EUCLIDES
DA CUNHA NELLA VALLE DELLA MORTE
Roberto Ventura
Ne "I Sertão", opera che transita tra letteratura, storia
e scienza, Euclides da Cunha compie un'autocritica del clamore patriottico dei
repubblicani, che volevano l'eccidio di Canudos, e ricorre a forme di finzione
come la tragedia e l'epopea per riordinare il caos e rendere rappresentabile l'esperienza
limite della guerra.
Pubblicato
nel 1902, "I Sertão" è un'opera ibrida, che spazia tra
letteratura, storia e scienza, unendo una prospettiva scientifica, di stampo naturalista
ed evoluzionista, a una costruzione letteraria segnata dal fatalismo tragico e
da una visione romantica della natura. Euclides da Cunha ricorse a forme di finzione,
come la tragedia e l'epopea, per romanzare la guerra di Canudos ed inserire i
fatti in un intreccio in grado di andare oltre il suo significato specifico. Inviato
nel conflitto, dall'Agosto all'Ottobre del 1897, come corrispondente del giornale
"O Estado de São Paulo", accompagnò la quarta e ultima
spedizione, composta da 8000 soldati. L'epopea gloriosa della Repubblica brasiliana,
per la quale aveva combattuto da giovane, assunse il carattere di tragedia col
violento intervento militare, che lui stesso testimoniò nel Sertão
di Bahia. Riportò, nel suo ultimo servizio, il sanguinoso scontro del
1º Ottobre: "Beati quelli che non hanno mai assistito a un simile scenario
".
I mucchi di cadaveri e le montagne di feriti che gemevano ammucchiati per terra
gli ricordarono la valle degli Inferi, che Dante (1265-1321) attraversò
nella Divina Commedia. Una visione così demoniaca lasciò dei segni
profondi nell'ex-militante repubblicano: "Mi resi conto di aver lasciato
molte idee, smarrite in quel massacro maledetto, condividendo lo stesso destino
di chi agonizzava, sporco di polvere e sangue
". La guerra diventò
un'esperienza limite che mise Euclides a stretto contatto con la morte inutile
e la crudeltà abietta. La visione di orrore, che si trovò davanti
nella valle della morte di Canudos, sulle sponde del Vaza-Barris, a Nord-Est di
Bahia, fu descritta anche dallo scrittore polacco Joseph Conrad, nel trattare
la colonizzazione predatrice del Congo belga in "Cuore di Tenebra" (1902),
dall'italiano Primo Levi in "Se questo è un uomo" (1946), con
il resoconto del male innominabile dei campi di concentramento tedeschi, o dal
regista Francis Ford Coppola, nel trattare la guerra del Vietnam in "Apocalypse
Now" (1979). Euclides elaborò, nel libro del 1902, il suo rimorso
e la sua perplessità nei confronti del finale tanto brutale che ebbe la
campagna, alla quale contribuì, anche se involontariamente, con gli articoli
esaltati nell'"Estado de São Paulo" che si chiudevano con i motti
patriottici di "Viva la Repubblica" o "La Repubblica è immortale".
Fece così eco, come quasi tutta la stampa, a tutti coloro che vedevano
nella ribellione un grande pericolo per il nuovo sistema politico. Passò
quattro anni dopo la fine della guerra riempiendo centinaia di fogli, per riordinare
il caos e superare il vuoto portato dall'impatto con quella "regione spaventosa",
da dove tornò depresso e malato. Riviveva in continuazione le "Molte
scene del dramma commovente della guerra spietata e terrificante", come scrisse,
tornando a Salvador, nella poesia "Pagina vuota". Tale visione di orrore
, che il linguaggio umano a malapena può descrivere, fa eco al primo canto
dell'Inferno di Dante:
"Ahi
quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che
nel pensier rinova la paura!"
Euclides, ne "I sertão", ritrasse Antônio Conselheiro,
il leader della comunità, come personaggio tragico, guidato da forze oscure
e ancestrali e da maledizioni ereditarie che l'avevano portato alla pazzia e al
conflitto con l'ordine. Vide Canudos come una variante storica in grado di minacciare
la "strada maestra" che seguiva fin da giovane, intesa come fedeltà
ai principî etici appresi dal padre, fondati sulla fede nel progresso e
nella Repubblica. Figlio di un commerciante di Quixeramobim, nell'entroterra
dello stato di Ceará, Antônio Vicente Mendes Maciel, detto "Il
Consigliere", iniziò il suo pellegrinaggio mistico nel 1870 circa,
dopo essere stato abbandonato dalla moglie, che era scappata con un poliziotto.
