LA PRIMA NOTTE DI NOZZE

– Brano tratto dal romanzo Chesil Beach



Ian McEwan

 

(…) Sedeva li accanto a Florence con una mano sotto il vestito di lei, a carezzarle la coscia, da più di un minuto e mezzo. La sua voglia straziante cresceva ai limiti del tollerabile, e Edward era spaventato dalla propria furia impaziente e dalle parole o azioni rabbiose che avreb­be potuto produrre, mettendo fine all'intera serata. L'a­mava, certo, ma avrebbe voluto scuoterla forte, svegliarla a schiaffi e stanarla da quella rigida compostezza da mu­sicista, dalle sue buone maniere da brava ragazza di North Oxford, e mostrarle l'assoluta semplicità della cosa: che avevano a disposizione sconfinati orizzonti di libertà ses­suale; e bastava saperla cogliere, perfino con la benedizio­ne della Chiesa. Con il mio corpo ti onoro. Una libertà osce­na, gioiosa, nuda, che nella sua fantasia si ergeva come un'immensa cattedrale spaziosa, magari in rovina, magari scoperchiata, spalancata verso la volta del cielo, nella quale lui e lei sarebbero ascesi in assenza di peso verso un po­deroso abbraccio per perdersi, per annegare in ondate di purissima estasi dimentiche di tutto. Era talmente sempli­ce! Come mai non vi si trovavano già, e invece stavano ancora seduti intrappolati da tutte le cose che non sa­pevano dire, o che non osavano fare?

E in che consisteva l'ostacolo? Nelle rispettive perso­nalità unite al passato, a ignoranza e paura, timidezza, pru­derie, mancanza di fiducia in se stessi, esperienza e disin­voltura, più qualche strascico di divieto religioso, l'edu­cazione britannica e l'appartenenza di classe, la Storia insomma. Cosette di poco conto. Edward ritrasse la mano e strinse Florence a sé per baciarla sulla bocca, sfor­zandosi di contenersi al massimo, di tenere ferma la lin­gua. La distese indietro sul letto sorreggendole la testa con un braccio. Si coricò su un fianco, ritto sul gomito, per contemplarla dall'alto. II letto cigolava lugubremente a ogni mossa, quasi in ricordo di altre coppie passate di lí per il viaggio di nozze, tutte certamente più all'altezza di loro. E Edward trattenne l'impulso improvviso di ridere all'idea di quelle persone, una fila solenne che si allungava nel corridoio, fin giù alla reception, a ritroso nel tem­po. Era fondamentale non pensarci: il comico è veleno pu­ro per l'erotico. Inoltre doveva tenere a bada il pensiero che Florence potesse aver paura di lui. Credere una cosa del genere, l'avrebbe paralizzato del tutto. Florence gli si abbandonò tra le braccia, lo sguardo tuttora fisso nel suo, il volto rilassato e impenetrabile. Il respiro irregola­re e profondo, come se dormisse. Sussurrò il suo nome e le ripeté che l'amava, e lei serrò gli occhi un istante e soc­chiuse le labbra, forse in segno di assenso, o forse a indicare che ricambiava. Con la mano libera cominciò a to­glierle le mutandine. Florence si irrigidí ma non oppose resistenza, anzi sollevò, almeno un poco, le natiche. Ec­co ancora il rumore squallido delle molle del materasso, o forse dell'intelaiatura del letto, tipo belato di agnello pa­squale. Anche allungando al massimo il braccio libero, non c'era verso di continuare a sostenere la testa mentre ag­ganciava le mutandine e le faceva passare oltre ginocchia e caviglie. Lei lo aiutò piegando le gambe. Buon segno.

