VIAGGIO IN TRASPARENZA

- Omaggio a Salvatore Emblema -

Elena Pugliese



Ogni viaggio che si rispetti comincia da un certo luogo, in una certa ora, precisi. Ogni viaggio che si rispetti ha delle tappe che si susseguono fino all'arrivo, step by step. Ogni viaggio che si rispetti lo si può immaginare come una linea retta, puntuale verso ogni fermata. Per ogni viaggio che si rispetti c'è poi sempre un momento di preparazione, un pensiero altrettanto retto, tirato a lucido, che scivola via saltando solo gli imprevisti.

Insomma, ogni viaggio che si rispetti non è quello che stiamo per fare.

 

Partenza – Vesuvio: terra.

Ma quale terra? Mannaggia ‘a muntagna che ha fatto scappare anche gli americani nel '44, e gli americani so forti, che a sentire tutto che tremava se ne sono andati dritti dritti per dove erano venuti, che non ci si poteva credere, un bacio ‘a muntagna, ogni giorno, sì perchè hanno lasciato qua tutto, ma proprio tutto: scatolette di wurstel, salse, biscotti salati, chewing gum, cose strane, mai viste, cose da americani, vestiti, uniformi, fucili, carri armati, tutto, ‘a muntagna ci ha fatto bù e l'americano non c'è più. La seconda guerra mondiale è finita, mica tanto, ma anche grazie a sta terra, che appunto terra non è, perchè della terra ti devi fidare, invece qui è proprio... come dire... ti può mancare sotto i piedi da un momento all'altro e quando ti manca la terra sotto i piedi... Anche Nietzsche lo diceva: ‘ credete a me! Il segreto per raccogliere dall'esistenza la fecondità più grande e il più grande godimento, si chiama: vivere pericolosamente! Costruite le vostre case sul Vesuvio', parole sue. E ancora: ‘La città del sapere deve essere costruita sulla terra vulcanica continuamente esposta a terremoti e a rivoluzioni continue, terra che non è fondamento, ma abisso'.

E quindi. Qui siamo, a Terzigno, paese sul Vesuvio, e da qui si parte a raccontare di un pittore che la terra sotto i piedi l'ha sempre voluta, ma non l'ha mai data per scontata.

Di lui, che a questo punto possiamo anche presentare nome e cognome, di lui Salvatore Emblema si può dire che è parte della muntagna, anzi è proprio ‘na muntagna, un vulcano. Irascibile, imprevedibile, suscettibile, strabordante, in una parola: tanto, che se tanto tanto gli andavi contro, altro che mandare via gli americani, la terza guerra mondiale scoppiava.

Perchè alla natura bisogna portare rispetto.

 

La verità è che io non avevo la possibilità di comprarmi i colori, come tutti i pittori, allora andavo dal fornaio che mi dava dei sacchi e io sui sacchi non dipingevo, ma attaccavo le foglie, perchè per me il colore costava molto e la natura mi offriva le foglie gratis .

 

Che se vedevi un ragazzo raccattare foglie da terra, pietre nere, cenere, insomma, a Terzigno, paesino di poche anime, sopravvissute alla cacciata degli americani, pareva che il fuoco d'a muntagna l'avesse posseduto, pareva un indemoniato, un ragazzo che tutto tutto a posto non era, uno poco raccomandabile.

 

Vivendo a Terzigno ho avuto la possibilità di sfruttare il terreno, la terra e i lapilli vesuviani per estrarre i miei colori, come facevano per gli affreschi pompeiani.

Non erano mica le fabbriche a fare il colore, eppure dopo tantissimi anni sotto terra si sono mantenuti intatti, con la stessa luce, una luce che non si fabbrica. E' la materia che contiene la luce. E tutto questo l'ho scoperto andando in America.

 

Come in America?

E'tutto qui: la terra, i lapilli, la luce, il sole, ‘a muntagna, e bisogna che ce lo dicano gli americani che è tutto qui?

