LE CAPITALI
DEL DISASTRO
Olivier Morel
Il 20 ottobre del 1940 Siegfried Kracauer, scrittore
e critico ebreo scrive a Daniel Halévy, che si serve della sua notorietà
per liberare i suoi amici tedeschi (spesso ebrei) dagli orrori dell'internamento
e dalla futura fuga. Qualche mese prima aveva perso il suo vecchio amico, anche
lui ebreo, il grande romanziere austriaco Joseph Roth, suo collega al Frankfurter
Zeitung . Naufrago politico-etilico, Roth morì a Parigi nel maggio
del 1939. Nel settembre del 1940 Kracauer aveva anche considerato tra i testimoni,
a Marsiglia, gli ultimi giorni di Walter Benjamin che poi, si sarebbe suicidato
a Port-Bou, nel suo ultimo tentativo di attraversare clandestinamente la frontiera
spagnola, dall'altra parte la disperazione. “Permettetemi, scrive Kracauer ad
Halévy, di esporvi la mia attuale situazione. È disperata. Benché
io e mia moglie, siamo possessori di un visto d'immigrazione per gli Stati Uniti
e di timbri di viaggi fatti in America, fino ad oggi non siamo potuti scappare.
(…) Siamo dunque trattenuti,nostro malgrado, a Marsiglia. Ora, ho la doppia sfortuna
di essere cittadino tedesco e israeliano. Per questa ragione, sono minacciato,
avendo 51 anni, ai lavori forzati e all'internamento nei campi speciali per gli
israeliani (secondo i termini della legge sugli stranieri e lo statuto degli israeliani).
Sarebbe la fine della mia vita.” Più in basso aggiunge: “Vi scrivo tutto
ciò in una totale disperazione.” In Die welt von Gestern , Stephan
Zweig scrive: “Nonostante avessi la coscienza della mia sciocchezza di non poter
domare un fastidio così superfluo, vissi, durante tutti quegli anni di
mezzo-esilio e di vero esilio, privo di ogni franca socievolezza.” Si ricorda
questa frase che un esiliato russo aveva sospirato anni prima: “Un tempo, l'uomo
aveva solo un corpo e un'anima. Oggi, in più gli serve un passaporto, altrimenti
non è trattato come un uomo.” La
lista è lunga, interminabile, spaventosa, di questi esiliati che sono dovuti
fuggire dalla Germania nazista, in una precipitazione crescente, così improbabile
quanto urgente. Fuggendo da una nazione erano in fuga anche da loro stessi, ed
è lì che si lega la tragedia più oscura: bisognava fuggire
al tempo stesso l'attaccamento più intimo e il diventarne straniero era
insopportabile. Più che mai questa unione di coordinate “tedesco ed ebreo”
si trasformava in disgiunzione e discordia: ciò che era più familiare
diventava così il più straniero. L' unheimlichkeit , l'inquietante
estraneità, affonda qui, diventando un tutt'uno con la sua introvabile
vicina, la heimlichkeit che significa sia il “segreto” che la “clandestinità”.
L'intimo e l'eterogeneo formano una piega insostenibile: la heimatlosikgeit
, “l'apolidia”, costituisce il terzo angolo nel quale si organizzano i topici
dell'esilio. Apolidi , è
il titolo di un disegno che Max Ernst realizzò durante il suo internamento
nel Campo di Milles nel 1939. La promessa del diritto positivo astratto, ( che
è regolare la vita degli esiliati) si trasforma in una vera finzione giuridica,
che si incarna nella violenza. in queste tre nozioni eterogenee di heimlichkeit
, di unheimlichkeit e di heimatlosigkeit interagisce infatti
una stessa radice di “Heim”, di “Home” di un “chez soi” 1
in ricerca interminabile, in rottura permanente con quello che ne implica. Unheimlichkeit
fatto carne, i “fogli” costituiscono per questi esiliati una vera morale
di stato civile (piuttosto un'amorale dello stato di urgenza perpetua) e un pericolo
reale. Questo “ ridicolo pezzo di foglio o questo timbro senza importanza che
uno scrivano qualsiasi ha apposto su un documento senza neanche pensarci.”, scrive
Lion Feuchtwanger, è consacrato a un compimento esistenziale: il carattere
vitale del componimento giustificativo cresce mentre si approfondisce la sua assurda
insignificanza, corpo a corpo con un se stesso di foglio e di fuoco. I libri bruciano,
i corpi si consumano. la scrittura dell'esilio, fa la maggior parte della letteratura
del ventesimo secolo, non cessa di descrivere senza mai esaurirlo il divenir-foglio
della sedia e il divenire-fuoco di questo foglio. Frammento di se stesso, una
vita intera può dipendere così da un “foglio”, da un timbro, e tale
oggetto che un giorno vi salva la vita, può poi uccidervi il giorno dopo.
