COME LA RUOTA DI UN PAVONE
Elvira Bianchi
La bambina era stanca. Si raggomitolò nella poltrona, come un gatto.
Era quasi notte.
La mamma era in cucina a preparare la cena. Il papà passeggiava nervosamente su e giù per il salotto, Cristina se ne stava seduta sul bordo del divano rosso.
“Fammi vedere come cammini” disse lui. Il suo sguardo era serio, molto serio.
Cristina incominciò a camminare.
Aveva una gonna a quadri verdi e turchesi, tenuta stretta in vita da una cintura di pelle con una grossa fibbia luccicante.
Dal giorno in cui Cristina era arrivata a casa dal paese per occuparsi di lei quando la mamma era in ufficio, l’aria era diventata pesante: silenzi, musi lunghi, la mamma e il papà che parlottavano di notte a letto fino a tardi. La mamma sembrava triste. E il papà sempre nervoso. Cristina non le piaceva per niente. Il pomeriggio non voleva mai giocare con lei, se ne stava ore davanti allo specchio a districarsi i capelli ricci e a mettersi il rossetto rosso scuro, e poi dava dei baci su un tovagliolo di carta finché non era pieno di impronte della sua bocca a cuore, vermiglia e minacciosa.
La gonna ondeggiava a ogni passo, si gonfiava. E mentre camminava, quasi come su una passerella, Cristina aveva un’espressione di sfida, strafottente.
Il papà era sempre più nervoso:
“Stai sculettando. Per quello gli uomini ti guardano. Li provochi.”
Non aveva mai visto sua madre camminare così. Sua madre correva sempre. Invece in quell’incedere altezzoso, sui tacchi sgangherati, c’era una calma minacciosa, una provocazione muta e lenta, quasi uno sfinimento: “Io piaccio agli uomini perché sono femmina, sono calda, appassionata. E piaccio anche a te che mi stai guardando bramoso. Ma io sono ancora minorenne, stai scherzando con il fuoco.” Quasi si sentivano questi pensieri. Facevano rumore, come un tuono in lontananza, senza lampi.
La mamma si affacciò un attimo dalla cucina. Era accaldata e spettinata, come sempre.
“La cena è quasi pronta.”
Il papà aveva appena spento una sigaretta e già ne stava accendendo un’altra.
“Ecco, i fianchi, non li muovere, non ce n’è bisogno, tienili fermi… almeno provaci, porca miseria!”
Cristina aveva la faccia da strega cattiva e lo sguardo trionfante.
E il papà aveva l’espressione di qualche sera prima, quando era successa quella cosa che lei non aveva detto alla mamma, per non intristirla ancora di più.
Lui era tornato a casa dall’ufficio, solo. La mamma era rimasta a fare un paio d’ore di straordinario. A un certo punto era mancata la luce. Pochi minuti appena. Cristina aveva cominciato a fare quelle risatine che tanto la infastidivano. La mamma non rideva mai così. Se rideva faceva delle belle risate fragorose, con la a, ma ultimamente non succedeva molto spesso. Invece Cristina ridacchiava con la i, fastidiosa. Sembrava un topo che squittisce. Quando era tornata la luce Cristina se ne stava seduta sulle ginocchia del papà.
“Quasi quasi cadevo! Menomale che c’era lui a salvarmi!” aveva ridacchiato. Bugiarda.
Lui sembrava imbarazzato e aveva sulla faccia un’espressione stupida che non gli aveva mai visto prima.
Ecco, adesso, mentre guardava Cristina camminare, ancheggiando per la stanza, il papà aveva di nuovo quell’espressione. Ma c’era un particolare che non aveva mai notato prima. Le scarpe di camoscio di Cristina, beige, con i tacchi a spillo che si stavano storcendo, erano così scollate da scoprire l’attaccatura delle dita, tutte e cinque ben allineate, come soldatini. Il mignolo si vedeva quasi tutto. Era brutto, leggermente accavallato, era volgare. Come quelle labbra a cuore sul tovagliolo di carta. Stessa sensazione.
“Così va meglio. Vedi che quando vuoi ci riesci?” Il papà sembrava sollevato.
Si era fatto buio.
“E’ pronto, venite a tavola!” gridò la mamma dalla cucina.
Il papà prese Cristina per un gomito, con un gesto di possesso.
“Vedrai, riuscirò a insegnarti a camminare come si deve.” le disse piano.
Quando la bambina le passò vicino, la gonna di Cristina ondeggiò lievemente e si gonfiò.
Verde e turchese.
Come la ruota di un pavone.
Elvira Bianchi: Sono nata a Torino nel 1952. Sono laureata in Scienze Politiche e ho conseguito il Master triennale in Art-Counseling.
Lavoro presso il Comune di Terracina come responsabile dell’INFORMAGIOVANI, ma da sempre ho la passione della scrittura.
Ho pubblicato un racconto nell’ antologia di Einaudi “ E’ da tanto che volevo dirti” e racconti e poesie con l’Editore Giulio Perrone di Roma.
Ho pubblicato un libro di favole con l’Editore LIBERODISCRIVERE di Genova.
Nel 2007 sono arrivata finalista al Premio Pieve Banca Toscana, organizzato dall’ Archivio Diaristico di Pieve S.Stefano.
Ho seguito seminari e corsi di scrittura creativa con la scrittrice Dacia Maraini e lo scrittore Julio Monteiro Martins.
Attualmente sto frequentando presso la scuola “ Tracce” di Roma il II anno del corso di sceneggiatura cinematografica.
Ho condotto laboratori di scrittura espressiva presso l’Università Popolare Pontina e laboratori sulla fiaba presso le Scuole Elementari di Terracina.
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