METÀ RAGAZZA, METÀ SERPENTE


Unica Zürn


28 dicembre 1957


Dopo tanto tempo di nuovo un sogno la cui interpreta­zione contiene la parola immortalità. Ma in che modo inquietante!

Credo che questo sogno sia stato provocato dalle foto di una sala operatoria. In una rivista ho visto fotografie di orga­ni umani, espiantati da cadaveri e conservati nel ghiaccio per poterli impiantare in caso di necessità a chi ha avuto un inci­dente. La notte scorsa quindi ho sognato di un essere bello, pericoloso, metà ragazza, metà serpente, che amava uccidere. Per questo gli erano stati tolti tutti gli organi importanti con i quali avrebbe potuto provocare sciagure. Gli avevano tolto quindi gli occhi, la lingua, il cuore e altri organi per renderlo del tutto innocuo. Siccome era così bella, ce la volevano conservare come spettacolo mirabile, imbalsamandola così abilmente da sembrare viva. Una volta finito, ci si accor­geva con orrore che questo essere senza lingua, senza occhi e senza cuore parlava, vedeva e viveva – che senza sangue aveva una gran forza e che senza cervello evidentemente riusciva a elaborare dei progetti. Era diventata molto più vivace, passionale e intelligente, posseduta dall'odio e da desideri di vendetta – ricolma di una forza e di una rabbia che avevano qualcosa di disumano. Quanto a noi, potevamo salvarci dalla distruzione totale da parte di questo essere orrendo e mirabile soltanto con la fuga. Ancora al risveglio ero piena di que­sta chiara ammirazione per quell'essere. Mi dispiacque che il sogno fosse finito, altrimenti forse avrei saputo in che manie­ra quell'essere mi avrebbe annientato. O ero io stessa quell'essere? O era un'immagine della mia attesa del miracolo?

E calata la sera. Non ho più niente da annotare…

Niente, a parte l'inquietudine del cuore, che aumenta quando viene il buio. Inquietudine del cuore, del corpo, dal centro del corpo, che viene da sinistra a destra e anche dall'alto – dalla testa, che è contenta solo quando posa su un cuscino e gli occhi si sono chiusi nel sonno.

L'ingordigia del gatto Enrico è immensa. Tutto il suo essere si concentra sul sibilante fornello a petrolio dove brontola il brodo. Dorme, mangia, dorme, mangia. Riempie gli intervalli con le fusa. Quanto gli voglio bene! Quanta sete di compagnia ha lui! L'aria cattiva, soffocante, delle nostre stanze, prodotta dalle due stufe, fa sì che Enrico spesso se ne vada nella fredda anticamera, dove si mette nella culla vuota per continuare a dormire. Piove tutto il giorno – pioverà tutta la notte. Sono così svogliata, timorosa di ogni movi­mento, così priva di ogni allegria interiore che non mi sopporto più. Che noia – noia di dimensioni terribili – e cresce in continuazione. Sono scortese, antipatica – il mio corpo è una pappa grigia. Appassisco – sono già appassita – marcisco e ho un brutto odore – tutto è così brutto. Dimentico che ho delle gambe. Non riesco più a pensare giù fino ai piedi e potrei dire come la nonna di Hans: "Ah, com'è brutta la vita...". Tutto è sbagliato e non so come andrà a finire.



(Brano tratto da Due diari, Edizioni L’obliquo, Brescia, 2008, a cura di Eva-Maria Thüne.)



Unica Zürn (Berlino, 1916 – Parigi, 1970) è stata scrittrice e pittrice, vicina al movimento surrealista. Il suo romanzo L’uomo nel gelsomino è stato pubblicato in Italia nel 1980.


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