Le ossessioni del Heim e
della sua distruzione sono costanti in queste traiettorie dove alla fine non si
arriva mai ad un buon riparo, dove l'attesa regola una vita sospesa a questi passaporti,
visti, lascia-passare, in cui bisogna provare continuamente che siamo nati, certificare
lo stato civile del padre, della madre, e così quantità di procedure
tanto anonimamente amministrative quanto fisicamente violente. Queste “difficoltà”
prenderanno una forma sempre più drammatica tanto quanto la situazione
politica si degraderà. Sotto
una stessa categoria dell'esilio, la vita dei rifugiati tedeschi si divide in
tre periodi. Dal 1933 al 1939, la più parte di loro vive una vita legale
o nei limiti della legalità. Se conoscono la prigione è per poco
tempo. Ma da settembre 1939 la grande maggioranza di questi tedeschi e dei tedeschi,
(che erano fuggiti dal nazismo e spesso organizzato una resistenza contro quel
tipo di Germania) viene internata. Come se uscissero da un paese nemico, subirono
la stessa sorte dei nazisti meravigliati in Francia al momento della dichiarazione
di guerra. Dal giugno del 1940 inizia l'occupazione, l'arrivo della Gestapo, le
razzie degli ebrei poi le deportazioni…Da allora l'esistenza di questi rifugiati-esiliati
è minacciata direttamente. Gli uni si nascondono, altri fuggono, altri
ancora si suicidano. Certi si occuperanno anche della lotta antifascista dalla
parte della resistenza francese. Klaus Mann, il figlio maggiore di Thomas Mann,
nato nel 1906, che si esiliò di sua scelta dal 1933, scriverà poi
che la maggior parte degli scrittori e intellettuali tedeschi già conosciuti
prima del 1933 si erano schierati contro Hitler e avevo scelto l'immigrazione.
Infatti è difficile citare uno di queste menti, tedesche o austriache di
fama mondiale che non sia immigrato: Berthold Brecht, Thomas, Klaus e Heinrich
Mann, Stephan Zweig, Anna Seghers, Alfred Kantorowicz, Lion Feuchwanger, Franz
Hessel, Ernst Toller, Joseph Roth o Walter Hasenclever. In tutti questi autori
l'esilio diventerò soggetto letterario e oggetto di riflessione. In questa
letteratura dei percorsi deviati e dei naufragi, dell'incertezza, delle camere
d'hotel e della precarietà, nelle parole della desolazione e del transito
permanente, Sanary-sur-Mer, fu per un certo tempo una capitale sospesa tra due
abissi di disastro. Giardino sospeso con le sponde del Mediterraneo come solo
orizzonte della serenità. hauptstadt der deutschen literatur, la
“capitale della letteratura tedesca, dove trascorsi sei anni felici-infelici”:
Ludwig Marcuse descrive così Sanary, nel Mio ventesimo secolo ,
la sua autobiografia apparsa in Germania nel 1960. Tutti gli autori qui menzionati,
e circa duecento in totale passarono da questo Parnaso tedesco in cui la popolazione
autoctona era di tremilanovecento anime all'incirca al loro arrivo. Nei tre comuni
di Sanary, Bandol e di Lavandou, su una popolazione di 10.000 abitanti nel censimento
del 1936, si contavano 450 esiliati tedeschi tra l'inizio del 1933 e la fine del
1942. Oltre a delle considerazioni
geografiche evidenti nella prospettiva di un conflitto franco-tedesco, il ruolo
decisivo dei Quaderni del Sud , nella scelta di Sanary e della regione
di Marsiglia, è probabilmente centrale. Sottolineiamo che per i più
illustri degli esiliati di Sanary, la rivista di Jean Ballare era già stata,
