L’EUROPA DEVE DIVENTARE UN’ECO DEI SOGNI AMERICANI? Almos Czongár Sul saggio radiofonico “Gli USA e l’Europa” di Susan Neiman (Deutschlandfunk, 29-04-07)
Susan Neiman, cattedratica dell’Università di Princeton, professore ospite e direttrice del Forum Einstein di Potsdam, fece parlare di sé già nel 2003 col libro " Evil in Modern Thought: An Alternative History of Philosophy ldquo;, con cui provava a riconcepire la storia della filosofia mirando a un consenso di fondo sui “valori da noi tutti condivisi”, ovvero sulla supremazia della globalizzazione neoliberista.
Neiman definisce gli americani (statunitensi) “democratici nati”, “democratici dalla testa ai piedi”, mentre gli europei si caratterizzerebbero solo per aver imparato a poco a poco la democrazia, a dispetto di tutti i compromessi con le loro classi dirigenti. Da qui il collegamento storico tra “i sogni americani” e le realtà europee, con particolare riferimento alle “eccezionali strutture sociali” di ispirazione socialdemocratica. La sua prognosi per il futuro si può sintetizzare nella seguente formula: l’Europa deve diventare l’eco dei sogni americani. Si tratta evidentemente di un pio desiderio, una fantasia superficiale e ideologicamente motivata.
Neiman loda lo sforzo degli europei di confrontarsi onestamente (ovvero facendo autocritica) con la loro storia. L’autocritica e l’autodenuncia sono virtù dell’Illuminismo europeo, ma se la riflessione critica e il confronto con il passato sfociano in sensi di colpa, questo il senso della tesi, producono solo stalli e passività. A uscire da questo vicolo cieco possono quindi contribuire solo le visioni futuristiche degli americani, i cosiddetti “democratici nati” che non si fanno guidare dalle tradizioni del passato, “bensì dalle visioni del futuro”.
Ovviamente, con la colonizzazione di altri popoli gli europei si sono resi colpevoli. Nel XX secolo soprattutto i tedeschi, attraverso l’olocausto, si sono macchiati di grandi crimini. Ma accanto agli Usa, il mondo globalizzato neoliberista avrebbe bisogno, secondo Neiman, di un’Europa salda e decisa, che dovrebbe imparare a credere in se stessa. Con la sua sensibilità per la diversità etnica e culturale, con l’attenzione verso la cultura, le tradizioni e l’ecologia, l’Europa potrebbe offrire un importante contributo alla globalizzazione democratica. Dunque, quanto l’Europa sta per il passato, tanto l’America è orientata verso il futuro.
L’intento dell’autrice è quello di scagionare l’America dalle sue non minori responsabilità storiche, al fine di garantirle sullo scenario politico internazionale uno spazio di manovra, illimitato e non condizionato da sensi di colpa, che legittimi le sue “futuristiche visioni”.
Tacendo i crimini degli Usa, la filosofa mette così in dubbio, per fare un esempio, la secolare schiavitù della popolazione afro-americana e la sua lotta di emancipazione. Le concilianti argomentazioni di una “visione futuristica” risultano grottesche di fronte alla capitolazione verso un passato criminale, illustrabile attraverso infiniti esempi: l’omicidio di Martin Luther King e il terrore contro la popolazione nera fino agli anni Settanta del secolo scorso. A ciò si aggiungono la secolare oppressione della popolazione indigena, nonché le atroci guerre contro la Corea del Nord e il Vietnam, conseguenza dei nuovi rapporti di forza scaturiti dopo la Seconda Guerra Mondiale: guerre permanenti, che durano fino ad oggi. Dopo i “morbidi stravolgimenti” del 1990 nell’Europa orientale, sono stati proprio i “democratici nati” ad iniziare, cinicamente e senza riguardo, nuovi conflitti, come il brutale bombardamento di Belgrado, di cui furono vittime i civili innocenti (“danno collaterale”). Sono gli stessi “democratici” cantati da Neiman ad avocare oggi a sé il ruolo di giudice supremo del mondo, e a un tempo a limitare sistematicamente i diritti umani – vedi Guantanamo. Questa “visione democratica”, per la quale Neiman si entusiasma come una ragazzina, si rivela sempre più come la silhouette di un mondo governato da una regola di fondo: “sorvegliare e punire” (Foucault). Si tratta evidentemente di terrore, in nome della lotta al terrorismo.
Neiman, in quanto propagandista dei valori neoliberisti “da noi tutti condivisi”, col suo tono giovialmente semplicistico e ottimista, riesce anche a banalizzare un significativo capitolo della storia del pensiero tedesco. Nietsche non solo viene svilito al livello di una dama di società ricca di spirito, ma anche rozzamente falsato. Contro l’ideale prometeico di Goethe e Nietsche, di derivazione greca, Neiman evoca il “mito della creazione” e il “peccato originale”, facendo di Adamo ed Eva moderni borghesucci condannati a sudarsi il pane quotidiano. Quello che disturba l’autrice è la brillante critica della religione di Nietsche, che mostra all’uomo la strada per il superamento della propria sottomissione.
Neiman capovolge il pensiero di Nietsche, attribuendogli tutto ciò di cui il filosofo accusa la fede giudaico-cristiana. Come se Nietsche fosse un asceta fattosi carico delle proprie sofferenze tanto per soffrire, senza più alcuna speranza nella “gabbia della soggezione” (Max Weber). L’autrice bolla Nietsche come un nichilista puro, che scredita la vita e toglie all’uomo ogni speranza, ma in verità non ha capito niente del filosofo della “gaia scienza”.
È stato proprio Nietsche a difendere la vita contro la svalutazione religiosa, a renderla più umana. Attraverso il programma di una “rivalutazione di tutti i valori” mostrò il disumano nella soggezione religiosa, pianificando a un tempo una soluzione possibile e umana alla “minorità autoinflitta” (Kant), responsabile verso il regno degli uomini, e non verso la conciliante e secolare ubbidienza al sistema religioso e di potere, praticata da Neiman nel suo ossequio dei “valori da noi tutti condivisi”.
Traduzione di Antonello Piana.
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