CONSERVE PER LA VITA


Olga Tokarczuk





Quando morì, le fece un funerale dignitoso. Vennero tutte le sue amiche, vecchiette deformi con berretti e pellicce che odoravano di naftalina e col collo di castorino, dal quale le loro teste sbucavano fuori come grandi bitorzoli pallidi. Iniziarono a singhiozzare con discrezione quando la bara, appesa alle funi bagnate dalla pioggia; venne calata nella fossa, e poi, a piccoli gruppi, sotto le cupole degli ombrelli pieghevoli dalle fogge più improbabili, si avviarono verso la fermata dell'autobus.

La sera stessa aprì il mobiletto dove lei teneva i suoi documenti e si mise a cercare, senza neppure sapere che cosa. Soldi. Azioni segrete. Obbligazioni per una vecchiaia tranquilla, che in televisione venivano pubblicizzate sempre con scenette autunnali piene di foglie cadenti.

Trovò solo vecchi libretti assicurativi degli anni Cinquanta o Sessanta, una tessera del partito del padre, che era morto a ottant'anni nella piena convinzione che il comunismo fosse un ordine metafisico ed eterno, e anche i suoi disegni dell'asilo sistemati con cura in una cartellina di cartone con l'elastico. Questo lo commosse. Che lei avesse conservato i suoi disegni, non l'avrebbe mai pensato. Trovò anche quaderni pieni di ricette di sottaceti, marinate e confetture. Ogni ricetta iniziava su una pagina nuova, e il suo nome era decorato con timidi ghirigori: una manifestazione culinaria del bisogno di bellezza. "Sottaceti con la senape". "Zucca marinata alla Diana". "Insalata di Avignone". "Funghi porcini alla creola". Ogni tanto comparivano piccole stravaganze: "Gelatina di bucce di mela", per esempio, oppure "Calamo aromatico con zucchero".

Questo lo indusse a scendere in cantina, dove non andava da anni. Ma lei ci andava volentieri, in qualche modo lui non aveva avuto tempo di stupirsene. Quando lei pensava che lui ascoltasse la partita a volume troppo alto, quando a nulla servivano le sue lamentele sempre più deboli, allora lui sentiva il tintinnio delle chiavi e poi la porta che sbatteva, e lei scompariva per un lungo, benedetto tempo. Allora lui si dedicava con gioia alla sua attività preferita: svuotare una lattina di birra dopo l'altra e seguire due gruppi di uomini vestiti con magliette colorate che si spostavano da una parte all'altra di un campo da gioco.

La cantina aveva un aspetto incredibilmente lindo. C'erano un piccolo tappetino logoro, oddio, se lo ricordava ancora dall'infanzia, e un divano sul quale era stata ordinatamente ripiegata una coperta di lana lavorata a maglia.

C'erano anche un lumino da notte e qualche libro consumato dalla lettura. Ma quello che dava un'impressione infernale erano gli scaffali pieni di barattoli lucidati con le conserve. Avevano tutti un'etichetta autoadesiva su cui si ripetevano i titoli del quaderno."Cetriolini sott'aceto della signora Stasia, 1999", "Peperoni per antipasto, 2003", "Strutto della signora Zosia". Alcuni di questi nomi suonavano in maniera misteriosa — "Fagiolini apertizzati" — e per niente al mondo sarebbe riuscito a immaginare cosa significasse "apertizzare", ma la vista di pallidi funghi o di peperoni rosso sangue infilati nei vasetti risvegliò in lui la voglia di vivere. Frugò frettolosamente tra gli scaffali, ma non trovò cartelle con documenti o soldi arrotolati nascosti dietro i barattoli. A quanto sembrava, non gli aveva lasciato niente.

Estese il suo spazio vitale alla camera della madre: era qui che adesso gettava in giro i vestiti sporchi e accumulava casse di birra. Di tanto in tanto portava su uno scatolone di conserve, le apriva con un solo movimento della mano e con la forchetta tirava fuori dai barattoli il loro contenuto, qualunque cosa fosse. La birra e le noccioline unite ai peperoni marinati o ai cetriolini piccoli e delicati come neonati avevano un sapore squisito. Stava seduto davanti al televisore, contemplando la sua nuova situazione esistenziale, la nuova libertà, si sentiva come se avesse appena dato l'esame di maturità e avesse tutte le porte aperte davanti a sé. Come se stesse iniziando una nuova vita, una vita migliore. Eppure aveva già la sua età, l'anno scorso aveva superato i quaranta, ma si sentiva giovane come uno studente. E anche se i soldi dell'ultima pensione della madre defunta pian piano stavano finendo, aveva ancora tempo di prendere le decisioni giuste: avrebbe mangiato lentamente quello che lei gli aveva lasciato in eredità. Al massimo avrebbe comprato pane e burro. E birra. Poi forse si sarebbe effettivamente messo a cercare un lavoro, è su questo che la madre gli aveva rotto le scatole negli ultimi vent'anni. Forse sarebbe andato all'ufficio di collocamento, sicuramente avrebbero trovato qualcosa per uno studente quarantenne come lui. Forse si sarebbe addirittura messo il vestito chiaro, che lei gli aveva stirato e appeso nell'armadio, insieme alla camicia azzurra, e sarebbe andato in città. Basta che non ci fossero partite in televisione.

