BURLE
MARX
Bernardo Gutiérrez
A pochi chilometri da Rio de Janeiro c'è la tenuta di Roberto Burle
Marx, pittore e architetto. Un giardino con migliaia di piante e una casa piena
di opere d'arte
Il
verde si contorce nel blu, poi attraversa un nero ombroso. Corre fuggendo verso
un giallo seppia. Cavalca, verde su verde, su linee oblique, perpendicolari, parallele.
La prospettiva colloca ogni sfumatura di verde e ogni specie vegetale al suo posto:
blocchi nitidi, compatti, decisamente unici. Solo un architetto del paesaggio
visionario come il brasiliano Roberto Burle Marx avrebbe potuto concepire una
scala di verdi con tanta intelligenza e semplicità. Le piante sono distribuite
su diverse altezze e viste da lontano diventano arte astratta. Il
sítio (termine che in portoghese indica una piccola tenuta di
campagna) Roberto Burle Marx, con i suoi 35 ettari di natura, è un'opera
d'arte vivente in continuo cambiamento. Un'opera che va oltre le specie di vegetali
che la compongono. "Burle
era come Beethoven. Un genio che anche se non poteva usare uno dei cinque sensi
è riuscito comunque a sviluppare la sua arte. Prima di morire era
quasi cieco, ma nonostante questo riusciva a mettere ordine nella natura
come se fosse riuscito a vederne i minimi dettagli", racconta Robério
Dias, il direttore del sítio . Susana
Silva, una biologa di 23 anni che sta facendo qui il suo tirocinio, mi guida nel
paradiso privato di Burle Marx. Mi fa vedere delle agavi. A pochi metri di distanza
ci aspetta una monumentale Corypha umbraculifera , originaria
del sud dell'India e dello Sri Lanka, che in Brasile è chiamata "palma
dei cent'anni". "Ha dei bellissimi fiori che sbocciano dopo cent'anni
e subito dopo la pianta muore", spiega malinconica Susana. Passo
dopo passo ci imbattiamo in piante inverosimili e sorprendenti. Piante importate
(africane, europee, asiatiche) e native (pau Brasil, sapucaia, açaí,
samambaia). Durante la visita Susana mi svela i misteri della natura che
ci circonda: falsi cactus rivestiti di piccole foglioline; tronchi di pau
ferro da cui si estraggono sostanze altamente mineralizzate, cycas ,
"vegetali inferiori", gimnosperme impollinate dal vento. E un bell'esemplare
di Plumeria alba , che si staglia contro il blu metallico del cielo
e, sullo sfondo, il profilo della piccola cappella di Sant'Antonio da Bica. I
rami scendono formando degli archi, con dei fiori che emanano ognuno un profumo
diverso. Cogliendone uno, penso a Burle Marx, alla sua poliedrica vita di pittore,
scultore, architetto, paesaggista, cantante, ambientalista. Ognuna delle sue personalità
artistiche creava senza intralciare le altre. Vocazione
spontanea "Burle
Marx diceva sempre che quando dipingeva non voleva saperne niente dell'architettura.
Non mescolava le diverse sfaccettature di se stesso", mi aveva detto il direttore
del sítio . Ma a me sembra di intuire che nella disciplina del
paesaggismo Burle Marx si divertiva a fondere tutto, dalla pittura all'architettura.
Nei suoi giardini, mettendo ordine nella natura, scegliendo con gusto radici,
fiori, steli e foglie, Burle raggiungeva il culmine della sua creatività.
La sua
fortuna fu vivere a Leme (un quartiere vicino a Copacabana, a Rio de Janeiro,
sulla riva del mare), all'inizio degli anni trenta. Abitava accanto a Lúcio
Costa (l'architetto che ha progettato Brasilia, insieme a Oscar Niemeyer). Burle
era appassionato di piante e a 23 anni cominciò a prendersi cura di un
giardino del quartiere. Costa si fermava ogni giorno a osservare le piante modellate
dalla sensibilità e dalla dedizione di Burle Marx. Un giorno, nel 1932,
Costa bussò alla sua porta e gli propose di elaborare un progetto per una
casa a Copacabana. Burle accettò. Non sapeva che in sessant'anni avrebbe
realizzato nel mondo più di duemila opere. Burle
Marx ha conosciuto la flora del Brasile in Germania, dove ha vissuto con la famiglia
dai 19 ai 22 anni. La passione per la flora è nata al giardino botanico
di Dahlen. Noto
una piccola immagine di Nossa Senhora Aparecida, la patrona del Brasile.
Susana mi spiega che nella cappella si tengono battesimi, messe e matrimoni.
È stato sempre così, anche prima che Burle comprasse il sitio. Il
custode che ci accompagna aggiunge: "Qui si è sposato Romario, il
calciatore. Anche se non sembra, è un tipo fedele". In
fondo ci sono delle grate. "Qui si rifugiarono le monache di clausura della
zona durante l'invasione dei francesi, all'inizio dell'Ottocento. Da fuori non
si vede quello che c'è dentro e da dentro non si vede l'esterno";
mi spiegano. La
casa in cui Burle Marx visse molti anni e in cui passò i suoi ultimi
giorni è intatta. È un tipico edificio di campagna a un piano, con
il tetto di tegole e un portico esterno in equilibrio tra tradizione e avanguardia.