I suoi parenti avevano partecipato, dal 1830 circa, a una faida molto sanguinosa
contro un clan nemico. Secondo Euclides, questo scontro tra famiglie aveva creato
una predisposizione fisiologica nei discendenti, che aveva reso ereditari i rancori
e le vendette, proprio come avviene nei personaggi dei miti greci.
LA
STORIA COME FINZIONE Lo storico statunitense Hayden White aveva già
osservato, in un saggio del 1987, che la differenza fra storia e finzione sta
più nel contenuto che propriamente nella forma. La storia tratta di avvenimenti
reali, verificabili, mentre la finzione si basa su fatti immaginari o inventati.
Entrambe sono però costruzioni verbali, che ordinano e codificano i fatti
secondo i generi narrativi adottati. Il critico canadese Northrop Frye delineò,
in "Anatomia della critica" (1957), il personaggio tragico come un leader,
tra il divino e l'umano, tra l'eroico e l'ironico, a causa della sua grandezza
rispetto agli uomini comuni e la sua imperfezione, al tempo stesso, rispetto agli
dei o alla forza del destino: "L'eroe tragico si colloca tipicamente al vertice
della ruota della fortuna, a metà tra la società umana, in terra,
e qualcosa di più grande, in cielo". Limitato da un ordine naturale
o divino, il protagonista della tragedia è umiliato e finisce per entrare
in agonia, ben distante dall'atteggiamento dell'eroe iniziale. Frye definisce
l'attitudine ironica a partire dall'Eíron, l'uomo che si sminuisce.
L'ironia si allontana dall'affermazione diretta o ovvia, a favore di significati
velati, ma comunque suggeriti: "Il termine ironia indica una tecnica
di mostrare qualcuno peggio di quanto non sia e che, nella letteratura, spesso
diventa una tecnica di dire il minimo per esprimere il massimo possibile".
E conclude: "Lo scrittore di finzione ironica, pertanto, si autocensura".
Al contrario della tragedia, in cui la catastrofe dell'eroe si relaziona in modo
plausibile con il suo carattere e le sue azioni, l'ironia rende arbitraria la
situazione tragica, mostrando che la vittima è un capro espiatorio, scelto
per caso e che non merita ciò che gli accade. Partendo dalla commedia e
dalla finzione realista, l'ironia si sposta verso il mito, facendo emergere gli
oscuri contorni delle cerimonie sacrificali.
SOTTO
IL SEGNO DELL'IRONIA
Euclides ricorse all'ironia per mostrare come la guerra di Canudos negò
o invertì il mito glorioso della Rivoluzione Francese. Conosceva questo
mito grazie ai racconti romantici di Victor Hugo, con il romanzo "Novantatre"
(1874-83), sulla guerra dei contadini cattolici della regione della Vendée,
e di Jules Michelet, con "Storia della Rivoluzione Francese", che trasformarono
il popolo in una sorta di eroe collettivo. In "Os Sertões, fece
l'autocritica del patriottismo esaltato dei suoi reportage, e abbandonò
il paragone tra la storia brasiliana e la Rivoluzione Francese. Nei suoi primi
articoli sulla guerra, come "La Nostra Vendée", aveva identificato
il conflitto nel Sertão di Bahia con la ribellione del 1793 dei contadini
monarchici e cattolici contro la Francia rivoluzionaria. Riconosceva l'omissione
del suo reportage, raccontando nel libro il massacro dei prigionieri, sul quale
prima aveva taciuto. Euclides vide il Sertão come un riflesso del
litorale, entrambi dominati dalle stesse barbarie. Questa nota pessimistica si
esprime nelle innumerevoli antitesi, che evidenziano le sue esitazioni in merito
alla guerra. Canudos è la "Troia di paglia dei jagunços¹",
a metà tra cittadella inespugnabile e labirinto di casupole di argilla,
la cui lotta evoca le gesta epiche cantate da Omero. Il contadino è un
eroe mostruoso, un "Ercole-Quasimodo", tanto forte quanto sgraziato.
