DAL LIBRO AZZURRO
– 22 voci tratte dal Libro azzurro –
Franco Foschi
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Tanto per non incoraggiare troppo i volonterosi, inizierò con una citazione dal poeta Vladimir Holan1: ”Perché lavorate a un nuovo libro, sapendo che presto dovrete morire?” Se già siete spaventati, fermatevi qui. Avete solo buttato i vostri soldi, niente di grave quindi.
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Olof Lagercranz, senza esitazione, scrive: “C’è un leggere che assomiglia alla tossicomania”. E’ innegabile, ed avrò modo di ricordarlo più volte, qui. Ciò che è straordinario è che ciò non dipende da un libro o da un altro: si può leggere un pessimo romanzo senza che questo diminuisca il desiderio di continuare a leggere.
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Sogno di scrivere direttamente con la punta del dito indice, dal quale esce un bellissimo inchiostro blu scuro, blu pavone.
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Cioran2 sostiene che il valore intrinseco di un libro non dipende dall’importanza dell’argomento, altrimenti i teologi scriverebbero solo libri importanti, cosa non vera. Dipende da una serie di fattori che lui chiama “l’accidentale” e “l’insignificante”.
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Se crediamo che scrivere sia un tentativo di non morire, è curioso che si tenti di superare la morte con le parole, cioè quanto di più caduco esista.
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Joseph Conrad, ad un amico: “Si scrive soltanto una metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore”. E’ l’esplicazione di una teoria della dipendenza, che spesso però i due dipendenti ignorano!
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I libri andrebbero scritti unicamente per dire cose che non si oserebbe confidare a nessuno.
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Come interpretare in maniera costruttiva che Epicuro, grandissimo saggio, abbia scritto più di trecento volumi? L’unico motivo per affermarne la saggezza è che i volumi sono andati perduti?
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E al contrario: perché Socrate non ha mai scritto niente?
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C’è poi quella famosa teoria di Dio come scrittore. Scrive luce, ed ecco appare, scrive terra, uomo, e il gioco è fatto. Se nessuno scrittore è mai arrivato a questo punto, alcuni ci sono arrivati vicino, parecchi ci provano, troppi credono di esserne capaci e non lo sono.
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Un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve provocarle. Un libro deve essere un pericolo.
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Nell’antichità i libri erano così costosi che non ci si poteva permettere di accumularli senza essere un re o un imperatore. O Aristotele, il primo ad avere una biblioteca degna di questo nome. Se ancora ciò fosse vero, come diverremmo selettivi! E’ lecito pensare che migliorerebbe anche il nostro leggere.
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Montaigne3, più o meno, dice che non esiste problema al mondo che una buona mezz’ora di lettura non spazzi via. Ma questo è vero per chi è già drogato di libri. Chi non legge, non potrà mai capire.
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Non si scrive perché si ha qualcosa da dire, ma perché si ha voglia di dire qualcosa.
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Cioran ha un’idea un po’ diversa: “Niente si può dire di niente. Per questo non ci può essere limite al numero dei libri”.
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Henry James sosteneva che la maggior parte della gente legge un romanzo come si ingurgita un budino. Tutto lì, finito. Se così non fosse, il romanzo non sarebbe un’industria. Ma esisteranno sempre quei topolini silenziosi che vanno a cercare il libro minimo, le paginette timide, il diario del pensiero o il manuale ad uso personale. Lo squittire notturno di gioia, il lento rosicchiare, si percepiranno sempre, anche nella città di Blade Runner.
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Ogni tanto chi scrive subisce fucilate come questa di Canetti4: “Mentre altri sono alla fame, lui scrive. Scrive mentre altri muoiono”. Eppur la maggior parte dei colpi è a salve: nell’esercito di chi scrive, pochi sono i caduti.
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E’ un libro che è buono o è il lettore che sa trarne il meglio?
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A PROPOSITO DI INDUSTRIA
E’ chiaro che il libro ha una sua interiore sfuggenza, il romanzo ha il mistero di come sia stato scritto, insomma il libro è un oggetto speciale, che possiede un’aura magica perché pur essendo un oggetto non ha un contorno ben definito. Un corposo romanzo lo teniamo tra le mani, ma la sua sostanza è volatile. Ora gli inglesi inseriscono stacchi pubblicitari nei libri: pannolini per McEwan, yoghurt per Eliot, profilattici per Bukowski5. Il primo sentimento che ho provato è l’orrore. Invece, in un articolo, tutti storcevano la bocca per motivi pratici. Nessuno per motivi magici.
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Borges6 nella sua casa aveva solo circa duemila titoli, compresi vocabolari e cose simili. Solo, diceva, i libri che varrebbe la pena rileggere. E’ un’idea che rende molto onore ai libri. Leggere non è una cosa superficiale.
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Lagercrantz7 si pone un preciso problema: ci si può fidare della gente che legge più di quelli che non lo fanno? Sta di fatto che quando ci troviamo con una persona ‘pratica’, immediata, ci sentiamo o troppo leggeri o troppo pesanti, a seconda dell’umiltà o dell’autocompiacimento. Ma in passato i genitori che scoprivano il figlio in un cantuccio con un libro lo sgridavano: “Fai qualcosa di più utile!” E quante volte mio padre mi diceva: “E se invece di leggere tutta quella roba tu studiassi di più?”8
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Ancora lo svedese, bello e drammatico: “Solo davanti alla morte e all’ultima pagina sapremo”. È il concetto di Libro della Vita, da molti sviluppato e dal quale qualcuno, come Jabés, è ossessionato.
Franco Foschi
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