Ma si sa, la natura è materia mobile, sempre in evoluzione, in movimento e chissà che a volte è proprio nel movimento, nell'allontanamento che la vista migliora e tutto ci appare come non ci è apparso mai.

Ma andiamo per ordine, perchè in un viaggio, qualunque esso sia, alla fine un ordine c'è sempre, anche solo per necessità cronologica.

 

Prima fermata – Rockfeller

Della serie ‘se Maometto non va ‘a muntagna, ‘a muntagna va da Maometto'.

Emblema lascia quelle poche anime di Terzigno e posseduto da quel fuoco, perchè in effetti tanto torto non avevano, il fuoco dentro ce l'aveva, eccome, si sposta a Roma, diciamo pure a cercar fortuna, lui e la sua di lui futura moglie, che il fuoco aveva posseduto anche lei. Passione, impeto, foga, chiamatelo come volete, ma quel fuoco, quando scappa, scappa. E quando un fiume di lava scende a valle...

 

Tutto è cominciato con un quadro esposto in una vetrina della galleria di Chiurazzi in Via del Babuino. Era una piccola tela, un ritratto fatto di foglie, che fu acquistato da un signore americano di nome Rockfeller, che lasciò il suo biglietto da visita dicendo che se l'artista si fosse trovato a New York avrebbe voluto incontrarlo.

 

E che fai? Dopo che per due anni non hai neanche uno spicciolo per telefonare, un soldo per un fiore, ‘na sorpresa, niente. Che per due anni un benefattore ingegnere romano ti paga 22.ooo lire di affitto al mese, di tasca sua sì, per amor dell'arte, dell'onor che lega noi gente di giù, per istinto, fiducia... non so.

Che poi è una ruota, per un po' ti può anche andare bene. Vendere qualche quadro in più, lavorare anche per Cine Città, sì è successo, come aiuto scenografo. Conoscere la Roma di Fellini, lavorare con personaggi del cinema, attori veri, gente famosa, mondanità!

Ma è come quando le nuvole, quelle belle, bianche, si posano sulla bocca d'a muntagna e dall'alto, quando passi con l'aereo, lo vedi, lo capisci, che non possono stare lì per sempre, che prima o poi ti scoppiano in faccia e... bù, a Cine Città, come agli americani, alla bella vita, a tutto quello che non brucia come fuoco.

E così, la ruota gira e alle nuvole bianche arrivano quelle nere, che non portano niente di buono. E se hai la fortuna che un biglietto da visita di Rockfeller caschi proprio in mano tua, che fai?

Se Maometto non va ‘a muntagna, ‘a muntagna va da Maometto. Terzigno-Roma. Roma-New York. Italia-America. United States, USA!

 

Subito vendetti tutti i quadri che potevo ad una banca per quattro soldi. Mi vendetti anche l'anima per fare il viaggio in America.

 

America! Ma do stà sta America? L'America, alla fine degli anni '50, sta a otto giorni di nave. Otto giorni sulla Leonardo Da Vinci.

Il porto, la gente, le cabine, il ponte, difficile da immaginare, ma l'emozione, forse quella sì. L'emozione di andare, salpare. Giusto? Sbagliato? Che importa. Sicuramente necessario. Qualche quadro da mostrare a quelli di là, ‘na valigia. Il necessario. E quando una cosa è necessaria dove sta il problema?

 

Io credo solo alla necessità di fare le cose e nient'altro.

La necessità è una cosa che ti assale quando tra pensiero e azione non c'è più tempo. Devi. E a quel punto è fatta: sei in perfetta coincidenza col mondo.

 

E via. Otto giorni in mezzo al mare non sono pochi, ma a volte bastano per far succedere quello che non sarebbe mai potuto succedere sulla terra ferma.

Cose tipo che si possono incontrare persone importanti, straniere, sicuramente mai viste prima, come Don Henry, un musicista che era stato a Taormina per un concerto. Amico del comandante della Leonardo Da Vinci.

‘Perchè non organizziamo un'esposizione?'.

Una mostra? Qui? In mezzo al mare?

Una mostra, sì, in mezzo al mare. Strano, ma verosimile.