Eppure gli mancava lo strascichio delle ciabatte della madre, si era abituato a quel fruscio monotono, accompagnato di solito dalla sua voce sommessa: "Quand'è che spegnerai quella televisione, che frequenterai qualcuno, che conoscerai una ragazza? Hai veramente intenzione di passare così il resto della vita? Quand'è che ti troverai una casa, qui non c'è abbastanza spazio per tutti e due. Le persone si sposano, fanno figli, vanno in vacanza in tenda, fanno le grigliate. E tu che fai? Non ti vergogni di essere mantenuto da una donna vecchia e malata? Prima tuo padre, e adesso tu, bisogna lavarvi e stirarvi tutto, portarvi la spesa a casa. Quel televisore mi dà fastidio, non riesco a dormire, e tu ci stai seduto davanti fino al mattino. Che cos'è che guardi tutta la notte, com'è che non ti annoi?" Si lamentava così per ore intere, e allora lui si comprò le cuffie. Era una soluzione, lei non sentiva la televisione, e lui non sentiva lei.

Ma ora c'era troppo silenzio. La camera della madre, un tempo tenuta con cura e piena di centrini e credenze, adesso si incurvava sotto il peso di mucchi di scatoloni, e poi iniziò a riempirsi di uno strano odore: lenzuola marce, intonaco leccato dalle lingue dei funghi, spazio chiuso che quando non viene toccato da un filo di aria fresca inizia a guastarsi e fermentare. Una volta, cercando degli asciugamani puliti, trovò in fondo all'armadio un'ennesima batteria di barattoli a chiusura ermetica; se ne stavano nascosti, sotto mucchi di lenzuola, avvolti in gomitoli di lana, partigiani, quinta colonna di vasetti. Li guardò attentamente: si distinguevano da quelli trovati in cantina perché erano più vecchi. Le scritte sulle etichette erano leggermente sbiadite, si ripetevano gli anni 1991 e 1992, ma alcuni barattoli erano ancora più vecchi: '83, '81 e uno del '78. Era questa la causa del cattivo odore. Il coperchio di metallo si era arrugginito e aveva fatto entrare l'aria all'interno. Qualunque cosa si trovasse un tempo dentro ai barattolo adesso si era trasformata in una matassa marrone. Buttò il barattolo con disgusto. Sulle etichette si ripetevano scritte simili: "Zucca in composta di ribes" o "Ribes in composta di zucca". C'erano anche cetriolini completamente bianchi, incanutiti. Ma non sarebbe riuscito a riconoscere il contenuto di molti altri barattoli se non fosse stato per le scritte pratiche e affidabili. I funghi marinati si erano trasformati in una gelatina scura e impenetrabile, e le marmellate in un coagulo nero. I paté si erano raggrumati in un piccolo pugnetto raggrinzito. Trovò altri barattoli nella scarpiera e nel ripostiglio sotto alla vasca da bagno. Questa collezione lo stupiva. Gli nascondeva il cibo oppure accumulava quelle scorte per se stessa, pensando che un giorno suo figlio se ne sarebbe andato di casa? O forse le aveva lasciate proprio per lui, immaginando che se ne sarebbe andata per prima, le madri vivono meno a lungo dei figli, forse con quei barattoli voleva assicurargli un futuro? Osservava quelle conserve con un misto di commozione e disgusto, finché non si imbatté in un vasetto (in cucina sotto il lavello) con la scritta "Lacci per le scarpe sott'aceto, 2004", e questo avrebbe dovuto inquietarlo. Guardò i lacci marroni avvolti in un gomitolo che fluttuavano nel liquido per le conserve in mezzo alle palline nere del pimento. Si sentì a disagio, solo questo.

