IL CAPITOLO “PETER WEISS” (2)

Evgenija Kazeva



Poi non ci siamo piú rivisti. Dopo la sua partenza ci telefonavamo spesso, qualche volta chiamava da Berlino, dove soggiornava in quanto membro corripondente dell'Accademia delle Arti. E ci scrivevamo. Vorrei citare da alcune lettere che raccontano la sua vita a Stoccolma e il lavoro all'” Estetica della resistenza ”. Testimoniano degli ostacoli e delle fatiche connesse a questo monumentale panorama politico, filosofico e culturale degli anni 1937-45, quest'enciclopedia dei tragici errori e crimini nella storia del comunismo:

“Sto in parte da solo con la mia bambina, che a novembre compirà quattro anni e richiede molto tempo. La preoccupazione per la bambina e per Gunila è costantemente presente, sicché difettano calma, concentrazione e continuità necessarie al grande progetto letterario. Da parte mia non voglio però lamentarmi, soprattutto ora conta trovare una possibilità di guarigione per mia moglie.

Ti puoi immaginare che in queste condizioni non sono stato in grado di rispondere alle Tue domande. Per puro istinto di autoconservazione devo impiegare le ore di cui dispongo, al fine di non perdere completamente il filo del romanzo. Mi scrivi che a Berlino sei riuscita a leggere “la lettera ai compagni addetti”. Da allora non è cambiato niente. Da un anno il libro è là fuori nel mondo, ma dalla DDR non si è udita o letta una parola.

Solo Hermlin mi ha scritto una lettera bella e coraggiosa, di cui gli dò atto. Senza considerare la TUA lettera, naturalmente! Per il resto i miei rapporti con quel paese, per il quale, come sai, mi sono sempre battuto con tutte le forze, sono al momento estremamente sterili. Tutto ciò è molto opprimente, non sono molto in forma, ho bisogno di fiducia ed energia nel lavoro.

E avverto sempre costante il gran peso, grande, grande, della freddezza che mostrano verso il mio lavoro i due paesi socialisti per cui ho sempre parteggiato politicamente. Ricomincio sempre a sperare – ma la vita è cosí breve!” (4.9.1976)

Per quanto riguarda le domande a cui Weiss non riusciva a rispondere per “istinto di autoconservazione”, si trattava di un questionario sulla “responsabilità dello scrittore” che avevamo spedito a quasi cinquanta autori di trenta paesi. Alla fine anche Peter Weiss ci inviò le sue risposte (Voprosy Literatury, 1976, nr. 12).

In quanto ai “compagni addetti”, Peter Weiss mi aveva mandato una copia della sua lettera all'Accademia delle Arti della DDR, in cui si lamentava in tono amaro e addolorato dell'indifferenza, vicina alla passività, dei suoi colleghi. Durante una visita a Berlino, mostrai quella copia ad alcuni conoscenti altolocati, perché temevo che la lettera fosse andata perduta chissà dove e perciò fosse restata senza risposta. Naturalmente la lettera non si era smarrita, le difficoltà riguardavano soprattutto il capitolo sui processi moscoviti del 1937-38. La questione “pubblicare o o non pubblicare” venne discussa animatamente. Un commento ironico di Hermann Kant venne sfortunatamente preso sul serio: i pochi che avrebbero letto il malloppone ne conoscevano già il contenuto, e coloro che non lo conoscevano non lo avrebbero letto. Questa supposizione si dimostrò errata. La prima, piccola tiratura di 3000 esemplari fu subito esaurita, si rese necessaria una seconda edizione piú consistente.

Da un'altra lettera: “Quel che piú mi impegna è il lavoro al terzo, all'ultimo volume dell'Estetica. Ti potrai immaginare che dopo otto anni di lavoro alla trilogia, devo mobilitare le mie ultime energie – e anche altre, quelle sovrumane! L'ultimo volume deve per sua natura essere il migliore, in nessun caso il testo deve calare, e questa è un'ambizione che adombra tutto. Per lunghi periodi mi sembrava di perdere le forze. Non riuscivo ad andare avanti, riscrivevo ogni frase decine di volte, era esasperante.

Anche dal punto di vista fisico le cose non andavano per il meglio. Il cuore, la circolazione, in piú è venuto fuori che ho troppo zucchero, ora devo seguire una dieta, ma queste sono solo le comuni preoccupazioni quotidiane che tutti hanno.

La cosa principale adesso è andare avanti con il libro. Devo rispettare una scadenza, il primo ottobre, se il libro deve uscire nella primavera dell''81 – e questo mi piacerebbe molto, non vorrei portarmelo dietro per un altro anno. Ma ciò dipende molto anche dalla continuità con cui riuscirò a lavorare.

Quest'ultima parte è anche per un altro motivo la piú pesante; racconta gli ultimi anni di guerra fino alla ‘pace', descrive quindi i piú terribili sacrifici umani, la distruzione della resisteza nella clandestinità tedesca, contemporaneamnete anche gli immensi successi della resistenza, in condizioni disumane. Nel rievocarle mi coinvolgono molto. Ma quell'epoca tu la conosci fin troppo bene dalla tua esperienza personale.

Ženija, penso spesso a te, alle ore da te, al tuo appartamento, alle nostre conversazioni, vorrei vederti e spero solo che la salute consenta a entrambi di rivederci forse una volta nella primavera del 1981 – magari a Berlino, è molto che ci manco, cosí come a Rostock, dove gli amici sono arrabbiati con me perché non mi faccio vedere da cosí tanto tempo. Mi ha fatto piacere sapere che anche tu sei stata a Rostock e hai incontrato sia Perten che Mockinpott.