Conselheiro è un piccolo grande uomo, entrato nella storia come potrebbe
essere entrato in un manicomio
LA
STORIA COME TRAGEDIA
Euclides concepì la storia come un dramma tragico, scrivendo sui conflitti
armati dei primi anni della Repubblica, come la Rivolta dell'Armata (1893-94)
e la Guerra di Canudos (1896-97), delle quali fu testimone o partecipante. Impiegò
immagini legate alle arti plastiche e sceniche per rappresentare la storia come
se fosse una pièce teatrale o i quadri di una mostra. Lesse, nel corso
della sua vita, i tragediografi greci - Eschilo, Sofocle ed Euripide -,, oltre
ai drammi di Shakespeare. Scrisse gran parte de "I Sertão" a
Sao José de Rio Pardo, tra il 1898 e il 1901, mentre dirigeva la ricostruzione
di un ponte metallico sul fiume. Davanti al cantiere, da dove controllava i lavori,
scrisse sul dilemma crudele e ironico dell'Amleto di Shakespeare, sorpreso della
gioia della madre, la regina Gertrude, dopo la misteriosa morte del marito: "What
should a man do but be marry?" ("Cosa può fare un uomo se non
rallegrarsi?"). Berthold Zilly, traduttore tedesco dell'opera, osservò
che l'ingegnere-scrittore ricrea la guerra come una tragedia, nella quale l'anti-eroe,
il sertanejo, si rivela l'unico eroe in una trasfigurazione quasi miracolosa,
la sua apoteosi: "La storia è rappresentata come tragica, piena di
infelicità, infamie e catastrofi, una mescolanza di progressi e regressioni
segnati da ecatombe." Lo spazio geografico si trasforma, nelle parole
di Euclides, nel palcoscenico di un "emozionante dramma" storico. Il
Sertão di Canudos è un "mostruoso anfiteatro", il cui
isolamento viene rafforzato dalla maestosa catena di montagne, che evoca i teatri
all'aria aperta dell'antichità. La strage dei prigionieri è interpretata
come un "dramma sanguinoso dell'Età della Pietra" o una "inversione
di ruoli" in cui i soldati e gli ufficiali, presunti rappresentanti della
civilizzazione, si comportavano barbaramente. La natura è vista, in
"La Terra", la prima parte de "Il Serto", come scenario tragico,
che anticipa in modo simbolico la strage dei prigionieri. La vegetazione di caatinga²
preannuncia il sacrificio dei contadini, sgozzati dai soldati. I fiori rossi delle
"cabeças-de-frade" ricordano "teste decapitate e sanguinose
buttate lì a caso, in un tragico disordine". Euclides descrisse
le battaglie, alle quali aveva partecipato come reporter, come quadri e scene
viste da una tribuna d'onore, da un palco formato dalle colline che circondano
Canudos, dove si insediarono le truppe con i cannoni che bombardavano la città.
Le metafore teatrali trasformano i combattimenti in uno spettacolo, nel quale
il narratore riprende il ruolo del coro della tragedia, commentando gli avvenimenti,
piangendo le vittime e accusando i vincitori. La violenta battaglia del 24
Settembre 1897, che si concluse con l'assedio di Canudos, è narrata in
un modo epico, plastico e illustrativo, con lunghe descrizioni di quadri, e poi
come una atto di tragedia, in cui le immagini diventano teatrali e dinamiche.
Raccontato con intensa drammaticità, lo scontro è centrale nello
svolgimento della guerra. Osserva Euclides: "Si era delineato il circolo
chiuso dell'assedio reale, effettivo., L'insurrezione era morta." Munito
di binocolo, il narratore contempla lo spettacolo dall'alto della collina insieme
agli ufficiali, che formavano una "platea enorme", entusiasmata dall'avanzata
delle truppe. "Si applaudiva. Si scalpitava. Urlavano euforici". Gli
incendi nel villaggio ricordavano i riflettori di un palcoscenico, e il fumo nascondeva
a tratti il quadro, "come un sipario sceso sull'atto della tragedia",
Si riferisce alla tenda delle tragedie greche usata per impedire la visione di
scene violente o patetiche, che venivano rappresentate dietro di esso, mentre
gli spettatori sentivano le grida della vittima. La decapitazione dei prigionieri
è menzionata, anche se in forma velata, nel finale de "I Sertão".
Tale elisse, in cui la strage diventa implicita, ha una funzione simile a quella
del sipario: il narratore adotta il decoro tragico ed evita così la rappresentazione
di fatti cruenti, perchè non ci sarebbe linguaggio capace di esprimere
tanto orrore. "E in che modo potremmo commentare, col solo ausilio della
parola umana, la cosa così singolare che sperimentarono i prigionieri?