Il portico, affacciato su un piccolo lago pieno di ninfee, è una sfilata
di carrancas (sculture che raffigurano delle teste di animali)
provenienti dal fiume São Francisco, che attraversa gli stati
di Minas Gerais, Bahia, Pernambuco, Alagoas e Sergipe. Le
statue erano sistemate sulle barche come portafortuna. In casa di Burle ce ne
sono una decina in perfetto stato. Il salotto era pieno di altri portafortuna,
come le spade di san Giorgio e le lance. "Burle Marx non era superstizioso
né feticista ma adorava la tradizione della scultura dei popoli brasiliani",
spiega Susana. Mi
fermo a osservare una strabiliante conchiglia bianca dell'Indonesia. "Burle
collezionava conchiglie. Nel sitio ce ne sono più di duecento di tutti
i continenti", assicura Susana. Contemplo affascinato la sala riservata
alla ceramica. Mi appassiono alle moringas (statue dalle forme umane modellate
nell'argilla rossa, usate per contenere liquidi). Il resto della sala è
pieno di piatti, vasi, bicchieri, pentole. Ci sono sculture precolombiane,
arazzi, piastrelle, vetri colorati, lampade. E una collezione affascinante
di ceramiche della valle di Jequitinhonha, nello stato di Minas Gerais, una
regione in cui si mescolano la cultura indigena e quella africana. Su
una delle pareti ci sono dei quadri dipinti da Burle, una specie di incrocio
in bianco e nero tra le forme di Dalí e i paesaggi onirici del tedesco
Max Ernst. E nella sala da pranzo c'è
un enorme acquario, senz'acqua, che una volta ospitava dei pesci dell'Amazzonia.
La stanza
da letto è semplice e accogliente. Sotto il letto ci sono ancora le
scarpe e le pantofole, come se Burle Marx potesse tornare da un momento all'altro
a farsi un riposino. Sul comodino ci sono gli occhiali perfettamente puliti.
La passeggiata
continua attraverso un labirinto di aromi e sfumature di verde. Andiamo verso
le dépendance che Burle Marx metteva a disposizione dei suoi ospiti. Riceveva
sempre molti amici: artisti, pittori, musicisti. Anche l'architetto Le Corbusier
ha visitato questo posto quando è venuto a Rio de Janeiro. Susana ci fa
vedere la sala da musica, con un imponente pianoforte a coda con cui
Burle Marx interpretava le sue opere liriche preferite, ed era anche abbastanza
bravo. La nostra visita continua nell'ampio salone delle feste. Spedizioni
in Amazzonia Dopo
qualche ora passata nella tenuta, la nostra vista comincia a distinguere i dettagli
più minuscoli, verdi che sono dorati, bianchi o quasi rossi. Migliaia
di verdi dentro a un solo verde. Passeggiamo accanto alle piante di cacao, alla
Carludovica da cui si estrae la fibra per i cappelli panama, e di fronte alla
berimba (con cui si costruisce il famoso berimbau , lo
strumento della capoeira brasiliana). Susana,
con gli occhi che le brillano per l'entusiasmo, segnala una pianta di dimensioni
medie. "Quella invece è I' Heliconia aemygdiana Burle Marx,
una delle quarantasei piante scoperte dall'artista: ci sono ventuno specie
che portano il nome di Burle Marx". Burle aveva una passione smisurata per
la botanica. Quando sentiva parlare di qualche regione del Brasile in cui
la natura era incontaminata, imbarcava amici e studiosi su qualche pullman e partiva.
Visitò con le sue spedizioni il sud del Brasile, l'Amazzonia e buona parte
del litorale del paese. Mentre
scende la sera, con il sole dorato dell'Atlantico che si posa sui verdi infiniti
di cui si innamorò Burle, ascoltiamo estasiati delle spiegazioni sui
vari tipi di piante. Mi sembrano le più letterarie che abbia mai sentito.
Un fiore che ha il colore, la consistenza e perfino l'aroma della carne putrefatta,
perché deve essere impollinato dalle mosche. E in questo modo, con la sua
putrefazione poetica e sensuale, riesce a sopravvivere. Uscendo
da lì, ubriaco di aromi, capisco molto meglio Burle. Adesso, dopo gli alberi
che profumano d'aglio, le palme che fioriscono dopo cent'anni e l'albero dei fiori
dagli odori infiniti, so perché Burle è diventato uno specialista
dei giardini costruiti nelle città. Finita la sinfonia di bromelie e agavacee,
capisco perfettamente una delle sue frasi più famose: "I giardini
restituiscono alle persone il verde che la città gli ha rubato": E
annusando un fiore bianco, irripetibile nella sua unicità, capisco tutto:
adesso so che nei petali, in una goccia invisibile di profumo, c'è tutto
l'universo di Burle, tutta l'arte, la pittura, la scultura, la musica, le curve
sinuose dei giardini. Tutta la bellezza e l'amore del mondo.
(Articolo tratto
dalla rivista Internazionale n.715 del 25 ottobre 2007, apparso inizialmente
su Travesías, Messico.)
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