molto prima dell'ascesa del pericolo, un luogo d'espressione unico dove già
si ritrovavano, a titolo indicativo, numerosi testi in lingua francese, come fu
per esempio il caso di Ernst Toller nel 1928. I quaderni hanno sempre consacrato
dei numerosi articoli alla Germania e all'Austria, evocano senza tregua “ la Germania
dei poeti e dei pensatori” contro il fascismo tedesco e francese e denunciano
molto presto l'esistenza dei campi di concentramento, la tortura,il riarmamento
e la preparazione della guerra. Gli scrittori immigrati come Thomas Mann e Stephan
Zweig ne sono fortemente rappresentati e si trovano numerose cronache sulle riviste
di lingua tedesca in esilio. Il fragile
equilibrio dell'esilio, a Sanary e nelle città circostanti, non tarderà
a rompersi. Una parte della popolazione che avevano accettato fino ad allora gli
immigranti per delle risorse economiche non trascurabili svilupperà un
odio sempre più forte dal momento che i luoghi diventeranno sempre meno
accessibili. L'isterismo e la psicosi dello spionaggio faranno il resto. Da quel
momento le traiettorie si dividono. Ma le vie d'uscita sono tutte più radicali
sia le une che le altre. bisogna fuggire di nuovo. Qui si può menzionare
ancora il ruolo dei Quaderni del Sud , e di Jean Ballard che utilizzerà
la sua influenza per ottenere la liberazione di Walter Benjamin, detenuto in un
campo di concentramento di Nevers. Walter Benjamin sarà anche, come molti
altri esiliati di Sanary, internato nel campo di Milles, vicino Aix-en-Provence,
nel mese di giugno del 1940 (ci resterà probabilmente una settimana). Avendo
scritto il romanzo Die Rechtlosen (I senza diritto) uno dei fondatori
dell'espressionismo, Walter Hasenclever si uccide al Milles nella notte tra il
20 e il 21 giugno 1940, che precedeva una fuga (incerta) dal campo…scriveva: “
Ciò che noi abbiamo pensato e scritto, ciò di cui credevamo di dover
testimoniare, noi, membri di un popolo che non ha mai capito i suoi poeti, tutto
ciò è affondato nella cavalcata dei demoni. Questo mondo non esiste
più.” Rinchiuso anche lui al
Milles, Feuchtwanger descrive le circostanze drammatiche in cui scoprirà
Hasenclever al mattino, rantolante, lamentandosi sul suo pagliericcio. Tutti temevano
il caos francese come l'arrivo dei nazisti e un sentimento di totale sprofondamento
dominava gli animi. Al prezzo di mille difficoltà e di mille pericoli,
alcuni che come Feuchtwanger stesso potevano ancora fuggire prima del settembre
1939, si ritrovano dunque nel 1940 catturati. Un tempo avevano creduto di poter
essere utili ai nemici di Hitler: “Potevo mettermi veramente al riparo nel momento
stesso in cui questa guerra era effettivamente in vista? scrive Feuchtwanger,
“No, era mio dovere rimanere. Sinceramente credevo di essere di un'utilità
qualsiasi.” Pacifista convinto, proclamava già il suo antimilitarismo durante
la prima guerra mondiale, quando degli animi famosi come Thomas Mann o Hugo Von
Hofmannsthal cedevano ai richiami patriottici. La sua celebrità è
legata alla comparsa nel 1925 della sua opera maestra L'ebreo Süss,
che rapidamente gli varrà una notorietà mondiale. Ma oggi la fortuna
di quest'opera è il più delle volte associata, in particolar modo
tra i francesi, al deviamento di cui è stata oggetto quando i nazisti ne
hanno tratto un film di propaganda antisemita tra i più violenti in assoluto.
