WESTBANK (2) Alexander
Krohn
Dopo
una breve pausa, ci mettiamo in marcia per far visita ai Samaritani (ancient jews).
Il tassista ci porta su per la montagna e ci lascia a un check-point. I soldati
ci rifiutano l'ingresso nel villaggio perché non risultiamo in alcuna lista.
Ci domandano cosa facciamo a Sichem (ebraico per Nablus). Noi: "have a look",
loro: "It's dangerous. They're all terrorists". Ce ne torniamo indietro
e un giovanotto (samaritano), che tace per la maggior parte del tempo, ci dà
un passaggio fino a Nablus in macchina. Scherziamo sul fatto che siamo riusciti
ad arrivare fin giú, dato che Maddi fotografa continuamente (l'autista
si ferma gentilmente nei punti piú pittoreschi), e che la nostra macchina
ha una targa gialla (israeliana). Mi preparo intimamente alla delicata situazione,
al trovarsi tra due fronti, anche se la mia posizione è salda, cosí
come quella di Evi, e Maddi... Beh, Maddi lo abbiamo conosciuto nel 2003 ad Amman,
era appena ritornato da Baghdad e raccontava qualcosa su un grasso cinese che
vi aveva incontrato. Facemmo insieme una gita nel deserto, stringemmo amicizia
e ci separammo subito dopo. Negli anni successivi rimanemmo in contatto elettronico,
una notte dormí da noi a Berlino. Quella volta gli proponemmo di venire
con noi in Cisgiordania nel 2006, e lui accettò. Maddi crede ai principi
del giornalismo, sui quali io ho molti dubbi. Da una parte credo che il mondo
non abbia bisogno di una "cronaca imparziale", ma di una presa di posizione
organizzata contro l'intollerabile. Ci sono già troppi che si giustificano
dicendo di fare solo il loro lavoro, almeno quelli che siedono alla fonte dovrebbero
valutare. Invece continuano a servire da secoli un principio illuminista sempre
piú avariato, che ha standardizzato a tal punto la separazione tra il mondo
delle idee e quello delle sensazioni, che praticamente nessuno ne prende piú
nota. Trovo ignominiose le pseudoregole che quasi tutti i giornalisti hanno mandato
giú da qualche parte e ripetono (come se fossero idee loro) quando si tratta
di stabilire come vada scritto un testo. Leggere un giornale è quasi sempre
una tortura, perché trasuda ottusità, conformismo, ripetizioni e
chiacchiere prive di vita. L'idea stessa di fare soldi con le disgrazie degli
altri è poco appetitosa e mi danno ai nervi anche le loro stupide uniformi
color cachi piene di tasche. Il fatto è che ne abbiamo visto troppi, decine
di tutti i paesi, i quali durante una conversazione dicono le cose in un modo
e poi, nei loro articoli forzati e ambiziosi, tacciono o stravolgono per principio
le loro interpretazioni. Cinici, privi di scrupoli! Maddi tuttavia non è
stato ancora inghiottito dai meccanismi della sua schiatta. È un fotografo
tenace che ha concluso i suoi studi di economia con una tesi su Keynes e Gesell.
Ha esperienza del Medio Oriente, anche se è la sua prima volta in Palestina,
è generoso, sinesteticamente aperto, con l'ammirevole fiducia e la sensibilità
per le ingiustizie tipica dei sassoni. Politicamente è un moderato, ma
dopo qualche giorno in Cisgiordania io ed Evi avvertiamo quel che abbiamo già
notato in altri in situazioni simili: il timore che possa spaccare la faccia al
prossimo soldato.
La
sera poi... Beviamo
del gin e scriviamo. Hamad ci spiega la situazione a Nablus. Le sparatorie notturne
avrebbero diversi motivi. Alcune sarebbero espressioni di gioia durante banchetti
matrimoniali (ma sono probabilmente una minoranza, altrimenti Nablus dovrebbe
avere, da un punto di vista puramente aritmetico, la piú alta quota di
divorzi del mondo). Altri provano in tal modo i loro nuovi schioppi. Inoltre ci
sono divergenze di opinioni di natura criminale, cosí come rivalità
private. Per il resto si tratta di soldati o special forces in borghese che arrestano
qualcuno o compiono omicidi mirati, oppure della corrispondente eco della resistenza.