Catturati incolumi il 2 di Ottobre e spariti la mattina del giorno seguente."
Euclides riprese quella stessa visione teatrale e ironica della storia nel breve
racconto "La sfinge", in "Contrasti e confronti" (1907). Raccontò
la visita notturna del generale Floriano Peixoto ai lavori di fortificazione,
che, in quanto ingegnere militare, dirigeva nel porto di Rio, per ospitare il
cannone che avrebbe bombardato le navi ribelli. Il "generale di ferro",
che occupava anche la presidenza, appariva agli occhi di Euclides come la "sfinge",
nel cui volto enigmatico vedeva inscritte le sorti del paese. Il suocero di
Euclides, il generale Sólon Ribeiro, uno dei leader della proclamazione
della Repubblica, si trovava in stato d'arresto sotto accusa di coinvolgimento
con i riottosi della Marina. Euclides leggeva, durante tutti quei conflitti, il
romanzo di cavalleria "Ivanhoe" (1820), dello scozzese Walter Scott,
e l'opera storica dell'inglese Thomas Carlyle, "La Rivoluzione Francese"
(1837), nei quali venivano condannati i soprusi del potere rivoluzionario. Cercava,
nelle pagina di Scott o Carlyle, di trovare una consolazione agli orrori del nuovo
sistema politico, macchiato dalle guerre civili. Mirando, durante la rivolta
dell'Armata, le navi da guerra immerse nell'oscurità della baia, lo scrittore
si sentiva come la comparsa di un dramma tragico: "Mi vidi, allora, un'oscura
comparsa in una di quelle tragedie dell'antichità classica, di uno straordinario
realismo, con i suoi palcoscenici smisurati, senza sipario e senza coperture,
con le sue quinte di montagne reali, davanti alle quali si muovevano gli eroi
di Eschilo". I ruoli di quel dramma storico si confondono, con comica
ironia, "in un gioco di sfortunate antitesi", nelle quali la legalità
- il governo - sopprimeva la rivolta abolendo delle leggi: "Gli eroi si perdono
in tragiche buffonerie. Alcuni muoiono con terribile comicità, in questa
epopea alla rovescia.". La storia è inscenata come una commedia tragica
o è narrata come un'epopea senza eroi, in cui lo stile aulico viene sminuito
dalla prospettiva ironica. Euclides ebbe, come Conselheiro, una tragica fine.
Entrambi furono costruttori itineranti, uno di chiese e cimiteri, l'altro di ponti
e strade. Tutti e due ebbero un destino segnato dall'adulterio della moglie, dalle
lotte sanguinose delle loro famiglie contro i loro nemici, e dalle posizioni che
assunsero nei confronti della Repubblica. Entrambi ebbero grande fede, il leader
religioso nella forza redentrice della devozione e dell'ascetismo, lo scrittore
nel potere trasformatore della scienza e della filosofia. Euclide morì,
il 15 Agosto del1909, nel quartiere della Piedade, a Rio de Janeiro, nel tentativo
di sparare al cadetto Dilermando de Assis, amante di sua moglie. Sette anni dopo,
Dilermando uccise Euclides da Cunha filho, che cercava di vendicare il padre.
La stampa annunciò la morte dell'autore de "I sertão"
come la "tragedia della Piedade", usando le stesse immagini teatrali
presenti nella sua opera, e paragonò il destino di suo figlio al dramma
dell'Amleto di Shakespeare, ossessionato dall'idea di vendicare il padre assassinato.
Per il suo agire come gli eroi antichi, o come i rivoltosi del sertão,
la vita di Euclides è diventata una finzione tragica. Note: ¹
jagunço: membro della guardia privata dei proprietari terrieri del
Nord-Est del Brasile; ²caatinga: fitta boscaglia di rovi tipica
del Nord-Est del Brasile.
Tratto dalla rivista brasiliana "Cult", Traduzione di Julio Monteiro Martins,
insieme ai suoi allievi dell'Università degli Studi di Pisa Silvia Mencarelli,
Viola Fiorentino, Simona Bruno, Claudia Sgadò, Francesca Riccarelli, Sara Bresciani,
Elena Malossi, Laura Marletti, Maria Serena Serra, Maria Teresa Marè, Nunzia de
Palma
.
Precedente Successivo
Copertina
|