Così verosimile che a Nuova York di quadri da sdoganare ne erano rimasti pochi, i pochi non venduti.

Sdoganare?

‘Nine thousand dollars. You have to pay... tu pagare 9.000 dollari per i tuoi quadri'.

Ma ti pare che se avessi avuto 9.000 dollari me ne sarei venuto fino a qui, in America?

 

Mostrai il biglietto da visita di Rockfeller dicendo che era da lui che dovevo andare. Tempo zero, arrivò un'auto con autista a prendermi e subito dopo telecamere, tv, giornalisti. Tempo zero, ero diventato un caso: artista italiano chiamato da Rockfeller. Famoso artista italiano arriva in America. Giornali, titoli, servizi tv... America!

 

Il caso, la fortuna, il destino. Certo è che è proprio vero, esiste come una stella polare, un punto di riferimento. Un posto giusto al momento giusto, per tutti. Come un appuntamento, là, che ci aspetta, fissato chissà quando e da chi sa chi. E che fai? Non ci vuoi andare all'appuntamento? Anche solo per non mancare di rispetto. C'è solo una cosa, quella più difficile: arrivare puntuali. Perchè di appuntamenti, in ogni viaggio che si rispetti o che non si rispetti, ce ne sono eccome, il guaio è che non si sa mai quando e sopratutto, dove sono sti appuntamenti.

 

Seconda fermata: Argan.

E' proprio vero: l'A-ME-RI-CA spalanca la bocca, apre al mondo.

Era tutto un andare a casa di, alla galleria con. E per uno che andava a raccatta' foglie una appresso all'altra, fino in America è arrivato. E forse è proprio qui che doveva arrivare per non mancare a un appuntamento, quello più importante, quello karmico, decisivo insomma. E l'America è grande e di artisti è piena, e insomma quell'incontro, qualcuno lo doveva aver organizzato proprio bene, ma proprio al minuto, con l'atlante in mano e come vento far arrivare le foglie di Terzigno fino a New York, e come pioggia tra grattacieli, limousine, hamburger e drive in, far cascare proprio lì, a quell'ora, in quel giorno, davanti agli stessi quadri del Metropolitan Museum, Emblema e lui: il Professore, il punto di riferimento, che qualunque artista si sarebbe fatto fustigare in Piazza del Popolo pur di avere due righe scritte da lui. Lui, Giulio Carlo Argan: la stella polare.

 

Non mi interessava neanche esporre i miei lavori, ma solo assorbire, respirare, avvicinarmi a me stesso. Andai al Metropolitan per vedere gli affreschi pompeiani e rimasi incantato. Rothko mi disse: ‘tu vieni in America per conoscere la pittura, noi per conoscere la pittura veniamo a Pompei'. Guardando quegli affreschi si ha una sensazione di trasparenza, come se la luce venisse da dentro la pittura.

 

E quella luce non te la dà nessun Rockfeller, nessun critico d'arte, neanche l'America intera te la può dare, quella luce te la puoi solo andare a cercare, nelle zolle della terra, nella materia.

E i colori, le pietre, la cenere, è roba nostra. Solo nostra.

E allora sì che l'America è forte, che alla fine ci riporta sempre a casa.

E proprio perchè, per dirla come Nietzche, la terra d'a muntagna non è fondamento, ma abisso, è proprio lì che ci caccia l'America, dove penetra la luce del sole, a scoprire che la materia è viva, basta solo portarla fuori.

‘Interessante, mi venga a trovare quando torna a Roma', così parlò il Professore.

E chi ci pensò due volte?

‘Na valigia, un biglietto, e dritto dritto da dove ero venuto, come avevano fatto gli americani quando ‘a muntagna ha fatto bù, anche agli americani ci piace di più la terra loro.

Però sta America è proprio vero che te apre al mondo, non so, da là sembra che ci vedi meglio. La stradina della casa mia, la moglie mia che, altro che le americane, e quel sole. Tutto se vede dall'America, perchè l'America te fa sognà.