Siedo qui nell'estate di Stoccolma e sudo sulla macchina per scrivere, mentre Gunila e Nadja sono in campagna. Nadja si è sviluppata stupendamente. A nov. compirà otto anni e ad agosto comincerà il secondo anno di scuola. Come è rapido lo sviluppo, con che rapidità un bambino diventa una persona cosciente, quasi adulta, con tutte le sue esperienze, decisioni, dubbi, insicurezze, sogni! E come sta tua figlia?

E Hermann Kant? Lo hai visto? Si è ripreso dal suo periodo difficile? Lo ammiro molto. Peccato che uno veda gli amici cosí di rado e peccato anche che il tempo trascorra cosí velocemente!” (24 Luglio 1980)

In tutte le lettere Peter Weiss scriveva della figlia Nadja, che occupava un posto speciale nella sua vita. In un documentario su Peter Weiss, sua moglie afferma che la vera passione della sua vita non furono le donne ma la figlia. Parlava molto di lei e lo angustiava il pensiero che un giorno dovesse affrontare la perdita di suo padre. Quando morí, scrissi una lettera a Gunila, che non conoscevo, esprimendole il mio cordoglio per Nadja. Gunila mi rispose saggiamente: “Nella sua infanzia ha ricevuto tanto calore dal padre, le deve bastare per tutta la vita.”

Nell'ultima lettera del marzo 1982, Weiss mi esponeva i suoi piani per il maggio successivo, che non poterono piú essere realizzati:

“Mi sono talmente rallegrato per la Tua lettera, che Ti rispondo malgrado sia immerso nel lavoro fino ai capelli. Perché non ho piú dato notizia di me? Dal maggio 1981 lavoro all'allestimento del mio ultimo dramma “ Il nuovo processo ”. Abbiamo la prima il 12 marzo. Per la prima volta eseguo io stesso la regia, Gunila la scenogafia e i costumi. Un lavoro enorme, una gran pièce, 33 scene (come associazione all'Inferno di Dante), il titolo come i nomi personaggi ripresi dal “ Processo ” di Kafka, un hommage a Kafka ma per il resto un dramma assolutamente autonomo, senza affinità con il mio rimaneggiamento del “ Processo ”.

È stata un'enorme fatica, immediatamente successiva agli anni del romanzo, ma il teatro mi attirava di nuovo in tal modo che non ho potuto tirarmi indietro.

Sí, Ženija, vorrei ancora una volta tornare a muovermi, viaggiare, dopo gli anni scorsi mi sento però alquanto provato. Riguardo a Simonov, mi ha fatto piacere e naturalmente approvo la pubblicazione (vedi foglio allegato). Per quanto possa pensare al di là del teatro, in questo momento potrei immaginarmi di venire a Berlino ad aprile – forse a maggio –, dovrei andare dall'editore Henschel, poiché come forse sai nella DDR finalmente esce l'” Estetica ”, tutti e tre i volumi ”. (9 marzo '82)

La lettera di Simonov riguardava il Congresso sulla Pace di Sofia del 1977. A quel tempo Simonov gli aveva scritto che sarebbe stato lieto di rivederlo e di compiere insieme qualche azione. Quando però Weiss apprese che le autorità bulgare avevano rifiutato un visto a Pavel Kohout, pubblicò una lettera di protesta e non andò a Sofia. Con la rinuncia di Weiss, anche per Simonov la trasferta non valeva piú la pena e la cancellò con un pretesto. Allora la lettera a Weiss doveva essere pubblicata in un volume di lettere di Simonov, per cui la commissione che gestiva il lascito mi pregò di chiedere l'assenso di Weiss.

Nel dicembre 1988 si tennero ad Amburgo i “Giorni di Peter Weiss”, un congresso internazionale a cui venni invitata anch'io. Alla domanda su come fossero arrivati al mio nome, gli organizzatori mi risposero che c'era arrivato lo stesso Peter Weiss, attraverso i suoi “ Notizbücher 1971-1980 ”.

Ero lieta di non arrivare a mani vuote: oltre ai miei ricordi personali, portai le foto del congresso degli scrittori di Mosca, dove Peter Weiss sedeva in prima fila, inoltre la Literaturnaja Gazeta con la recente traduzione del capitolo dell'Estetica e alcune riprese della rappresentazione del Marat da parte del Teatro della Flotta Baltica (in cambio riebbi indietro in quell'occasione le mie lettere a Weiss).

Tutto considerato fu una conferenza riuscita, in cui però nacque una breve ma accesa polemica con i colleghi della DDR. Dopo alcuni commenti sprezzanti sulla perestrojka in Unione Sovietica - non era affatto tale, la vera perestrojka si svolge nella DDR – mi vidi costretta, con tutto il bene (autentico!) che volevo alla DDR e contro il principio di non ingerenza negli affari di un altro paese, a menzionare alcuni fatti che avvenivano allora (per esempio, il divieto di alcuni nostri organi di informazione), e a ricordare il prezzo di sangue pagato dal nostro paese, prima di arrivare a quei promettenti e tanto anelati cambiamenti, che all'epoca erano ancora allo stadio iniziale.

Non c'è quindi da stupirsi che l'anno successivo non abbia avuto alcuna voglia di accettare l'invito alla conferenza su Peter Weiss a Jena.



Dal dattiloscritto: Evgenija Kazeva, “Il mio bottino di guerra personale. Storia di una vita”, a cura di Cornelia Köster (di prossima pubblicazione presso il BasisDruck Verlag, Berlino.

Traduzione di Antonello Piana.





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