Dagli anni '20 la stampa nazista fece di questo militante umanista impegnato a
sinistra, un nemico da abbattere. Subito dopo l'ascesa di Hitler al potere, nel
gennaio 1933, quando Feuchtwanger era negli Stati Uniti, le SS misero a soqquadro
la sua casa di Berlino e confiscarono i suoi beni. Il 23 agosto del 1933, figura
sulla prima lista di uomini politici e intellettuali che il governo nazista priva
della loro nazionalità. Non esiterà un istante nella scelta del
luogo dell'esilio: la Francia. “Da noi, in Germania, quando qualcuno viveva in
modo confortevole, si diceva che viveva come Dio in Francia.” Il
passaggio da Wie Gott in Frankreit, a Der teufel in Frankreich, Il
diavolo in Francia è il racconto autobiografico nel quale Lion Feuchtwanger
narra questa fine dell'esilio-accoglienza a Sanary-sur-mer,al quale succede l'internamento
(descritto con grande minuzia) nel Milles il 21 maggio 1940 e fino ai preparativi
della fuga verso Stati Uniti. Quest'opera appare finalmente nella sua traduzione
francese. Vi si ritrova insieme la testimonianza, la riflessione e la disillusione
sulla Patria dei Diritti dell'uomo: “ Le parole Libertà. Uguaglianza e
Fraternità erano scritte in caratteri cubitali al di sopra del portone
del comune, ci avevano accolto con festa quando eravamo arrivati anni prima (…)
le autorità ci avevano assicurato che era un onore per la Francia di accordarci
l'ospitalità, il Presidente della Repubblica mi aveva ricevuto personalmente.
Oggi, ci incarcerano.” Una fotografia di Feuchtwanger durante la sua detenzione
al Milles fu inviata da uno sconosciuto al suo editore americano: è una
delle origini dell'organizzazione americana Presidential Emergency advisory
Committee, che permetterà a Feuchtwanger e a sua moglie, ma anche
a Franz Werfel, Heinrich Mann o Max Ernst di lasciare l'Europa. Con Anna Seghers
o Alfred Kantorowicz arrivarono ad imbarcarsi in una delle rare barche che salparono
per l'America da Marsiglia o Lisbona e di cui Claude Lèvi-Strauss ha raccontato
la traversata in Tristi tropici. La fuga via Lisbona si effettuava tramite
le mulattiere attraverso i Pirenei e la Spagna. Numerosi sono coloro che non ci
arrivarono mai. Feuchtwanger ripete spesse volte, come in una aberrante fobia,
questa frase “di un eccellente professore tedesco che fu subito assassinato dai
nazisti: la Storia consiste a dare un senso all'assurdo.” Fino all'assurdo, alcuni
di questi banditi di Sanary e di altri luoghi sono degli eterni esiliati. “Rivivremo,
rivivrò mai in Germania?” si domanda Klaus Mann il 13 marzo 1943. “Sicuramente
no…Non ritroverai mai la tua patria di un tempo e non te ne saranno date delle
nuove. Il mondo intero è la tua patria. Non ne hai altre.” E nonostante
tutto amo la Germania , che è una bella nazione, amo le sue foreste e i
suoi fiumi, le sue vecchie città e il suo cielo,e molto i libri e gli uomini.”:
L'ultimo degli esiliati di Sanary, Hermann Kesten, che scrive queste righe, si
è spento il 4 maggio 1996 in un ospizio di B?le, in Svizzera. Aveva novantasei
anni. In Francia, questa scomparsa è passata totalmente inosservata. Aveva
lasciato Berlino sei settimane dopo la presa di potere da parte dei nazisti, considerando
l'esilio come un atto sia politico che morale. “La maggior parte di coloro che
lasciarono la Germania lo fecero per disgusto verso un regime di cui i più
alti rappresentanti si vantavano apertamente di essere degli assassini.” scriveva.
Hermann Kesten, l'ultimo. Ma è anche probabile che tutti, siano stati alla
loro maniera… “l'ultimo”. 1
“Chez soi”: a casa propria.
(Tratto da La République des Lettres, dall'edizione del 1° Luglio 1996. Traduzione di Samanta Catastini.)
Olivier
Morel, giornalista e storico francese, scrive su Le Monde Diplomatique.
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