Non avrebbe arrischiato un secondo tentativo con la cer­niera dell'abito, perciò anche il reggiseno (di seta celeste pallido, l'aveva intravisto di sfuggita, con un bordino di pizzo) sarebbe rimasto dov'era. E tanti saluti al poderoso abbraccio di corpi nudi in assenza di peso. Lei comunque era bella anche così, appoggiata al suo braccio, con il vestito raccolto intorno alle cosce e ciocche ingarbugliate di capelli distese sulla sopraccoperta. Una regina radiosa. Si baciarono di nuovo. Edward aveva la nausea dal desiderio, misto a indecisione. Per spogliarsi sarebbe stato costretto a turbare quella disposizione promettente di corpi, rischian­do di rompere l'incantesimo. Bastava un leggero cambiamento, la combinazione di fattori minimi, refoli appena di dubbi, e Florence poteva cambiare idea. D'altra parte – ol­tretutto per la prima volta –, Edward era convinto che fare l'amore sbottonando semplicemente la patta dei calzoni sarebbe stato freddo e sguaiato. Oltre che irrispettoso.

Dopo alcuni minuti, si allontanò dal suo fianco per andarsi a spogliare in fretta e furia accanto alla finestra, lasciando così intorno al letto una zona protetta dalla bana­lità di quei gesti. Si sfilò le scarpe facendo leva con l'altro piede, e le calze con un gesto fulmineo del pollice. Notò che lei non lo stava guardando, e puntava invece gli occhi in alto, verso il baldacchino floscio che aveva sopra la testa. Nel giro di pochi secondi, Edward fu nudo, a parte cravatta, camicia e orologio. In un certo senso la camicia che nascondeva e al tempo stesso sottolineava la sua erezione, come un drappo su un monumento, rispettava edu­catamente l'etichetta stabilita dal vestito di lei. La cravat­ta, al contrario, era davvero assurda, e mentre tornava da Florence, Edward se l'allentò con una mano, mentre con l'altra si sbottonava il colletto. Il gesto aveva un che di spa­valdo e sicuro e, per un attimo, gli tornò in mente l'idea che un tempo aveva di sé: quella di uno magari un po' roz­zo, ma piuttosto in gamba. Subito dopo l'idea svanì. Lo spettro di Harold Mather continuava a tormentarlo.

Florence decise di non sedersi e di non cambiare nem­meno posizione; sdraiata supina, tenne lo sguardo fisso al panno color biscotto drappeggiato sopra le quattro colonne che, nelle intenzioni d'arredo, dovevano probabilmen­te evocare un'atmosfera da vecchia Inghilterra fatta di ge­lidi castelli in pietra e amori cortesi. Si concentrò sulla trama irregolare del tessuto, su una chiazza verde del diametro di una moneta – chissà poi come diavolo ci era finita lassù – e su un filo pendulo agitato dalla corrente. Si sforzava di non pensare al futuro prossimo e nemmeno al passato, e immaginava di aggrapparsi a quell'attimo, all'inestimabile tempo presente, come un alpinista in arrampicata libera che prema forte la faccia contro la parete di roccia, paralizzato dalla paura. L'aria fresca le accarezzava le gambe nude. Lei intanto ascoltava le onde lontane, il grido dei gabbia­ni reali, e il fruscio di Edward che si spogliava. Il passato la travolse comunque, un passato confuso. A evocarlo era stato l'odore del mare. Florence aveva dodici anni e stava sdraiata immobile come adesso, in attesa, rabbrividendo nella cuccetta dalle sponde in mogano lustro. Aveva la testa vuota, si sentiva umiliata. Dopo due giorni di traversa­ta, erano di ritorno nella calma del porto di Carteret, a sud di Cherbourg. Era tarda sera, e suo padre si stava spoglian­do, esattamente come Edward, nella cabina angusta e male illuminata. Florence ricordava il rumore degli abiti, il tin­tinnio di una fibbia slacciata o forse di un mazzo di chia­vi, odi qualche spicciolo in tasca. Il suo unico impegno era quello di tenere gli occhi chiusi e di pensare a una musica amata. A una qualsiasi, anzi. Ricordò l'aroma dolciastro, quasi da cibo guasto, che ristagna in barca dopo un viaggio difficile. Poiché di solito stava male più volte nel corso di una traversata, come mozzo di bordo non valeva niente ed era di certo quella, la causa della sua vergogna.

