SPERANZA
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Brano del romanzo Cercando Lindiwe - Valentina
Mmaka
Una
speranza oltre l'ombra di un sogno. JOHN KEATS
Quando partimmo era un giorno caldissimo, io... Lindiwe e Bongani. Ci eravamo
imbarcati su una nave, a Durban. BIGLIETTO DI SOLA ANDATA. Destinazione: TRENTATRÉ
ANNI DI ESILIO. Mai sentito il nome di questo posto, eppure qualcuno c'era stato
già, prima di noi e tanti vennero dopo. Non eravamo i primi e non saremmo
certo stati gli ultimi. Sicuro, lo sgombero di Sharpeville aveva rimosso masse
intere di uomini e donne, ne aveva fatto marcire le aspettative, le speranze.
Sotto le percosse dei manganelli brucianti sulla pelle, sono cadute le nostre
case, le nostre scuole, le nostre chiese, sono caduti i nostri uomini giovani
e vecchi... L'età non contava in quel mondo di bianchi intemperanti...
hanno abbattuto i mattoni, le strade, le nostre birrerie clandestine, ma non la
nostra fede... Non le nostre idee. Quella nave significava il nostro NO a un regime
la cui aria respiravamo da troppo tempo. Quella fitta in mezzo al petto, quando
ci siamo voltati a guardare la città che restava immobile, pensavamo fosse
un NO a quell'inverosimile fissità. Sì, le città sono
corpi vivi, già dalle prime ore dell'alba sgusciano dai loro carapaci di
latta e cemento e si affacciano a un nuovo giorno, agli occhi dei loro abitanti
pieni di frustrazioni, certo..., ma anche di speranze e sentimenti con cui accarezzare
le ore più buie del giorno. Quella Durban che ci lasciavamo alle spalle
era ferma, immobile... nessun segno di vita, come fosse in lutto per quel triste
e innaturale commiato, come una madre che vede andare via i suoi figli. Le periferie,
le nostre township, parevano immobili, quando ai nostri occhi erano sempre state
le uniche segretamente in movimento, in un paese immobilizzato dall'impossibilità
di essere... Le nostre township parlavano lingue diverse, e non mi riferisco solo
agli idiomi di discendenze tribali secolari, parlavano le lingue delle nostre
vite, delle nostre pulsioni, delle nostre emozioni, delle nostre lacrime, lingue
diverse la seconda dell'ora del giorno e degli umori del paese. La mattina si
parlava un linguaggio pratico, diretto, senza troppe cerimonie, doveva assicurarci
qualche rand sul fondo delle nostre tasche; il pomeriggio erano le voci cantilenanti
dei bambini che gonfiavano le mura del quartiere; la sera il registro cambiava
e il linguaggio si tingeva di sfumature, in certi casi diventava musica, note
canticchiate tra una boccata di fumo e l'altra, qualche vagito sommesso, un accordo
di ciopi per una sinfonia improvvisata. Con tutte le sue componenti arrischianti,
era il linguaggio che vibrava sotto la nostra pelle e impregnava i nostri corpi,
la nostra sensibilità, modellando la percezione di una realtà così
lontana dal nostro modo di essere, così lontana da ogni minima aspettativa
per chi ancora è cosciente del suo essere "uomo".
(Brano
tratto dal libro Cercando Lindiwe, Epoché Edizioni, Milano, 2007)
Valentina
Acava Mmaka, nata a Roma nel 1971 è cresciuta e ha vissuto in Sud Africa
e Kenya. Reporter dall'Africa per numerose organizzazioni non governative, si
è occupata di cooperazione e sviluppo. E' autrice di favole per ragazzi che raccontano
un'Africa inedita: I nomi della pace. Amanai (EMI 2004); Jabuni. Il
mistero della città sommersa (EMI 2003); di poesie L'ottava nota (Prospettiva
2002); di testi teatrali Io donna immigrata volere dire scrivere (EMI 2004)
che esplorano l'universo femminile migrante impegnato a conservare la propria
identità nell'altrove. Svolge attività di mediazione interculturale a vari livelli
favorendo il dialogo tra culture. E' presidente e fondatore dell'Associazione
Soggetto Nomade. Collabora con diverse testata e in Italia e all'estero. Il suo
sito è www.valentinammaka.net .
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