E così: Rockfeller-Pollock, Pollock-Rothko, Rothko-Argan, Argan-Roma, Roma-Terzigno.

 

Ultima fermata: the last stop.

Mi sono chiesto: ma la luce del sole può penetrare un quadro come penetra la terra?

 

Da che mondo è mondo un quadro si attacca a un muro e lì sta. Quello è. Cioè tu lo guardi e lui lì sta, a farsi guardare.

La luce del sole penetra un quadro come penetra la terra. Vorrebbe dire che se sulla tela, diciamo, c'è una pennellata rossa, questa pennellata dovrebbe assorbire la luce come fosse terra e quindi, alla fine, vivere di luce propria. Cose un po' da pazzi, fantascientifiche. Facciamo finta che la luce sia acqua. Il quadro dovrebbe assorbirla come farebbe una zolla di terra. In effetti, ne rimarrebbe pregna, ma proprio infradiciata. Ma come fa un quadro a emanare luce propria? Ci vorrebbe un quadro magico! Anche perchè la luce non è mica sempre uguale, più calda la sera, più fredda la mattina, forte, debole, insomma il quadro, secondo sta teoria, dovrebbe cambiare anche lui.

 

Dopo le foglie, che spezzavo per fare i ritratti, arrivarono i lavori con le pietre, ma nell'utilizzare questi materiali feci un errore. La materia era a servizio dell'immagine. La materia, invece, non deve essere a servizio di nessuno, ma solo di se stessa.

Va rispettata, solo così la liberiamo.

 

E avanti così, per anni, a far prove, a scambiar parole, a guardare sta luce de dritto e de rovescio, sopra il colore, sulla tela, insomma, Emblema si disperava, anche perchè bisognava pure campà, lui e la sua di lui famiglia tutta.

'Non si preoccupi Salvatore, il tempo le darà ragione', il Professore.

E le lettere, le nottate, le telefonate, Terzigno-Roma, Roma-Terzigno e avanti, Argan-Emblema, Emblema-Argan. E meno male che un giorno Leonardo da Vinci disse che per raggiungere l'essenzialità delle cose bisogna togliere, non aggiungere.

Perchè se non l'avesse detto e Emblema non l'avesse letto, mai avrebbe privato la tela del colore, lasciandola sola e nuda.

Allora? Che ne pensa, Professore?

‘Bellissimo. Peccato che dietro a questa tela c'è uno spazio. Uno spazio morto'.

E certo, tra il quadro e il muro, da che mondo e mondo, c'è uno spazio. Ma dico, che fastidio dà?

 

Cominciammo a vederci spesso con il Professore, quasi tutte le settimane, per discutere dei problemi della pittura, dello spazio morto al di là della tela, quando un giorno, una settimana prima di natale, gli telefonai e gli dissi: ‘Professore, mi sembra di aver trovato qualcosa di nuovo. Vedo qualcosa dietro'. Era un piccolo quadretto in cui io avevo sfilato la tela, sottratto alcuni fili, per cui era possibile intravvedere il muro dietro. Lo attaccammo alla parete e il Professore Argan disse: ‘Ce l'abbiamo fatta!'

 

Tiri un filo e la magia è fatta. Come spogliare una bella donna, sfilarla fino alla sottoveste e oltre, per scoprire che la verità è nuda. Togliere, privare, aveva ragione Leonardo.

Proprio una magia: la luce penetra la tela che a questo punto pare proprio sospesa, non più al muro, pare galleggiare nella luce stessa. E me li immagino quei due a fissare quel quadretto magico che, sotto i raggi del sole, e poi della luna e poi della lampada rimane sempre lì, sospeso, sempre lui ma sempre diverso, come diversa è la luce che lo penetra. Cose da pazzi, proprio da pazzi.

 

Quando ho sfilato il primo quadro, quello che ho trovato è stata una grande emozione. Ho visto la luce, che non era fatta da me, ma dalla natura. La luce è entrata in uno spazio dove non è mai entrata. La natura finalmente esprime se stessa per quello che è, questa è libertà: poter esprimere se stessi.