Ma non poté nemmeno evitare il pensiero dell'imme­diato futuro. La sua speranza era di riuscire, qualunque cosa l'aspettasse, a recuperare una sensazione analoga al dif­fuso piacere di prima che, crescendo, potesse sopraffarla e funzionare da anestetico della paura, e da salvezza della ver­gogna. Ma pareva improbabile. Il ricordo preciso di quella percezione, l'esserne risucchiata e il sapere esattamente in che cosa consistesse, era già andato assumendo i chiari contorni di un piccolo evento storico. Era accaduto una volta, in passato, come la battaglia di Hastings. E d'altra parte, era stato unico nella sua esperienza, e pertanto prezioso, come un oggetto di cristallo antico, fragilissimo: altra buo­na ragione per restarsene immobili.

Senti il letto scuotersi e sprofondare all'arrivo di Edward, e la faccia di lui prese il posto del baldacchino, invadendo il suo campo visivo. Sollevò dolcemente la testa per permet­tergli di infilare di nuovo il braccio sotto la sua nuca. E Edward se la tirò addosso premendola contro il suo corpo. Florence si trovò a guardare dentro il buio cavernoso delle narici di lui, in una delle quali, la sinistra, scorse un pelo rit­to come un uomo in preghiera davanti a una grotta, e vi­brante a ogni respiro. Le piacquero le linee circonflesse del labbro superiore. Alla destra del filtro, notò una macchioli­na rosa come una capocchia di spillo, la promessa o l'avan­zo di un brufolo. Contro il fianco sentiva la sua erezione, dura come un manico di scopa e pulsante, e con sua grande sorpresa, scopri che non la disturbava poi tanto. Quello che per il momento preferiva proprio evitare, era di vederla.

A sigillo del rinnovato incontro, Edward abbassò il ca­po e la baciò, sfiorando appena con la lingua la punta di quella di lei, altra premura di cui Florence gli fu grata. Con­sapevoli del silenzio calato al bar del piano di sotto – nien­te più radio, nessuna conversazione in corso –, si mormo­rarono i loro «ti amo». Pronunciare, anche se sottovoce, l'eterna formula che li univa garantendo la corrisponden­za del loro interesse, le era di conforto. Florence si chiese se non avrebbe perfino potuto farcela, a dimostrarsi abba­stanza forte da fingere in modo convincente e riuscire infuturo a sgretolare le proprie ansie, facendo ricorso a una maggiore intimità, fino a raggiungere il vero traguardo di saper dare e ricevere onestamente piacere. Non occorreva che Edward ne fosse al corrente, almeno fino a quan­do lei stessa non avesse deciso di dirglielo, forte a quel punto di una sicurezza nuova, adottando i toni leggeri del racconto divertente; su quando era ancora una ragazzina alle prime armi, in balia delle sue sciocche paure. Già ora non le dava più fastidio che lui le toccasse il seno, mentre un tempo l'avrebbe fatta inorridire. C'era speranza anche per lei, e a quel pensiero, Florence si fece piú vicina al petto di Edward. Si era tenuto, pensò, la camicia addosso, perché aveva i preservativi dentro il taschino, a portata di mano. L'accarezzò dappertutto, tirandole su l'orlo della gonna fino al girovita. Benché Edward si fosse sempre mostrato reticente riguardo alle ragazze con cui aveva fatto l'amore, Florence gli attribuiva senz'altro esperienze notevoli. Senti l'aria estiva entrare dalla finestra e solle­ticarle i peli del pube. Ormai si era spinta parecchio avan­ti sul territorio inesplorato, troppo per pensare di poter fare marcia indietro.

Non aveva mai immaginato che i preliminari d'amore potessero aver luogo in una scena muta, circondati da un silenzio così intenso. Del resto, a parte le solite due parole, che cosa poteva mai dire che non suonasse forzato o stupido? E dal momento che lui taceva, Florence pensò che si dovesse fare cosi. Certo, avrebbe preferito che si mormorassero le sciocche parole dolci di quando stavano insieme nella sua stanza a North Oxford, completamen­te vestiti, per interi pomeriggi. Florence aveva bisogno di sentirlo vicino per tenere a bada il demone del panico che sapeva sempre in agguato. Doveva sentire che Edward era con lei, al suo fianco, e che non l'avrebbe mai tratta­ta male, perché era un amico e un uomo gentile e tenero. Altrimenti ogni cosa avrebbe potuto prendere il verso sba­gliato, e rivelarsi assai triste. Quella rassicurazione che andava al di là dell'amore, Florence poteva averla soltanto da lui, e a un certo punto, non riuscendo più a trattenersi, gli rivolse una richiesta insensata: – Dimmi qualcosa.