I ragazzini che si vedono a tutte le ore con i kalanikov a tracolla appartengono
perlopiú, come già menzionato, alle Brigate di Al-Aksa, formatesi
nel 2000 dopo l'ingresso di Sharon sulla Montagna del Tempio della moschea di
Al-Aksa, che scatenò la seconda intifada. Piú tardi leggiamo che
durante la "crisi delle caricature" del 2006, nel nostro albergo un
tedesco che lavorava da due mesi come insegnante venne sequestrato e rilasciato
dopo un'ora. Le Brigate pubblicarono subito un comunicato in cui si scusavano,
dichiarando che si era trattato di un errore. Per quel che riguarda le raffiche,
sembra confermarsi la mia prima classificazione: gli stupidi sparano, le persone
intelligenti rispondono al fuoco, ma tengo per me la mia analisi superficial-psicologica:
che si tratti solo di una sorta di 'fanculo. Occorre sempre tener presente che
la città è assediata da uno degli eserciti piú moderni del
mondo. Ciononostante ogni notte vengono sparate dal cuore della città vecchia
centinaia di colpi. Un po' sbronzi finiamo sulla terrazza a fare da bersaglio,
contando come al solito sul bonus dell'idiota. (...) JENIN Alcuni
chilometri prima dell'ingresso della città, attraversiamo campi coltivati
a cavolo, cetriolo, pomodoro e altre verdure, divisi in piccole parcelle irrigate.
Lentamente appaiono le prime case piatte, garage arrugginiti, distributori di
benziana e officine di automobili; la strada diventa a due corsie e ottiene uno
spartitraffico sul quale vengono appesi manifesti con le foto dei martiri. Le
stazioni degli autobus e dei taxi si trovano in centro, un complesso di strade
in cui non è difficile orientarsi. I commercianti espongono le merci sui
marciapiedi, alcuni dei quali sono coperti per offrire un po' d'ombra. Regna un'atmosfera
concitata, le persone si affrettano, viene da domandarsi con quale meta. Dopo
poche centinaia di metri ci si lascia già il centro alle spalle e si entra
nei sobborghi, che si allargano sui costoni della montagna. Sono alla ricerca
di un ospedale o di una filiale della Mezzaluna Rossa. Nella clinica di Alamal,
un ospedale della Patient's Friends Society, un medico piuttosto anziano mi spiega
la strada per la Mezzaluna Rossa. Il ragazzo del taxi mi accompagna tutto il tempo,
parla male l'inglese ma non per questo rinuncia a venirmi dietro. Insieme attraversiamo
una porta che si apre su un terreno su cui sorge un edificio abbandonato. Dietro
si vede un palazzo allungato e per un quarto raso al suolo - la stazione di polizia.
Al contrario di Nablus, qui all'Autorità Autonoma non è proibito
lavorare. Quando mi fermo per fare una foto, sento il rumore di un caricatore
nelle immediate vicinanze. È un poliziotto palestinese che sembra montare
la guardia al primo piano della rovina di un palazzo moderno. Meglio proseguire,
un attimo di estrema tensione. Un po' piú avanti sulla sinistra troviamo
l'ambulanza della Mezzaluna Rossa. Un medico che non parla quasi inglese mi indirizza
in una baracca poco distante, dove posso intervistare Rasha Jarrat, una giovane
musulmana che lavora come volontaria e mi rifiuta una foto. Si occupa in primo
luogo di bambini traumatizzati. Nel 2002 nel campo profughi di Jenin ebbe luogo
un massacro. Il film che ne è sorto, un documentario di Mohammed Bakri,
un palestinese israeliano di Nazareth, è intitolato "Jenin, Jenin"
e riusciamo a vederlo solo piú tardi a Ramallah. Si può ottenere
solo tramite www.arabfilm.com, mentre in Israele è vietato, malgrado le
autorità raramente vietino un film. Il campo profughi venne bombardato
per diversi giorni da elicotteri, cecchini e carri armati, vi morirono circa sessanta
palestinesi. La giovane donna menziona un certo Dott. Khalil Suliman, il quale
venne chiamato con il numero di emergenza per prestare soccorso durante l'operazione
militare. L'ambulanza si mise in marcia, ma venne bombardata da un elicottero.
Il Dott. Khalil morí. I tre infermieri Taher Al-Sanore, Hamad Al-Jamar
e Machmud Assadi sopravvissero gravemente feriti. Taher Al-Sanore lo incontro
poco piú tardi, dopo che suo zio Mosadak Taher, un medico del già
citato ospedale Alamal, ha stabilito il contatto. (...) Camps 18-8
Maddi
la mattina presto si reca ad Al-Askar, uno dei tre campi profughi di Nablus. Che
aspetto ha un simile campo? Quando nel 1948 gli israeliani smobilitarono interi
villaggi, le persone dovettero cercare rifugio da qualche parte. Una seconda ondata
di profughi seguí dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, che Israele vinse
tracciando nuovi confini. I palestinesi piú radicali rivendicano ancora
oggi tutto il territorio. Ad Haifa o Tel Aviv, dappertutto i palestinesi vivevano
insieme agli ebrei, prima di venire scacciati. Israele è una forza di occupazione
e va combattuta. Dato però che Israele esiste da 58 anni, i palestinesi
piú moderati rivendicano i territori nei confini del 1967, con Gerusalemme-Est
come capitale, il ritiro di tutti i coloni e il ritorno dei profughi. Solo questa
rivendicazione, in virtú della situazione generale, appare già utopistica.
