25 LUGLIO 2008 ORE 17.16

Aurora Borselli



25 Luglio 2008 ore 17.16.


Manca un’ora e 44 minuti alla chiusura, non passa più.

Fa un caldo impossibile, i miei colleghi si ostinano a tenere l’aria condizionata al massimo e le finestre aperte, per via della puzza di fumo. Così rimane caldo lo stesso, però almeno si consuma un bel po’ di energia elettrica. Peraltro da qualche anno sarebbe vietato. Fumare nei locali pubblici, intendo. Ma qui sono tutti un po’ stressati, o bestemmiano o fumano. A volte si grattano i genitali. Una volta ho trovato un articolo, su Repubblica o sul Tirreno, non ricordo, diceva che per la Cassazione grattarsi i genitali è reato. L’ho ritagliato e l’ho poggiato sulla scrivania del mio capo. Per tutta risposta si è dato una bella grattata di palle. Comunque. Oggi in pausa pranzo mi è capitata una cosa assurda, non sapevo se ridere o piangere. In effetti ho riso. E anche pianto. Mancava poco alle tre e l’ufficio non era ancora aperto, gli altri erano tutti al bar mentre io facevo le mie ricerche su internet, rustici in vendita, voli last minute per Marrakesch, le solite divagazioni. Mi entra uno, magro più dell’ombrello che aveva in mano, con questo sole. Giubbotto di jeans chiuso fino all’ultimo bottone. Sembrava che dovesse sforzarsi di tenere gli occhi dentro le orbite, tanto era scavato. Con la faccia di una a cui stai veramente rompendo le palle gli chiedo di cosa ha bisogno. Lui si siede di fronte alla mia scrivania, accavalla le gambe, e la stoffa dei pantaloni si schiaccia come se dentro non ci fosse nulla, forse un paio d’ossi. Gli guardo le mani, le dita sono oblunghe e le unghie sembrano quelle di una donna, non perché siano curate, anzi, sono anche un po’ sporche, ma sono lunghe e quasi delicate. Da subito questa persona mi fa un effetto strano, mi fissa con una specie di sorriso ma non sorride affatto, è più una smorfia o un ghigno, un ghigno consapevole, di uno che ti sta sfidando a un gioco a cui perde sempre. Mi dice che viene a nome di suo marito, che ha una ditta. Lì si ferma e mi fissa, sempre con quel ghigno di prima. Io ho pochi secondi per pensare a cosa dire, sono da sola e questo tipo mi mette a disagio, potrei dirgli che non ho capito, o che non ho tempo da perdere, ma lui mi guarda e sembra quasi che ci creda a quello che ha appena detto. Forse è una donna. Lo guardo meglio, no è senza dubbio un uomo. Però ha quelle dita strane. No, ha anche la barba, e anche se non l’avesse sarebbe comunque un uomo. Nell’arco di tre secondi mi balza in testa di tutto, voglio dire perché non può avere un marito? Già siamo in Italia, c’è il papa. A questo punto devo rispondergli, ma non posso usare nessuna parola che implichi una desinenza, femminile o maschile, perché non so se è uomo o donna, sì lo so che è un uomo, ma magari è una donna. “Di cosa vi occupate?”, sottinteso lei e suo marito, a questo punto ho messo dentro tutti e due, vediamo cosa risponde. Stavolta ride, o meglio sghignazza, e mi mostra tutti i denti, quei pochi. “Ha capito? Le ho detto che mio marito ha una ditta”. Ma non lo dice come per rispondere alla mia domanda, “cosa fate” “abbiamo una ditta”, lo dice per farmi notare che mi ha appena detto “ho un marito”. Non capisco se mi prende per il culo o se è semplicemente felice perché non ho battuto ciglio davanti al fatto che abbia un marito. Magari è una vita che gli ridono in faccia, e stavolta l’ho spiazzato. Il problema è che questo tipo mi fissa in modo strano ed è posizionato proprio di fronte all’unica via d’uscita, che è la porta principale. Gli dico che il mio capo è uscito a prendere un caffè e che avrei piacere che parlasse direttamente con lui. Alzo la cornetta e intanto mi sale su un disagio che trova un piccolo sfogo in una risatina isterica, compongo il numero del cellulare e porca puttana lo sento squillare dietro di me. Lo ha lasciato sulla sua scrivania. Aiuto, c’è un pazzo nel mio ufficio. Oppure è solo uno che ha un marito. Mi alzo di scatto e lo supero balzando verso la porta, “lo vado a chiamare” gli dico mentre lui si sta alzando dalla sedia. “non importa…allora passo un’altra volta”. È più veloce di me nel prendere la porta. Alla fine non ho ancora capito se era un uomo, se era una donna, se un pazzo, e se aveva un marito. Sì lo so che era un uomo e che era un po’ fuori di testa, ma solo perché è entrato nel mio ufficio, che si trova in Italia, qui gli uomini che hanno un marito o sono pazzi, o non sono uomini.



Aurora Borselli: Sono nata nel 1977 a Lucca, sono laureata in Scienze Giuridiche e lavoro a Viareggio.

Scrivere è la mia seconda vita, imparare l'alfabeto è stata una delle cose più entusiasmanti della mia esistenza, non parliamo poi del momento in cui ho capito che, a metterle insieme, tutte quelle lettere assumevano milioni di significati diversi.... Finora non avevo mai pensato di far pubblicare qualcosa di mio, sono arrivata a farlo spinta dagli eventi e dopo aver frequentato la scuola di scrittura Sagarana, dove ho potuto confrontarmi con altri che, come me, scrivono solo per passione.

Sto redigendo una piccola guida gastronomica e un ricettario per vegetariani, in queste due piccole opere cerco di fondere i miei due punti deboli, che poi sono anche i miei punti forti, lo scrivere e il mangiare bene!




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