplichevoli, ma nonostante le apparenze si stava svolgendo tutto troppo velocemente perché qualcuno potesse avere il tempo di bloccarmi. Presi 3 cerini, li sfregai sulla scatola e me li buttai subito in bocca. Sentii immediatamente un bruciore lancinante in bocca, e successivamente tutto il mio corpo che bruciava dall'interno e le piccole esplosioni della polvere da sparo. Le fiamme uscivano dalla mia bocca come quei mangiatori di fuoco che vedevo da bambino al circo... ho sempre sognato di diventarlo.
Tutti intorno a me erano pietrificati, occhi sbarrati, occhi che piangevano, occhi che si stringevano forte per non vedere. Nessuno tentò di spegnermi, sarebbe stato inutile, tutto era sempre stato inutile, io per primo, e inutile sarebbe ogni tentativo di soccorrere un individuo inutile.
Se dentro di me la felicità non poteva albergare, e neanche sognando ad occhi aperti mi era permesso, tanto valeva dare fuoco a tutto l'albergo, così ora non avrebbe più albergato neanche in quel posto con le sue tre vetrine dispensatrici di immagini di felicità altrui.
Ma mentre la coscienza iniziava a defluire da me, mi resi conto che settimane dopo, quando sarebbe tornato tutto alla normalità, nessuno si sarebbe più ricordato di quest'anima persa, e tutti avrebbero ricominciato a sorridere e divertirsi dietro alle tre vetrine.
Tutto inutile. Tutto inutile. Tutto inutile.



Luca Doldi non dice mai di no all'arte, è nato a Bollate nel 1980, vive a Saronno. E' un grafico pubblicitario. Scrive per Rockon.it ed è il cantante del gruppo "Seventy Times Seven" per il quale scrive i testi delle canzoni. Fa parte della compagnia teatrale Usoforesteria. Si diletta con la fotografia. Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di racconti “Dissezione Mentale” per Ed. Il Filo.

 


        
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