LA PRIMA AVVENTURA DI ALEXANDRE
Graciliano Ramos
In quella
notte di luna piena i vicini si erano rintanati nel salotto di Alexandre: il signor
Libório, cantante di emboladas 1, il cieco nero Firmino
e il maestro Gaudêncio, un guaritore che curava i morsi dei serpenti. La
fattucchiera Das Dores, figlioccia della coppia, che era rannicchiata sulla stuoia
e bisbigliava con Cesária. "Signori vi racconto una cosa
"
cominciò Alexandre mentre si preparava una sigaretta. Gli amici aprirono
le orecchie e Das Dores smise di bisbigliare: "Racconta, padrino mio". Alexandre
accese la sigaretta al candeliere di latta, si sistemò sull'amaca e domandò: "Ma
voi sapete perché ho quest'occhio storto?". Maestro Gaudêncio
rispose di no e si sedette su un ceppo che serviva da sedia. "Allora ve
lo dico," continuò Alexandre "ma forse non riuscirò a
raccontare tutto oggi, perché questa storia nasce da un'altra e bisogna
incastrare bene le cose, volete ascoltarla? Se non volete, siate sinceri: non
voglio annoiare nessuno". Il cantante Libório e il cieco nero Firmino,
giurarono che sarebbero stati attenti. E Alexandre cominciò a far scorrere
le parole: "Come voi tutti sapete, mio padre, un uomo di buona famiglia,
possedeva una grossa fortuna. La nostra fattoria andava da una sponda all'altra
del fiume, non si riusciva a contare il bestiame e con i soldi si foderava addirittura
la cuccia del gatto. Non è vero, Cesária?" "Sì
è vero Alexandre," annuì Cesária "quando gli schiavi
sono stati liberati, è stata una catastrofe, ma erano rimasti ancora alcuni
bauli pieni di monete d'oro. Poi è scomparso tutto". Sospirò
e indicò disgustata la valigia di cuoio su cui era seduto Libório: "Oggi
è così. Ti ricordi il nostro matrimonio, Alexandre?" "E
come no.." gridò il marito. "Una festa lunga sette giorni. Ora
non si fanno più feste come quelle. Ma il matrimonio è stato dopo.
Meglio non confondere le cose". "È vero" mugugnò
il guaritore Gaudêncio "è giusto non confondere". "Allora
sentite," proseguì Alexandre "una domenica ero in veranda, e
mi stavo pulendo le unghie con la punta del coltello, quando mio padre arrivò
e mi disse:- "Xandu, nelle tue passeggiate non hai trovato tracce
della cavalla bianca pezzata?", e io risposi:- "Nossignore, non le ho
trovate", "Allora gira un po' per lì" ritornò a dire
mio padre "vedi se trovi la cavalla", "Sissignore!". Presi
un morso e uscì prima di pranzo, camminai, girai ovunque, cercando tracce
sulle strade e sui sentieri. La cavalla pezzata era un animale che non sopportava
né ferri nell'anca né sella sul dorso. Doveva essere selvaggia,
nascosta nella boscaglia, terrorizzata dalle persone. È difficile trovare
nella caatinga un animale così. Distratto mi dimenticai
di pranzare e nel tardo pomeriggio mi riposai nell'abbeveratoio, guardando la
mandria di buoi affondare le zampe nel fango. Si affacciarono buoi, cavalli e
piccoli animali, ma della cavalla pezzata neanche l'ombra. Imbrunì, uno
scorcio di luna biancheggiò sui cactus,e io mi sdraiai sulla sponda del
fiume, a pancia all'aria, guardando il cielo, mi appisolai a poco a poco, e mi
addormentai, pensando a Cesária, e non so dire quanto tempo ho dormito
sognandola. Mi svegliai in una tremenda oscurità. Né chiari di luna
né stelle, si vedeva solo la strada per Sant'lago. E tutto silenzioso,
così silenzioso che potevo sentire perfettamente una formica che camminava
sui rametti e una foglia cadere. Bacurau1 impazziti che ogni tanto facevano
un rumore fortissimo, e i loro occhi brillavano come la brace. Tornava l'oscurità,
i rami secchi si muovevano, il fogliame dei cespugli volava intorno. Ho avuto
voglia di tornare a casa, ma il corpo ancora addormentato non mi aiutava. Rimasi
sdraiato, a pancia in su, guardando la strada di Sant'lago e ascoltando il lavoro
delle formiche. All'improvviso, notai che qualcuno beveva acqua lì vicino,
mi girai, allungai il collo e vidi laggiù due sagome maculate, una grande
e una piccola, vicino al recinto dell'abbeveratoio. All'inizio non riuscii a vederle
bene, ma con un po'di sforzo riuscii a distinguerli grazie alle macchie bianche.
"Vuoi vedere che è la cavalla pezzata," dissi "non può
essere che lei. Ha partorito nella boscaglia e viene a bere acqua solo durante
la notte. Peccato che l'animale viene a quest'ora. Se fosse giorno e avessi una
corda, potrei acchiapparla in un attimo". Ma impreparato, al buio, mi alzai
scordinato, con il morso in mano, cercando un modo per risolvere quella difficoltà.
La cavalla sarebbe scappata sicuramente. Ma in quel momento mi venne un'idea". "E
che cosa ha fatto?" domandò Das Dores curiosa. Alexandre aspirò
il fumo, l'occhio torto sgranato, fisso sulla parete. Rivolse a Das Dores l'occhio
e si spiegò: "Provai a saltare sul dorso della bestia e lanciarmi
con lei nella caatinga. Era l'unico modo. Se non gli fossi saltato addosso,
addio cavalla pezzata. E poi che cosa avrei raccontato a mio padre, eh? Che storia
avrei potuto raccontare, Das Dores?". La fattucchiera non commentò,
e Alexandre mentalmente saltò sul dorso della bestia. "Ed è
ciò che feci. Avevo appena deciso di farlo, e c'ero già sopra. Una
disperazione signor Libório, una corsa così non l'ho mai vista.