L'unico effetto positivo immediato fu che la mano di Edward si fermò di colpo, non lontano da dove stava pri­ma, pochi centimetri sotto l'ombelico. Edward la guardò con le labbra appena tremanti: uno spasmo nervoso forse, o l'inizio di un sorriso, o magari un'idea che si stava per articolare in parole.

Con sollievo di Florence, intuì il suggerimento, attinse alla fonte delle loro consuete stupidaggini e disse in tono solenne: - Sei perfetta: viso incantevole, carattere d'oro, gomiti e caviglie sensuali, e che dire poi di clavicola e pu­tamen e vibrato? Farebbero impazzire qualunque uomo, ma tu sei solo mia e io ne sono felice e orgoglioso.

E lei: – Molto bene. Hai il permesso di baciarmi il vi­brato.

Edward le prese la mano sinistra e si mise a succhiarle una alla volta le punte delle dita, passando la lingua sui calli del violinista. Si baciarono, e fu in quel momento di re­lativo ottimismo che Florence senti le braccia di lui irrigi­dirsi, e all'improvviso, con un'unica rapida mossa d'atle­ta, se lo ritrovò addosso, e sebbene il peso del corpo fosse sorretto in larga misura da gomiti e avambracci puntati lungo i fianchi di lei, Florence si senti come immobilizza­ta e a corto d'aria, sotto quella massa. Fu delusa che non avesse preso tempo per accarezzarle di nuovo il pube, pro­ducendo in lei quel brivido strano e crescente. Ma la sua ansia attuale (un relativo miglioramento, rispetto a repul­sione e paura, no?) era quella di mantenere le apparenze, di non tradire le aspettative di lui e di non mortificare se stessa, oltre che di non rivelarsi una scelta penosa fra tutte le donne che Edward aveva conosciuto in passato. Do­veva farcela. Non gli avrebbe mai lasciato intendere il pe­so della sua lotta, il prezzo di quella calma apparente. Non desiderava altro che compiacerlo e fare di quella notte un ricordo felice, e non sentiva altro che una specie di con­sapevolezza fisica: la punta del pene di Edward, stranamente fresca, che le batteva con insistenza dentro e intorno all'uretra. Panico e schifo, pensò, erano sotto con­trollo; a Edward voleva bene e intendeva solo aiutarlo a ottenere ciò che desiderava tanto, facendosi amare anche di più. Fu in questo spirito che Florence infilò la mano de­stra fra il suo inguine e quello di lui. Edward si sollevò un poco per lasciarla passare. E lei fu fiera di sé, ricordando il manuale rosso secondo il quale era assolutamente accet­tabile che la sposa «aiutasse lo sposo a entrare».

Trovò per primi i testicoli, e senza alcuna paura prese con delicatezza fra le dita quel bizzarro accessorio peloso che già conosceva, in forme diverse, su cani e cavalli, ma che non aveva mai creduto potesse adattarsi anche al maschio adulto dell'uomo. Passandogli le dita sotto, giun­se alla base del pene, lo strinse con delicatezza estrema, non avendo idea di quanto potesse essere resistente e sen­sibile, lo accarezzò tutto fino in fondo, notandone con in­teresse la levigatezza di seta, e arrivò alla punta, che sfiorò appena. Poi, sorpresa dalla propria audacia, tornò un po' indietro, circondò con le dita più o meno la metà del pe­ne e lo spinse un poco più giù, finché lo senti toccare le grandi labbra.

Come poteva immaginare di aver commesso un errore terribile? Che avesse fatto un movimento sbagliato? O stretto troppo forte, magari? Edward diede in un gemito, una complicata sequenza di vocalizzi acuti e dolenti, il ge­nere di verso che le era capitato di udire una volta al cinema, nella scena comica in cui un cameriere, vacillando di qua e di là, sembrava sul punto di rovesciare per terra una pila di piatti.

