DOPO LA MANIFESTAZIONE

- Brano del romanzo The dreamers -


Gilbert Adair




(...) Il carrefour era una terra desolata. Le auto capovolte, gli autobus incendiati, i caffè distrutti, i ristoranti saccheggiati, gli ultimi feriti che zoppicavano lungo le vie laterali... ogni cosa segnalava che lo scontro cui avevano appena assistito era stato solo una schermaglia rispetto al combattimento di cui questa scena era il semplice strascico.
Al centro della piazza sorgeva una barricata. Per costruirla erano stati abbattuti, nel giro di un paio d'ore, i platani che fiancheggiavano da secoli il boulevard Saint-Germain. Adesso che la battaglia era finita, adesso che la lotta era stata vinta e persa, la barricata era a cavalcioni della strada deserta, indifesa, buona solo per accendere un falò.
Un anziano con un basco blu scuro e una benda nera sull'occhio si rifugiò nell'ingresso del cinema Danton. Con i frammenti di vetro che gli scricchiolavano sotto le scarpe come neve, si sforzò di assimilare il tutto. Le lacrime gli sgorgarono dall'occhio buono. Senza rivolgersi a nessuno in particolare, gridò: "Canaglie! Canaglie! Questi alberi facevano parte della storia di Parigi. E la storia a essere stata demolita!" Non aveva ancora capito che la storia era anche stata fatta, che la storia si fa proprio abbattendo gli alberi come un'omelette si fa rompendo le uova.
Vicino all'entrata della metropolitana c'era una colonna moresca in cima alla quale, come King Kong - quel Quasimodo dell'Empire State Building - era accovacciato un giovane barbuto dal ventre prominente con indosso una giacca a vento verde pallido. Dopo aver tentato più volte di raddrizzarsi, vacillando e appoggiandosi a un sostegno verticale per poi ricadere carponi, riuscì finalmente a restare in equilibrio. Dal modo in cui contemplava lo sfacelo, si sarebbe detto che fosse sul punto di battersi il petto.
Dando ascolto all'istinto, Théo, Isabelle e Matthew corsero lungo il marciapiede meridionale del carrefour oltrepassando il cinema Danton, la bouche du metro e la colonna moresca per poi sbucare nella rue Racine. Lì, il cancello dell'Ecole de Médécine era aperto. Il cortile era affollato di dimostranti che vi si erano accalcati come profughi nel campo di raccolta di un'ambasciata. I muri erano tappezzati di cartelloni mimeografati che annunciavano sedute, riunioni e adunanze nonché di manifesti, ultimatum e scurrili scritte satiriche su Marcellin, il ministro degli Interni, su Grimaud, il prefetto di polizia, e su de Gaulle.


Sospinti dalla ressa, i tre amici entrarono nell'edificio.
Dentro, l'atmosfera era surreale e bizzarra. Studenti di medicina poco più che adolescenti gironzolavano lungo i corridoi indossando mascherine da chirurgo per proteggersi dai lacrimogeni. Sopra la porta a battente che dava accesso alla sala operatoria, qualche buontempone aveva attaccato un teschio con le ossa incrociate: non una bandiera, bensì un teschio vero con due ossa vere. Nel seminterrato, che ospitava l'obitorio, cinque o sei cadaveri nudi di carne congelata e dura come il marmo erano stesi su carrelli scintillanti.
In quella fredda camera bianca, queste statue della morte, questi polverosi calchi della morte, scheggiati ed esposti a commenti osceni e sguardi fermi, sarebbero sembrati morti anche ai morti. Erano pervasi dalla morte come un moribondo può essere pervaso dal cancro. Nemmeno Cristo sarebbe riuscito a resuscitarli.
Intorno ai cadaveri si svolgeva una discussione. Se la scuola fosse stata messa sotto assedio, avrebbero dovuto portarli in cortile e lanciarli oltre il cancello contro le CRS?
Certo, esisteva il glorioso precedente del Cid, la cui salma, assicurata alla sella, aveva guidato l'esercito spagnolo in battaglia contro i mori. Nessuno sapeva tuttavia che cosa fare. Nessuno osava prendere l'iniziativa. Questi giovani iconoclasti si rifiutarono di usare i morti.
Un'ora dopo, quando giunse la notizia che le CRS avevano svoltato lungo il boulevard verso Saint-Germain-des-Prés, gli studenti che quel giorno non erano in servizio, quelli i cui nomi non figuravano sull'elenco dei "turni" affisso in una bacheca nell'atrio centrale della scuola, sgattaiolarono in strada e si diressero verso casa.
Avendo deciso di non chiedere informazioni a nessuno per il timore di rendersi ridicoli, anche Théo, Isabelle e Matthew colsero l'occasione per svignarsela.




(Brano tratto dal romanzo The dreamers, Rizzoli, Milano, 2004.)


Gilbert Adair è uno dei più noti osservatori culturali inglesi. Giornalista, critico cinematografico, sceneggiatore e traduttore di Georges Perec, scrive sull'Independent on Sunday. Ha pubblicato numeriosi saggi e romanzi. Da The dreamers Bernardo Bertolucci ha tratto uno dei suoi film più recenti.


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