IL MANICHINO


Miguel de Loyola





Dopo aver attaccato l'avviso alla finestra con le sue stesse mani, in un clima di crescente aspettativa tra noi bambini che la guardavamo dal giardino, la nostra vita cominciò a cambiare a poco a poco, aprendoci porte che fino ad allora erano rimaste chiuse, come la gioia di assaporare una paletta di gelato negli intervalli, comprare ghiottonerie nel negozio dell'angolo il pomeriggio, collezionare figurine per i tipici album alla moda, aver accesso alle riviste di fumetti, tutti piccoli lussi e tesori che prima ci erano proibiti.
Non fu una decisione facile da prendere. Quella del cartello scritto con una calligrafia curata dalle diafane mani della Nina e attaccato alla finestra del suo appartamento che si affacciava sulla strada. Ci aveva messo molti anni prima di decidersi a farlo. Non per un fatto di orgoglio, come alcuni avevano pensato nell'isolato, ma per la sua esasperata timidezza di donna di provincia. In cuor suo, avrebbe provato più piacere che vergogna se i vicini si fossero accorti delle sue doti e abilità nell'arte del cucire quando eravamo appena arrivati ad abitare nel quartiere. Ma non le era facile farsi conoscere. La sua timidezza, dovuta al suo carattere, avrebbe tenuto sempre all'oscuro la sua arte e la sua creatività se la necessità non ci avesse bussato alla porta di casa, proprio come stava facendo in quel periodo a colpi di machete.
La prima persona del vicinato a venire, dopo aver letto l'avviso, fu l'agghindata vicina di lato. Apparve sulla soglia di casa nostra il pomeriggio stesso tra l'interesse e la cortesia. Sorridendo a noi bambini, sebbene ci rendessimo conto che era venuta più per la curiosità che per la reale necessità di doversi fare una gonna. Ricordo perfettamente perché eravamo molto attenti a ciò che accadeva. Quel giorno ci fu una continua attesa in tutti gli abitanti della casa. E, una volta scoperto il cartello, lo stesso accadeva nel quartiere tra i vicini di casa. Mamma venne due o tre volte dalla scuola per chiederci se era successo qualcosa. Noi, dopo essere tornati da scuola, non ci muovemmo un solo istante da casa, neppure per andare a giocare nella strada con i nostri soliti amici, come facevamo normalmente ogni pomeriggio.
La Nina avvolta nella sua singolare cortesia di donna di provincia, la prima cosa che fece fu quella di offrire una tazza di tè alla strana visitatrice. La signora Lucrezia accettò volentieri, sedendosi comodamente sul divano. Sicuramente questo le dava più tempo per indagare su di noi, poiché per il modo di focalizzare l'attenzione sui mobili o sui felpati arazzi delle pareti, in quel momento risultava ovvio che gli interessavamo più noi della gonna. Voleva sapere tutto, dove eravamo nati, quale delle due donne adulte di casa era in definitiva la madre di quei bambini quasi della stessa età che circolavano per il quartiere, dov'era il padre, perché lei, la signora Lucrezia, non lo aveva ancora visto neppure in un ritratto. Era separata? Il marito era morto? O semplicemente non si trattava di figli legittimi?
Nonostante i suoi sguardi inquisitori, la Nina le dovette fare una gonna e sopportarla settimana dopo settimana con la sua paziente indulgenza, manifestata con un sorriso più consono agli angeli che agli esseri terreni. Ma alla fine dette i suoi buoni frutti. Le amiche della signora Lucrezia, ossia le donne più agghindate delle Croce Rossa appena le videro sfoggiare la gonna nuova, che le correggeva in maniera elegante le protuberanze del suo corpo, le chiesero il nome e l'indirizzo della sarta.
Così a casa nostra iniziò la processione di signore con importanti pettinature curate, con profumi nauseanti, con cappotti lunghi e binocoli legati a fini catenine, che di tanto in tanto si mettevano e si toglievano per guardarci come si guarda gli insetti rari. Ovviamente, dopo la signora Lucrezia si sarebbe pentita di aver dato l'indirizzo alle sue amiche, perché la Nina dopo avrebbe avuto meno tempo per riceverla in forma esclusiva, come all'inizio sembrava essere il suo unico desiderio. Nonostante tutto continuò a farlo con la stessa pazienza, senza mai arrivare a saziare la malata curiosità della nostra adorabile vicina.
Passarono i mesi e il cartello cominciò a catturare il vicinato. In quegli anni le donne erano abituate a farsi fare vestiti su misura, a differenza di oggi che ne esistono a montagne nei negozi. Inoltre è molto più economico comprarli già fatti. Non a quei tempi. Mamma diceva che i vestiti dei negozi costavano un occhio, e solo i più abbienti potevano permettersi il lusso di vestirsi in una boutique. A noi, naturalmente, ci vestiva la Nina. Le sue mani prodigiose si davano d'affare per confezionare il nostro guardaroba con scampoli di costumi comprati da mamma al mercato delle occasioni, ottenendo sempre risultati straordinari. Per questo sin dall'inizio le andò bene. Bene nel senso di farsi clientela a palate. Ma male, perché comunque incassava troppo poco per il lavoro che faceva. Tuttavia, questo poco, risultava una quantità di soldi extra esorbitante che entrava oltre al previsto quotidiano, abituata com'era a sopravvivere con lo squallido stipendio da maestra di mamma.
