UN ABISSO CHE SEMBRA UN GATTO
Gregorio Carbonero
Molti
sono chiamati, ma pochi eletti. Per ogni grande poeta, uno sciame di poeti
minori, come tanti moscerini che ronzano intorno a un leone. (letto da
qualche parte)
Ho
un abisso nella conca della mano stringo le dita per non perderlo, un abisso
minuscolo silenzioso si fa vedere poco, ma so che assomiglia a un gatto,
e questo lo so perché se lo lascio libero mi gironzola tra i piedi
e mi slega i lacci delle scarpeHa
negli occhi ombre come pipistrelli, come se volassero al buio lasciandolo
cieco per guardare tutto e sempre e in ogni momento, allora sembra addormentato,
ma sbatte la coda di tanto in tanto, per farsi notare. Se
lo accarezzi ti lascia nelle mani quel sentore di muffa e di chiuso che
hanno stracci e cose vecchie in soffitta, che annidano inermi e inaspettatamente
si ritrovano quando ormai non si sapeva più che esistessero. D'improvviso
volta lo sguardo, fissa, tra l'armadio e una gamba del letto, un angolo vuoto: so
che ha visto un altro abisso e penso che parlino del più e del meno che
è di cui, di solito, parlano gli abissi. S'avvicina
facendo fusa profonde e lunghe come se si fosse ingoiato una caverna con due
o tre speleologi e di colpo è come se tutto si fermasse, e la realtà
si ribaltasse e il mondo fosse fatto per finta, ed è una cosa tremenda perché
in quei momenti qualunque cosa potrebbe essere vera. Da
quando me ne sono accorto, mi sembra di avere come un nodo alla gola o
una pagliuzza nell'occhio e tra le mani qualcosa di cui né io né
gli altri sappiamo nulla ma che soprattutto non vorrei perdere. Per
non contrariarlo salgo e scendo le scale sempre a piedi, e lentamente, non
prendo più gli ascensori so che agli abissi gli ascensori non piacciono sussultano
e sono avversi alle alture (anche alle bassure) a alle volte, addirittura,
un tantino distratti.
Gregorio Carbonero
Precedente Successivo
IBRIDAZIONI
Pagina
precedente
|