Quante volte sentiamo la frase: Israele non vuole pace, vuole sicurezza. Finché
si può vivere sicuri e a buon mercato senza attentati esplosivi, a nessuno
frega niente della situazione dei palestinesi, se già non li si considera
ideologicamente persone di ordine inferiore. Sul territorio palestinese sorgono
sempre piú enclavi (colonie) israeliane, gli abitanti di Gerusalemme-Est
vengono allontanati da affitti spropositati e dalla speculazione. Il territorio
viene solcato da muri, valli e recinzioni (sempre a discapito dei palestinesi),
le strade vengono bloccate, paesi e città isolate l'una dall'altra, campi
e oliveti distrutti e agli abitanti viene impedito l'accesso all'acqua. In parole
povere: succede tutto il contrario di ciò che potrebbe dare adito a speranze
di pace. Tanto piú che il mondo intero tace, da una parte per bigotta complicità
nella colpa (II Guerra Mondiale) o per interessi lobbystici o economici o geopolitici,
dall'altra per la piú banale noia: ogni giorno palestinesi umiliati. Già
al confine è evidente che il vero conflitto non ha niente a che fare con
la religione, l'islamofobia o l'antisemitismo, ma riguarda semplicemente il primo
mondo (Israele) che si scontra con il terzo. L'occidentale medio con in testa
la discoteca e gli occhiali da sole a specchio non ha voglia di vedere né
tanto meno di confrontarsi con la povertà dei palestinesi. Il conflitto
tra Israele e Palestina, che i politici conservatori (ci sono anche politici non
conservatori?) interpretano volentieri come religioso, è solo il risultato
della politica di una nazione potente che vuole piú terra e piú
potere, e che considera i suoi abitanti come mosche fastidiose. L'iniezione di
veleno dei fanatici islamisti che affermano di voler buttare a mare tutti gli
israeliani, regolarmente ripresa e gonfiata dai media, trova una perfetta corrispondenza
nei fondamentalisti israeliani che sostengono la deportazione di tutti i palestinesi.
È difficile trovare anche solo un musulmano che abbia problemi con la religione
ebraica o cristiana, piú spesso insistono sull'identità dell'unico
Dio con i suoi diversi profeti. I campi profughi in Palestina (o in Libano,
Siria, etc.) non sono accampamenti di tende della Croce Rossa, ma quartieri simili
a ghetti ai margini delle città, con vicoli stretti e abitazioni di cattiva
fattura, che come se non bastasse sono sovraffollate. Siccome da 58 anni non è
mai stata trovata soluzione al problema dei profughi, Israele si coltiva qui i
suoi attentatori suicidi, che servono ai politici al potere per diffondere la
paura nella popolazione e per giustificare la politica di apartheid. La domanda
è: da dove proviene tutto quest'odio veemente? Non lo so. Riconosco l'ancestrale
paura ebraica, colorata da una particolare ed ereditaria mania di grandezza, ma
il sadismo che si nota nei soldati israeliani, i visi tormentati, è come
se si ricordassero di qualcosa. Del resto non riesco neppure a capire il "principio
dell'autoflagellazione" che si attribuisce ai tedeschi. Maddi
ha fatto delle ricerche nel campo di Al-Askar, dove il 15 Agosto un bulldozer
ha distrutto una casa. Ha intervistato due fratelli di una famiglia di 38 persone
e ha fotografato le rovine. Entrambi gli uomini lavoravano come tassisti, ma anche
i taxi sono stati distrutti. Praticamente la famiglia ha perso ogni fonte di sussistenza.
A Nablus c'è anche il campo profughi di Al-Balata, che io ed Evi abbiamo
intenzione di visitare. L'amico di Hamad, che ci abita e si è proposto
di guidarci, non è riuscito a liberarsi e cosí abbiamo aspettato
invano una sua telefonata. Maddi ha visitato poi il centro sportivo del campo,
dove la squadra di calcio di casa ha battuto i taiwanesi per 8 a 1 e ha perso
0 a 3 contro gli iraqeni. Ma non è poi un dramma, gli è stato detto,
perché gli iraqeni sono amici. Con particolare orgoglio raccontano della
squadra femminile. La
sera Maddi va da Jemal, che ci manda una mezza bottiglia di Arak e una lattina
di birra per la signora, con i migliori saluti... Il re della Westbank. Poi telefona
Hamad dicendo di avere in serbo una sorpresa. Dopo essersi rifiutato di accompagnarmi
dai tipi con i kalanikov e di stabilire un contatto con le Brigate di Al-Aksa,
ora dice che domani pomeriggio potremmo eventualmente incontrare il capo delle
Brigate di Al-Aksa di Nablus e la sera un esponente della Jihad Islamica. Ci versiamo
un bicchiere e decidiamo di restare ancora un giorno. (...)
Traduzione di Antonello Piana.
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