EUROPA TERZA VIA?

Gianni Vattimo


Non per caso questo secondo articolo di tema europeo non è più uscito su "l'Unità". Nel marzo 2004 "l'Unità" era già avviata al cambio di direzione, compiutosi poi tra la fine del 2004 e la primavera 2005, e comunque il mio distacco dai DS era già piuttosto netto. In questo articolo si faceva ancora appello agli elettori europei perché nelle elezioni previste per il giugno successivo votassero per partiti orientati in senso non pro-americano, smentendo dunque la tesi della inesistenza di una terza via tra la politica USA e il "terrorismo internazionale". Le successive elezioni europee non manifestarono affatto questa scelta; mentre anche la cosiddetta sinistra italiana si andava spostando sempre più verso il centro e dunque su posizioni di "occidentalismo" senza riserve. Lo stesso Prodi, cosa che i DS si affrettarono a dimenticare per costruire il listone ulivista, assumeva varie iniziative per creare, in Europa, una forza moderata alleata con Bayrou, il cui piccolo partito, in Francia, era parte della maggioranza di Chirac; e i cui deputati europei rifiutavano di entrare nel gruppo della Democrazia liberale (quello di Rutelli e compagni) perché lo trovavano troppo laicista! La speranza di poter parlare di "Socialismo ossia l'Europa" (questo il titolo del pezzo) era sempre più pallida.
E se il rischio di appeasement, il fantasma di una nuova Monaco che ci viene sempre agitato davanti quando manifestiamo contro la guerra in Iraq, fosse da prendere sul serio, rovesciandone però i termini in modo sostanziale? Se, cioè, la volontà egemonica a cui non dovremmo piegarci per garantire un futuro alla pace e alla democrazia nel mondo fosse proprio quella dei neoimperialismo degli Stati Uniti? Se leggiamo per esempio l'articolo che un eminente esponente dei liberal DS, Franco Debenedetti, ha pubblicato sulla "Stampa" del 23 marzo, sotto il titolo "Non ci sono terze vie", è questa la conclusione a cui abbastanza logicamente giungiamo. Se è vero che non ci sono terze vie - sul piano dell'ordine capitalistico interno, ma soprattutto sul piano dei rapporti internazionali - ebbene, noi stiamo dalla parte dei nemici della civiltà occidentale. Certo, il titolo dell'articolo di Debenedetti va probabilmente, o meglio, sperabilmente, declinato al futuro. Con la politica di Bush e con il suo corrispettivo simmetrico, il terrorismo, non ci saranno più, in un futuro vicino, terze vie. Se si va avanti così, presto qualunque forza di opposizione progressista si troverà obbligata a scegliere tra Sharon e i palestinesi, tra la società disciplinare dominata da Bush o da chi per lui e l'immensa moltitudine del sottoproletariato mondiale sempre più povero e sempre più ristretto nelle sue "riserve" sociali, geografiche, sanitarie (campi profughi o lazzaretti per gente che muore di sete, malata di AIDS, di dissenteria, di malaria...). Chi non sarà "scivolato" nel Terzo Mondo - secondo un'altra minaccia favorita dai teorici dell'alternativa secca - o chi non vorrà assoggettarsi alla disciplina della fortezza assediata (dove ogni facilità di vita sarà duramente limitata dalla sempre più rigida militarizzazione) dovrà prender partito per gli "altri", e l'accusa che ora si muove ai pacifisti, di fare il gioco dei terroristi, diventerà un'accusa del tutto fondata.