Florence mollò sgomenta la presa, mentre lui, sollevan­dosi con un'espressione sbalordita e inarcando la schiena in una serie di spasmi, le schizzò addosso in fiotti violen­ti sempre meno copiosi, che le inondarono l'ombelico, la pancia, le cosce e perfino il mento e una rotula di un liqui­do vischioso. Fu una catastrofe, e lei seppe subito che era tutta colpa sua, che era semplicemente un'inetta, un'igno­rante, una stupida. Non avrebbe mai dovuto interferire, mai dare retta a un manuale. L'effetto non sarebbe stato peggiore se gli fosse scoppiata la giugulare. Davvero tipico di lei, immischiarsi presuntuosamente in faccende di una tremenda complessità; come non rendersi conto che, in circostanze simili, l'approccio che adottava alle prove del suo quartetto d'archi non poteva funzionare?

E poi c'era un ulteriore elemento, a modo suo ben più atroce e del tutto incontrollabile, in grado di evocarle ri­cordi che da tempo aveva deciso non essere suoi. Solo un attimo prima era andata fiera di come fosse riuscita a dominare i propri sentimenti e apparire tranquilla. Ora invece non era più in grado di reprimere il suo disgusto ini­ziale, l'orrore fisico procurato da quell'inondazione di flui­do, di viscidume proveniente dal corpo di un altro. Nel giro di pochi secondi, il liquido si raffreddò sulla sua pel­le esposta alla brezza marina eppure, proprio come aveva previsto, pareva la stesse ustionando. Nessuna forza di vo­lontà sarebbe riuscita a trattenere il suo grido istantaneo carico di repulsione. Sentirselo colare addosso in rivoletti collosi, quella sconosciuta lattiginosità, quell'odore inti­mo, glutinoso che si portava appresso il lezzo di un vergo­gnoso segreto confinato in un nascondiglio senz'aria: Flo­rence non poté vincersi, e dovette sbarazzarsene. Mentre Edward si ritraeva, lei si voltò di scatto e si mise in ginoc­chio, sollevò la sopraccoperta, agguantò un cuscino e prese ad asciugarsi freneticamente. Già mentre lo faceva si rese conto di quanto il suo comportamento dovesse appa­rire odioso, maleducato, di quanto dovesse ferire Edward vederla tanto smaniosa di ripulirsi da quella sostanza prodotta da lui. Perdipiù, riuscirci non era banale. Più se la spalmava addosso e più s'incollava, e in certe zone era ormai quasi asciutta, trasformata in una screpolata pellicola vetrosa. Florence era divisa in due: quella che gettava a terra il cuscino in preda all'esasperazione, e quella che os­servava la scena e si detestava. Era insopportabile pensare che Edward stesse guardando la donna violenta e isteri­ca che stupidamente aveva sposato. Avrebbe potuto odiarlo in quanto testimone di una scena che non avrebbe mai dimenticato. Doveva andarsene via.

In un parossismo di rabbia e vergogna, saltò giù dal letto. Intanto, l'altra metà di lei, quella dell'osservatrice, sembrava dirle pacata, senza ricorrere alle parole, Ecco, questo è esattamente ciò che si prova a diventare pazzi. Florence non riusciva a guardarlo. Restare in una stanza con una persona che la conosceva in questa veste, era una tortura. Raccolse le scarpe da terra, attraversò di corsa il sog­giorno, oltre le rovine della loro cena, si precipitò in cor­ridoio, e giù per le scale; poi uscí, svoltò l'angolo dell'al­bergo e percorse il prato verdissimo. Non smise di correre neppure quando finalmente raggiunse la spiaggia.



(Brano tratto dal romanzo Chesil Beach, Einaudi editore, Torino, 2007. Traduzione di Susanna Basso.)



Ian McEwan (Aldershot, 21 giugno 1948) è uno scrittore inglese, autore di Sabato, Espiazione e Amsterdam tra altri.

 

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