FINZIONE
Beatriz Bracher
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Ho resistito alla macchina blindata. Fumo, soffro di claustrofobia, è ideologicamente
nefasta, una provocazione pericolosa. Ma, alla fine, la cosa è peggiorata,
sarebbe stato arrogante e irresponsabile lasciarmi morire rinunciando ai mezzi
che ho per difendermi. Ho figli, faccio parte della leadership produttiva della
società, mi dedico alla ricerca delle origini del nostro squilibrio sociale.
Ho paura. E il terrore di essere attaccata, ferita, umiliata e uccisa minava il
mio raziocinio. Ho ceduto alla macchina blindata. L'energia che consumo usandola
è la stessa che consumo usandone una non blindata. Richiede la stessa dose
di alienazione. Se non protetta, qualsiasi pedone può diventare un assassino,
sono venuti meno i codici morali in grado di fermare la sua azione predatoria,
di contenere la sua ira, il nostro fallimento. La paura prende il sopravvento
e rende ostile tutto ciò che è umano. Se protetta, blindata, perdo
il contatto. Senza paura non c'è vita, allontanato il male, anche il bene
se ne va e io sono tagliata fuori, divento un'idiota. La strada è uno
spazio vuoto che percorro nel nulla. Ma la neutralità è un desiderio
vano. Tutto lascia un segno. Le arterie rimangono piene e pulsanti e il vuoto
non esiste. Se il sangue smette di scorrere, secca e si blocca, i vermi si nutrono,
ci sarà sempre materia viva a occupare gli stretti corridoi della città.
Ero bloccata nel traffico, nell'inquinamento serale. L'uomo arrivò e picchiò
al finestrino con un'arma nera. Il movimento della sua bocca urlava e la voce
si sentiva bassa. Dammi i soldi, dammi i soldi o ti ammazzo, o ti ammazzo. Subito,
apri il finestrino, subito, subito, o ti ammazzo, o ti ammazzo. Mi guardava impazzito,
mi guardava impazzito. O ti ammazzo, o ti ammazzo. Guardavo la sua bocca, i suoi
occhi, l'arma nera, l'angoscia e la rabbia, e cercavo di convincermi che era solo
un film. Non provai a spiegargli, lui avrebbe capito. Il vetro blindato trasformava
la sua azione, io potevo guardare, osservare i dettagli dei suoi vestiti, la lingua
scura e le piccole mani che impugnavano l'arma nera. L'arma nera puntata verso
i miei occhi, la canna vuota dell'arma nera che tremava, valido argomento, apri
o ti sparo troia. La mia apatica curiosità minava la sua determinazione,
l'argomento oscillava. Il ragazzo capì la sua impotenza, esitò,
appoggiò le mani al vetro, una chiusa attorno all'arma, avvicinò
il viso e sputò di nuovo la mia morte. Erano di un animale, gli occhi e
la saliva appannata. Furioso, ingabbiato, un grosso cane che abbaia e salta contro
il cancello mentre si cammina per strada. Impugnò l'arma con due mani
e me la puntò al viso. Io guardavo calma e ipnotizzata, curiosa della fine.
Un freddo mostruoso mi sale dallo stomaco e mi ferma il cuore. Oggi non era il
mio turno, non sono nella blindata. I miei occhi sgranati dall'orrore, le mani
serrate davanti alla bocca spalancata, senza riuscire a emettere nessun suono,
implorai pietà. Lui capì e rise. In un unico movimento ruppe il
vetro con la mano che impugnava l'arma, mi colpì il viso e scomparve lasciando
l'arma giocattolo sul mio grembo macchiato dal nostro sangue.
(Traduzione di Julio Monteiro Martins insieme ai suoi allievi dell'Università
di Pisa Sara Barboni, Ilaria Biagi, Milena Bertelli e Aurora Simoni.) (Tratto
dalla raccolta 30 Mulheres que estão fazendo a nova literatura brasileira,
Editora Record, Rio de Janeiro, 2005, organizzato da Luiz Ruffato.)
Beatriz Bracher
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