 

E allora, di fronte a tanta emozione, che capisci che niente sarà più come prima, che fai? Hai voglia di esprimerti anche tu, di liberarla tutta questa natura di felicità. Un brindisi, un gesto, un regalo di quelli che segnano l'inizio di qualcosa di nuovo. Un viaggio, una casa più grande, qualcosa di memorabile, che dura per sempre.

‘Salvatore, facciamoci un regalo: diamoci del tu.'

 

Era l'inizio del ‘69 e da quel giorno non ci fu momento in cui ad Argan non seguisse Emblema e ad Emblema Argan.

Un viaggio che durò una vita. Un viaggio che se non fosse vero, parrebbe fantastico, ma che dico, fantascientifico, magico proprio, come quel quadretto, che se ci guardi attraverso, ancora oggi, ce vedi tutta ‘a muntagna, le foglie, gli alberi, ce vedi anche l'America, Rockfeller, la Leonardo da Vinci, anche il musicista e l'ingegnere, tutta Roma, le grandi inaugurazioni, i titoli, gli articoli, i collezionisti, Rio de Janeiro, la Germania, la Spagna, i grandi artisti, ce puoi vedere ‘na vita intera, più tutto quello che ancora non c'è. Perchè, diciamocelo, nella trasparenza qualcosa di magico c'è.

E ve lo dico io che di lui, Salvatore Emblema, sono moglie, compagna, amante, confidente. Che tutto questo viaggio l'ha fatto insieme, sempre, pezzo a pezzo, anche quando le nuvole erano nere, quando l'America era lontana e le telefonate arrivavano a notte fonda come una festa sorpresa, quando i ragazzi crescevano e a casa era tutto un fermento, quando alle inaugurazioni non c'era volta che non ci fossimo tutti.

Anche quando un giorno, commosso, mi disse che il Professore gli aveva fatto un gran regalo, gli aveva chiesto di dargli del tu.

Accompagnarsi in questo viaggio non è stato sempre facile e, a dirla tutta, a volte non è che lo capissi fino in fondo, ma ora, nella trasparenza che ha lasciato, mi accorgo quanto sia vero che non ci sono barriere tra ieri, ora e quello che sarà. E' tutto un frammento di emozioni, immagini di chissà quando, chissà dove, che riemergono, appaiono, galleggiano in questa trasparenza che, come diceva Salvatore, se pare non ci sia nulla, in realtà c'è tutto.


Elena Pugliese : Per il teatro , A Woman left lonely. Omaggio a Janis Joplin, regia Maria
Grazia Solano, produzione Ass. Baretti, rappresentato in numerosi teatri d'Italia.
Photograph 51, regia Davide Livermore, produzione Festival delle Colline Torinesi, Ass. Baretti, in collaborazione con il Museo dell'Uomo di Torino. Rappresentato al XII Festival delle Colline Torinesi.
Ha partecipato a Teatropolis 2000 - Festival Intenazionale di Drammaturgia.
Per il Teatro Baretti: stesura di 'Storybrunch', serie di letture narrativo-divulgativo ispirate ai temi affrontati dagli spettacoli presenti in stagione.
Per le scuole: laboratori di poesia alle scuole medie.
Per le gallerie d'arte: dall'inizio del 2007 porta avanti il progetto 'Poetica dell'arte' con Artsinergy, gruppo di galleristi presenti a Roma, Vicenza, Lombardia, Marche, Sicilia, New York.
I testi realizzati hanno inaugurato le mostre di: Salvatore Emblema, Paolo Consorti, Monica Marioni, Antonio Pedretti.
Le sue poesie sono state pubblicate sulla rivista Sagarana n. 12 e 18. Ha ricevuto il Premio Pannunzio 2000, è stata segnalata al Premio Letterario Città di Melegnano 2002. Ha partecipato a Roma Poesia 2005 - Doctorclip: Primo Festival Internazionale di video poesia e a Torino Poesia 2006.


Contatti: elenese@tiscali.it



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