Il vento vibrava nelle mie orecchie, vibrava come la corda di una chitarra. E
io allora
pensavo, in quella corsa senza freni: "Il cucciolo chiaramente
è rimasto indietro e si è perso, non può accompagnare la
madre, ma questa qui domani sarà ferrata e sellata". Misi il morso
sul muso dell'animale, i talloni agganciati nel vuoto, mi sdraiai, mi aggrappai
a lei, ma prima presi tante frustate dai rami e mi procurai tanti graffi a causa
delle spine. Caddi in un cespuglio pieno di spine, uno di questi mi ferì
il viso, e non sentì neanche dolore: in un'emergenza tale non potevo occuparmi
di questi dettagli. Riuscii ad uscire di lì, con fatica, ridotto male.
Non capivo la natura del danno ma mi sembrò di avere tutti i vestiti strappati
e il volto graffiato. Così mi parve. Liberandosi dalle spine, la diavolessa
ritornò alla caatinga, saltando i cactus e spaccando i pali, come
se avesse fuoco nelle vene. Faceva un gran rumore con le narici, io ero spaventato,
perché non avevo mai sentito un cavallo soffiare in quel modo. Alla fine
la soggiogai, la sfinì e, con tirate di morso, cazzotti sulla testa e botte
sul mento, la riportai sulla strada. In quel momento lei capì che non valeva
la pena insistere e gettò la spugna. Ma mi credete se vi dico che aveva
un buon cuore? Era così. Anche se poco addomesticata, si mostrava docile.
E io, notando che quell'infelice era disposta a imparare, feci del mio meglio,
e lei finì per trottare inizialmente con passo leggero per arrivare ad
un soave galoppo guidato da me. Chi mi conosce sa che non perdo mai l'orientamento.
Dopo aver percorso qualche miglia in quel buio che non avrebbe permesso di trovare
la bocca per mangiare, vagando di qua e di là in una confusione infernale,
capii che eravamo vicini all'abbeveratoio. Sissignori. Un gran trambusto, il dispotismo
di chi vuole far crollare il mondo.. e ora la poveretta si trascinava proprio
vicino a dov'era partita, con passo stanco. Ripresi la strada di casa. Il cielo
si aprì, il sole aveva voglia di sorgere. Un gallo cantò, si sentiva
sui rami un movimento di piume. Quando entrai nell'aia della fattoria, mio padre
e i negri avevano appena iniziato le preghiere della Madonna, scesi da cavallo,
andai nella stalla, legai l'animale a un palo, me ne andai a casa e mi sedetti
in veranda. La preghiera si concluse, e sentì la voce di mio padre: "Non
avete visto Xandu da qualche parte?". "Sono qui fuori, signorsì".
"Uomo, mi farai venire i capelli bianchi," disse mio padre aprendo la
porta "è da ieri che sei sparito!". "Lei non mi ha mandato
a cercare la cavalla pezzata?". "Sì," disse il vecchio "ma
non ti ho mandato a dormire nella boscaglia, creatura dei miei peccati. Hai trovato
le tracce?". "No, tracce non ne ho trovate, ma sono tornato cavalcando
una bestia. Forse sarà la cavalla pezzata
perché ha delle macchie.
Non lo so, signore, dobbiamo andare a vedere. So solo che è davvero brava:
con qualche giro ha cominciato a trottare piano, quasi un galoppo. E sembra che
abbia partorito: si trovava con un altro, più piccolo"". La
luce apparve all'orizzonte, il giorno arrivò. Mio padre, mia madre, gli
schiavi e mio fratello più piccolo, che in seguito avrebbe vestito l'uniforme
e sarebbe divenuto tenente di polizia, andarono a vedere la cavalla pezzata. Andarono
ma non entrarono nella stalla: rimasero sulla porta, guardandosi, stupiti, a bocca
aperta. E anch'io rimasi stupito. Alexandre si alzò, fece qualche passo,
sfregò le mani, si fermò davanti al maestro Gaudêncio, parlando
a voce alta e gesticolando: "Ho avuto paura, ho capito che avevo fatto
una pazzia. Indovinate cosa c'era legato al palo? Un enorme giaguaro maculato,
alto come un cavallo. A causa delle macchie bianche io al buio ho preso quel disgraziato
per la cavalla pezzata".
Note:
1 Emboladas: genere musicale del nord-est del Brasile in cui le parole e le rime
sono scandite da un ritmo incalzante 2 Bacurau: uccello notturno sudamericano
che produce un suono forte e lugubre.
(Traduzione di
Julio Monteiro Martins insieme ai suoi allievi dell'Università di Pisa Anna Maria
Landucci, Elisa Del Cesta e Ilaria Biagi)
Graciliano Ramos (1892-1953)
è uno dei maggiori narratori dello splendido decennio 1930-40 della letteratura
brasiliana. Uno dei protagonisti del filone popolare e "neorealista" della letteratura
brasiliana del Novecento, l'autore riproduce le ingiustizie della natura e degli
umani attraverso una scrittura in equilibrio tra aspro espressionismo e asciutto
realismo. Nelle sue pagine scorrono l'universo sociale e antropologico propri
del Brasile nordorientale, sorretti da un paesaggio vivo e astratto insieme, metafore
di un mondo iniquo e lacerato. Tra le sue opere ricordiamo Caetes (1933), Sao
Bernardo (1934), Angustia (1936), Vidas Secas (1938).
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