LAVINIA


Rubem Fonseca






Provai ad avvisare Lavinia che sarei passato da casa sua, ma lei doveva essere uscita, al telefono non rispondeva e il cellulare, naturalmente, era scarico come al solito.
Io avevo la chiave dell'appartamento di Lavinia e lei aveva la chiave del mio. Ma nessuno dei due passava a casa dell'altro senza prima avvisare. Questo è il sistema migliore: vivere in case separate. Può anche essere nello stesso quartiere, ma non nella stessa strada. Cosi, l'amore dura di più e, insieme all'amore, la felicità. Era il nostro caso, io e lei ci amavamo ed eravamo felici. A volte Lavinia dormiva a casa mia, ma io non dormivo mai a casa sua.
Oltre a vivere in case diverse, non ci vedevamo nemmeno tutti i giorni, a volte appena due volte a settimana. Lavinia aveva i suoi impegni ed io i miei. Conosco coppie che andavano molto d'accordo finchè non sono andati a vivere insieme. All'inizio lo trovavano addirittura stimolante, ma dopo poco la relazione diventava una cosa noiosa, e dopo la noia arrivava l'insofferenza, poi il disgusto, poi la rassegnazione, poi l'indifferenza e alla fine un'insostenibile repulsione.
Tra me e Lavinia non succedeva niente di tutto questo. Nei fine settimana a me piaceva andare alla Regione dei Laghi, ma lei detestava prendere il sole, e allora io ci andavo da solo con gli amici e lei non mi stava a chiedere con chi ero andato o che cosa avevo fatto. In queste occasioni andava in montagna, a Itaipava, e nemmeno io le domandavo con chi fosse stata o che cosa avesse fatto. Il nostro rapporto era di lealtà e fiducia. Se le avessi telefonato e lei mi avesse detto che non potevamo vederci perché stava aspettando un'amica che era andata a chiederle aiuto, io avrei capito. Lo stesso sarebbe accaduto se fossi stato io a cancellare il nostro appuntamento.
È stato buffo il modo in cui ci siamo conosciuti. Il primo incontro tra un uomo ed una donna può avvenire in mille maniere, ma credo che il nostro sia stato particolare. Stavo camminando per strada quando qualcosa mi cadde sulla testa. Per alcuni secondi persi i sensi. Quando ripresi conoscenza ero sdraiato sul marciapiede, accanto a me un vaso di fiori rotto e la terra sparsa al suolo. Passando la mano sulla testa mi accorsi che sanguinava. In quel momento Lavinia spuntò chiedendo scusa, dicendo che il vaso era caduto dalla sua finestra al quarto piano e che mi avrebbe portato all'ospedale. Risposi che mi sentivo bene, che ci sarei andato da solo, ma lei insistette, discutemmo, finimmo per andarci insieme.
Mi dettero otto punti. Non credo che molte storie siano iniziate in questo modo.
Ma come stavo dicendo cercai di avvisare Lavinia che sarei passato da lei visto che avevo trovato il cioccolato belga che lei adorava, ma siccome non era in casa, decisi di farle una sorpresa. Avevo anche un barattolo di gelato al cioccolato. La mia idea era di mettere il gelato nel freezer e la cioccolata sul tavolo per farle una bella sorpresa quando fosse tornata.
Comunque sia, entrando in salotto chiamai Lavinia. Lei non rispose. Misi il cioccolato sul tavolo del salotto, in bella vista, ed il gelato nel congelatore. Notai che la porta della camera era aperta, quella dello studio anche, ma quella del bagno era chiusa, con la luce accesa. Lavinia doveva essere in bagno.
Di solito, quando Lavinia entrava in bagno ci metteva un'eternità. Faceva un bagno lungo e rilassante, poi si spalmava meticolosamente delle creme, poi si spazzolava i capelli e alla fine si truccava. A me piaceva di più acqua e sapone, senza trucco, ma lei diceva che altrimenti sembrava troppo pallida e con le occhiaie. Sarei occhiaiuta, diceva, trovando divertente l'aggettivo.
Avvicinai l'orecchio alla porta del bagno ma non sentii il minimo rumore. Preoccupato, bussai piano alla porta, dicendo, Lavinia ti ho portato la cioccolata.
Quando sentiva parlare di cioccolata, apriva sempre la porta di corsa, non importava cosa stesse facendo. Ma quel giorno Lavinia non aprì la porta né diede altri segni di vita. Bussai con più forza e parlai a voce più alta, ho portato gelato e cioccolato belga, se non apri subito la porta me lo mangio tutto.
Niente. Forse anche lei mi stava preparando una sorpresa. Quale poteva essere? Si era tagliata i capelli? Io preferivo che la sorpresa fosse un'altra, mi piacevano molto i lunghi capelli di Lavinia.
Bussai con forza. Lavinia,ti sei tagliata i capelli?
Allora aprii la porta ed entrai nel bagno.
Lavinia era stesa dentro la vasca con le vene tagliate. L'acqua era rossa di sangue. Lavinia è sempre stata pallida, ma non l'avevo mai vista così, bianca come un giglio, con le occhiaie nere che rendevano il suo viso ancora più bello.
Mi sedetti sul pavimento del bagno. Sentivo i miei stessi gemiti, ansimavo come un animale ferito a morte che non riesce a ruggire. La donna che amavo era morta, l'avevo persa per sempre. Mi stesi per terra e cacciai un grido d'angoscia così forte che echeggiò per tutta la casa.
Non so per quanto tempo rimasi lì, raggomitolato, sul pavimento del bagno. Mi ricordai che Lavinia diceva spesso che sua madre, Alzira, che non avevo mai visto e con cui non avevo mai parlato, nemmeno per telefono, viveva nel quartiere di Tijuca. Dovevo avvisarla. Fatto questo avrei chiamato la polizia, come stabiliva la legge.
Il computer dello studio era acceso, Lavinia non lo spengeva mai. Cercai nella rubrica il nome Alzira. Non lo trovai. Ma trovai "mamma".
Feci il numero, chiesi della signora Alzira. Quando venne al telefono riuscii a controllare l'emozione e dissi che Lavinia non stava bene, una cosa molto grave, che venisse immediatamente a casa sua accompagnata da qualcuno.
L'aspetterò signora Alzira, dissi, reprimendo un sospiro profondo che stava per esplodere nel mio petto.
Gilberto? Chiese la signora Alzira.
Rimasi ammutolito.
Avete fatto pace Gilberto? Meglio così, perché c'è rimasta molto male quando avete litigato. Ah, Gilberto, Dio ha ascoltato le mie preghiere!
Le ripetei di venire immediatamente e riattaccai.
Poi tornai in bagno e contemplai il bellissimo viso di Lavinia.
Lentamente uscii dal bagno, lentamente uscii dall'appartamento, lentamente mi incamminai per la strada, lontano da lì.



(Racconto tratto dalla raccolta Ela, Casa Editrice Companhia das Letras, São Paulo, Brasile, 2006. Tradotto da Julio Monteiro Martins, insieme ai suoi allievi del 2° anno di Lingue dell'Università di Pisa.)




Rubem Fonseca




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