La madre lo aspettava al varco quando si toglieva le cuffie dalle orecchie e andava in bagno; allora usciva in fretta e furia dalla cucina e gli sbarrava la strada. "Tutti i pulcini abbandonano il nido, questo è l'ordine delle cose, i genitori hanno il diritto di riposarsi. Questa è la legge della natura. E allora perché mi tormenti, dovresti essertene andato via ed esserti fatto una vita già da tempo", si lamentava. Poi, quando lui provava a scansarla con delicatezza, lei lo afferrava per la manica e la sua voce si faceva ancora più acuta e ancora più stridula: "Ho diritto a una vecchiaia tranquilla. Lasciami in pace, voglio riposare". Ma lui era già in bagno, girava la chiave nella toppa e si abbandonava ai suoi pensieri. Lei provava ancora a intercettarlo quando tornava, ma ormai lo faceva con minore convinzione. Poi si dileguava nella sua stanza senza far rumore, e là le sue tracce scomparivano fino alla mattina dopo, quando sbatteva intenzionalmente le pentole per non farlo dormire.

Eppure si sa che le madri amano i propri figli, è per questo che esistono: per amare e perdonare. E dunque non si preoccupò affatto di quei lacci per le scarpe e poi della spugna in salsa di pomodoro che trovò in cantina. Del resto era etichettata in maniera sincera "Spugna in salsa di pomodoro, 2001". L'aprì, controllò che la scritta fosse giusta e la buttò nella pattumiera. Ma trovò anche delle vere e proprie leccornie. Uno degli ultimi barattoli sul ripiano superiore della cantina era un delizioso zampone. Oppure quelle barbabietole piccanti che aveva trovato dietro la tenda in camera. Nel giro di due giorni si fece fuori diversi barattoli. Per dessert scelse col dito la confettura di mele cotogne.

Per la partita Polonia-Inghilterra portò su dalla cantina uno scatolone intero di conserve. Gli mise intorno una sfilza di lattine di birra. Allungava la mano a casaccio verso i barattoli e si ingozzava senza neppure guardare quello che mangiava. Ma a quel vasetto ci fece attenzione, perché la madre aveva fatto un errore ridicolo: "Funghi marinati, 2005". Con la forchetta tirava fuori le cappelle bianche e delicate, che gli scivolavano in gola come fossero vive. Fioccavano i gol e lui non si accorse nemmeno quando finì di mangiare tutti i funghi. Di notte dovette andare in bagno, e gli sembrò che la madre stesse là e si lamentasse con quella sua voce insopportabile e stridula, ma si ricordò che era morta. Vomitò fino al mattino, ma non servì a molto. All'ospedale volevano fargli un trapianto di fegato, ma non trovarono un donatore, perciò, senza che avesse ripreso conoscenza, morì qualche giorno dopo.

Si presentò un problema, perché non c'era nessuno che riprendesse il corpo dall'obitorio e organizzasse il funerale. Alla fine si fecero avanti le amiche della madre, quelle vecchiette deformi con i berretti che, aprendo sulla tomba i loro ombrelli dalle fogge assurde, celebrarono su di lui i loro compassionevoli riti funebri.




(Tratto dalla rivista Crocevia n° 9/10, Besa editrice. Nardò, 2008. Apparso sul quotidiano "Gazeta Wyborcza" il 10 dicembre 2005. Traduzione dì Alessandro Amenta.)



Olga Tokakczuk è nata nel 1962 a Sulechów. Ha debuttato come narratrice nel 1979 con Io pseudonimo di Natasza Borowirr, indirizzandosi poi verso la poesia con Miasta w lustrach (1987, "Le città negli specchi"). Il suo vero debutto letterario, che l'ha fatta cono¬scere al grande pubblico, è però il romanzo Podróz ludzi KsLiegi (1993, "Il viaggio del popo¬lo del Libro"), a cui hanno fatto seguito EE. (1995) Prawiek i inne czasy (1996, tradotto in italiano con il titolo Dio, il tempo, gli uomini e gli angeli, 1999), Dom dzienny, dom nocny (1997, "La casa di giorno, la casa di notte"). Seppure è il romanzo il genere narrativo privi¬legiato dalla scrittrice, le raccolte Szafa (1997, "L'Armadio"), Gra na wielu bebenkach (2001, traduzione italiana 2006 "Che Guevara e altri racconti") e Ostatnie historie (2004, "Ultime storie") dimostrano la sua capacità di gestire con eleganza e acutezza la forma del racconto. Ma Olga Tokarczuk è anche saggista con Lalka i perta (2001, "La bambola e la perla"), in cui affronta un'analisi della prosa e della figura del romanziere ottocentesco polacco Boleslaw Prus. Al romanzo e al tema ricorrente del mito è tornata con la sua ultima opera, Anna ln w grobowcach swiata (2006, Anna In nei sepolcri del mondo"). È stata candidata per tre volte al premio letterario Nike (1997, 1999, 2002), vincendo sempre il correlato premio dei lettori per il migliore libro dell'anno. Ha ricevuto il "Paszport Polityki" (1997), il premio della Fondazione Koscielski (1997), il premio "1 ponti di Berlino" (2002, con il patronato di Gunther Grass).


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