Ogni pomeriggio al ritorno dalla scuola la trovavamo seduta alla macchina Singer, applicata al suo lavoro con la concentrazione e l'efficacia di una formica instancabile nel suo compito di routine. Qualche pomeriggio, mi prendeva un sentimento di infinita compassione, provavo pena nel veder i suoi piccoli occhi pieni di rughe che cercavano di infilare l'ago della macchina, nonostante fosse accesa quella piccola lampadina attaccata al capezzale. La sua vista non era buona, per un fatto genetico, e i suoi occhiali non potevano sicuramente essere i migliori in quegli anni da renderle i gradi di cui i suoi occhi avevano bisogno. L'ora più difficile per cucire risulta essere quella del tramonto, quando il sole appoggiato sul bordo dell'ultima linea dell'orizzonte, si dedica a scarabocchiare il mondo lanciando baleni di luce offuscata, mentre dall'altro estremo dello spazio la nebbia della notte si infiltra lentamente. In quest'ora del crepuscolo era più stanca, perché arrivava la maggior parte della clientela a provarsi i vestiti. Allora con spille e gesso alla mano segnava e cancellava qua e là le impunture necessarie per fare e disfare. Ma non era tutto. Le mie sorelle la aiutavano, sempre. Anche Daniel ed io correvamo a infilare gli aghi di cui aveva bisogno. Poi arrivava l'ora della cena e anche lì in cucina si dava d'affare con le pentole e i piatti…
L'acquisto del manichino ci provocò uno stupore unico e irripetibile, e un'allegria frastornante quando lo vedemmo scendere da un camion in braccio ad un uomo. Non avevamo mai visto né toccato niente di simile. Un assemblaggio di cartongesso che simulava il busto, la vita e i fianchi della donna, al quale si potevano già fissare le pezze di una gonna, di un vestito, di un cappotto, di una camicia, ossia, tutto per rendere più facile il procedimento di un capo da cucire. I lavori cominciarono ad avanzare più rapidamente con l'aiuto del manichino. Dopo ci fu l'acquisto della tavola da stiro e altrettanti aggeggi indispensabili per il mestiere, ma nessuno ci stupì come il manichino. A volte, rimanendo nella stanza in penombra, il manichino vestito con alcuni capi quasi finiti, assomigliava ad una di quelle signore agghindiate e con seni prorompenti che, profumate di tutto punto, arrivavano ogni sera a provarsi i vestiti
Anche mamma cominciò a ritornare prima dalla scuola, non necessitando più di dare ulteriori lezioni, come era solita fare per aumentare le entrate. Non mancarono i soldi, ma non avanzarono neppure. In alcune occasioni la Nina ci dava un soldino ad ognuno per fare quello di cui più avevamo voglia. Forse questo era, come per noi, il suo momento di maggiore felicità, quando sorridendoci con il suo sorriso da madre immacolata metteva mano al suo portafoglio per dare ai suoi nipoti quello che le sue bianche mani riuscivano a guadagnare.
Molti anni dopo, frugando tra le sue cose ritrovammo il cartello, quando ormai nessuno se ne ricordava più, né si ricordava di questi tempi remoti, sprofondati in un passato lontano dal presente, non solo per la quantità di anni trascorsi, ma anche per il contrasto diametrale tra la scarsità di allora e l'abbondanza del mondo attuale. Era ancora intatto all'interno di una cassa insieme ad una serie di aggeggi indispensabili a quel tempo. Lì si trovavano le forbici del sarto, pesanti ed enormi, qualche cuscinetto per rinforzare le spalle, altri per metterci spille e aghi, ditali di metallo ammaccato per lo sforzo delle mani, aghi di diverse grandezze, piccoli pezzi di gessetto per segnare, metro per misurare, qualche modello frantumato dal tempo, un paio di riviste dell'epoca. Infine, una serie di elementi che avrebbero costituito un mondo, un mondo meraviglioso per il quale un tempo eravamo orgogliosi di lottare.
Quello che non riuscimmo a trovare da nessuna parte fu il manichino. Provammo a pensare che il tempo, così come aveva fatto con la Nina, un buio pomeriggio se l'era portato via. Ma non fu così. Daniela, la minore delle mie sorelle, lo scoprì abbandonato in un angolo del sottotetto, non senza prima prendersi lo spavento nel pensare che si trattasse di un vero cadavere. L'aggeggio, commentò, nascosto nella sinistra oscurità del sottotetto le aveva fatto quella sensazione. E una domenica invitati a casa sua a cenare, con sorpresa lo espose davanti a noi perché potessimo ricordare….


(Traduzione di Samanta Catastini)


Miguel de Loyola è nato in Cile a San Javier nella regione del Maule. Ha realizzato i suoi studi all'Università Pontificia Cattolica, dove si è laureato professore di lettere con specializzazione in Castigliano. Qui ottenne i suoi primi premi letterari come giovane scrittore di racconti (1978/1980/1981). Ha partecipato al Laboratorio letterario di Roque Esteban Scarpa e Alfonso Calderón, e più avanti a quello di José Donoso. Nel 1981 ottenne il primo posto nel concorso letterario La Bicicletta. Nel 1994 ha ottenuto la specializzazione in Lettere e Letteratura. Ad oggi ha pubblicato quattro libri: Bienvenido sea el día (racconti), Despedida del soltero (romanzo), El desenredo (2006) e Cuentos del Maule ( sempre racconti, 2007). E' segretario in redazione della rivista letteraria Proa, membro del circolo dei Critici d'Arte del Cile, scrittore di saggi e critiche letterarie per le riviste web: letrasdechile e lainsigna. Per chi Vuole conoscere più da vicino i suoi lavori può visitare la sua pagina web: migueldeloyola.blogspot.com


         Successivo          Copertina