È un quadro troppo fosco? Lo è, solo però se non prendiamo come definitiva la tesi sull'inesistenza di terze vie. Che oggi viene agitata per compattare l'Occidente, come se tutti quelli che stanno da questa parte del "muro" - quello ideale che ci separa dai rogue states, quello reale che Sharon sta costruendo in Palestina - si sentissero americani minacciati; ma che, se viene presa sul serio, realizzerà davvero ciò che crede di profetizzare. E quanto a quadri foschi, che cosa significa il rapporto del Pentagono sulla imminente lotta per le risorse basilari della vita sul pianeta - aria e acqua anzitutto - per la quale l'Occidente dovrebbe essere preparato a molto breve scadenza? Mentre la politica di Bush, guardata dal punto di vista dei suoi esiti immediati, ha tutti i caratteri di un clamoroso fallimento - l'Iraq niente affatto pacificato né "democratizzato", l'Afghanistan ancora peggio, il conflitto palestinese sempre più irrisolubile - è del tutto spiegabile come scelta razionale se collocata sugli sfondi apocalittici che sta contribuendo a realizzare. Gli USA si attrezzano per lo scontro che la fine dell'ideologia marxista sembrava aver cancellato dall'orizzonte della storia, e che invece si sta preparando sotto i nostri occhi e con il nostro attivo contributo: la proletarizzazione sempre più accentuata, anche nelle zone ricche del pianeta, che non sembra destinata a dar luogo solo a una lotta tra due contendenti - i signori e gli schiavi. I protetti "interni" e gli esclusi "esterni" al muro. All'interno della fortezza dei privilegi è sempre più marcata la differenza tra padroni e servi; questi ultimi, in nome dell'inesistenza di terze vie, dovrebbero sentirsi pienamente partecipi del mondo in cui vivono, identificandosi (massmediaticamente, berlusconicamente) con i loro padroni, e apprestandosi a difendere con ogni mezzo il loro ordine "democratico". Quelli che si agitano là fuori sono tutti accomunati dal nome di terroristi, cioè nemici e basta: del "nostro" benessere, della nostra "civiltà", dell'umanità vera. E se prendessimo finalmente atto che tutte le rivoluzioni, o le resistenze, sono state iniziate sotto forma di atti "terroristici"? Se ci rendessimo conto, anche, che per i tedeschi occupanti i partigiani erano "banditi"? Non si può, significherebbe pretendere di distinguere troppo fra chi fa una guerra e chi, invece, pratica un nichilismo violento privo di ogni giustificazione, come qualcuno che agisce sotto l'effetto di droghe. L'uso stesso del termine "terrorismo", e (più vago ancora) "terrorismo internazionale", è ormai solo un segno che si accetta la visione della storia foggiata dal Pentagono e a suo uso. Infine: una terza via c'è ancora. L'Europa, approfittando della scadenza delle imminenti elezioni, potrebbe e dovrebbe finalmente capire che il suo avvenire e quello della democrazia nel mondo risiede nel costruirsi proprio come terza via, mettendosi insieme (a capo?) ai tanti paesi non allineati, a cominciare dal Brasile di Lula, per contrastare la terroristica divisione del mondo a cui gli Stati Uniti e i loro alleati stanno lavorando. Certo una tale decisione implicherebbe modifiche sostanziali nella politica economica dell'Unione, per esempio una netta presa di distanza dal protezionismo agricolo che strangola la produzione di tanti paesi. È un esempio di come gli europei dovrebbero accettare di immaginare una politica di riduzione delle proprie pretese a favore della costruzione di un futuro pacifico, e anche di una difesa delle proprie condizioni, insieme economiche e culturali, di sopravvivenza. Può darsi che la sinistra "di governo" trovi che un tale orientamento sia poco realistico, in tempo di elezioni è sempre obbligatorio parlare di "sviluppo" (e cioè concorrenza, libero mercato, tanto peggio per i deboli). Ma si potrebbe almeno cercare di non dimenticarsene del tutto.




(Testo tratto da Ecce comu, come si ri-diventa ciò che si era, Fazi Editore, Roma, 2007.)


Gianni Vattimo: fra i maggiori filosofi italiani, Vattimo si è impegnato personalmente anche in politica, con i radicali, poi con i DS ed infine con il PDCI. Tra le sue ultime opere ricordiamo: Nichilismo de emancipazione, e con Richard Rorty, Il futuro delle religioni.



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