Vincere la partita
Rubem Fonseca
Quando
non leggo un libro che prendo in prestito dalla biblioteca pubblica, mi metto
a guardare uno dei programmi della TV che mostrano la vita dei ricchi, le loro
ville, le loro macchine, i cavalli, gli yacht, i gioielli, i quadri, i mobili
antichi, l'argenteria, la cantina privata, la servitù. È impressionante
come i ricchi siano serviti bene. Non mi perdo nessuno di questi programmi, anche
se non mi sono di grande utilità, nessuno di questi ricchi vive nel mio
paese. Ma mi è piaciuto sentire un miliardario intervistato durante una
cena dire che ha comperato uno yacht di valore di centinaia di milioni di dollari
perché ne voleva uno più grande di un altro ricco. "Era l'unico
modo di smettere di invidiarlo", ha confessato, sorridendo, sorseggiando
la bibita del suo bicchiere. I commensali intorno a lui risero molto a sentire
quello. Chi è ricco può avere tutto, anche invidia l'uno dell'altro
e in loro questo è buffo anzi tutto è divertente. Io sono povero
e l'invidia nei poveri è vista molto male, perché l'invidia lascia
il povero astioso. Insieme all'invidia, viene l'odio dei ricchi, il povero non
se la prende sportivamente, senza spirito di vendetta. Ma io non provo rabbia
verso nessun ricco, la mia invidia è simile a quella di quel tizio dello
yacht più grande: come lui, tutto ciò che voglio è vincere
la partita . Ho scoperto come un povero può vincere la partita contro
un ricco. Non è diventando ricco, io non ci riuscirei mai. "Essere
ricco", ha detto uno di loro in un programma , "è una predisposizione
genetica che non tutti hanno". Questo milionario ha fatto fortuna partendo
da zero. Mio padre era povero, io non ho ereditato niente quando è morto,
nemmeno il gene che motiva l'uomo a guadagnare denaro. L'unico bene che ho
è la mia vita e l'unico modo di vincere la partita è uccidere un
ricco e continuare a vivere. È come comperare uno yacht più grande.
So che questo sembra un ragionamento stravagante, ma un modo di vincere la partita
è creare al meno una parte delle regole del gioco, cosa che i ricchi fanno.
Questo ricco che io ammazzerò deve essere un ereditiere, un ereditiere
è una persona come me, senza alcuna predisposizione a diventare ricco,
ma che è nato ricco e gode felice e contento la fortuna che gli è
caduta addosso dal cielo. Per godere bene la vita, è meglio che solo il
padre, e non l'ereditiere, nasca con tale gene. Io preferirei uccidere uno
dei riccastri stranieri che vedo in televisione. Un uomo. Le loro donne, o le
loro figlie, sono ancora più ostentatamente ricche, però una donna,
per quanti gioielli abbia nelle dita o intorno al polso o al collo, non è
lo yacht più grande. E non mi sarebbe nemmeno interessata una di quelle
donne che hanno fatto fortuna a lavorare, sicuramente portatrici di quel gene,
donne che appaiono in televisione in tailleur. No, dovrà esser un uomo.
Ma siccome questi ricchi ideali vivono in un altro paese, devo cercare un ricco
qua, uno che ha ereditato i soldi e i beni di cui gode. La difficoltà
nel raggiungere questo scopo non mi preoccupa neanche un po'. Traccio il mio piano
attentamente e, quando vado a letto, dopo pochi minuti già dormo e non
mi sveglio mai durante la notte. Non solo ho l'anima in pace ma anche la prostata
funziona perfettamente, al contrario di mio padre che si alzava ogni tre ore per
urinare. Non ho fretta, devo scegliere con molto rigore, almeno come ha fatto
il ricco che ha comperato lo yacht più grande. Le persone che compaiono,
per la maggior parte, nelle riviste pubblicate qui nel mio paese possono essere
definite ricche e famose, ma uccidere una di queste sarebbe troppo facile, non
mi farebbe vincere la partita. A tutti i ricchi piace sfoggiare la loro ricchezza.
I nuovi ricchi sono i più esibizionisti, ma non voglio uccidere uno di
loro, voglio un ricco che ha ereditato la sua fortuna. Questi, delle generazioni
successive, sono i più discreti, normalmente rivelano la loro ricchezza
nei viaggi, adorano fare compere a Parigi, Londra, New York. Gli piace anche andare
in luoghi lontani ed esotici ma che abbiano buoni alberghi con personale cortese
ed i più sportivi non possono fare a meno di andare a sciare una volta
all'anno, il che è comprensibile, dopo tutto vivono in un paese tropicale.
Sfoggiano la loro ricchezza tra di loro (non c'è gusto a giocare con i
poveri), nelle cene dei milionari dove il vincitore può confessare che
è stato per invidia che ha comperato ciò che ha comperato e gli
altri brindano allegramente alla sua salute. Uno come me, bianco, disgraziato,
magro e molto affamato non ha né fratelli né alleati. Non è
stato mica facile trovare un lavoro in uno dei più esclusivi catering della
città, ho dovuto fare minuziosi piani e stratagemmi, mi ci sono voluti
due anni, la perseveranza è l'unica virtù che ho. I ricchi erano
soliti contrattare i servizi di questo catering, quando offrivano una cena. La
proprietaria discendeva da una famiglia illustre, non dirò il suo nome,
non dirò il nome di nessuno, nemmeno il mio, era una donna autoritaria
che teneva i suoi appunti e cronogrammi in un piccolo computer che portava in
una borsa a tracolla. Imponeva rigidi standard a quelli che lavoravano nel catering,
cuochi, decoratori, compratori, camerieri e agli altri. Lei era così competente
che i suoi impiegati, oltre ad obbedire "senza battere ciglio", addirittura
la ammiravano. Se un impiegato non si comportava secondo il modello stabilito,
era licenziato. Questo accadeva di rado, perché tutti prima di essere stati
ammessi, venivano sottoposti a una selezione ed a un rigoroso apprendistato. Facevamo
quello che lei diceva, io ero uno dei più obbedienti. Il catering chiedeva
un mucchio di soldi per cucinare e dare da mangiare ai ricchi. La proprietaria
del catering aveva tale gene. Prima della valutazione e dell'apprendistato
a cui mi sono sottomesso per fare il catering, ho fatto il mio proprio apprendistato.
Prima, ho curato il mio aspetto, ho trovato un dentista bravo ed economico, il
che è molto raro, ho comprato un po' di vestiti decenti. Dopo, la cosa
più importante, ho imparato, nel mio addestramento, ad essere un servo
felice come lo sono i bravi camerieri. Ma fingere questi sentimenti è molto
difficile. Questa sottomissione e questa felicità non devono essere ovvie,
devono essere sottili, percepite inconsciamente dal loro destinatario. La forma
migliore per rappresentare questa impalpabile finzione era creare uno stato d'animo
che mi rendesse veramente felice di essere cameriere dei ricchi, se pure temporaneamente.
La proprietaria del catering mi indicava come esempio di impiegato che lavorava
fiero di quello che faceva, per questo io ero così efficiente. I ricchi,
così come i poveri, non sono tutti uguali. Ci sono quelli a cui piace chiacchierare
con un buon sigaro fra le dita o con un bicchiere di un liquore pregiato nella
mano, ci sono i corteggiatori, quelli che sono riservati, i solenni, quelli che
ostentano erudizione, quelli che esibiscono ricchezza con i loro paramenti firmati,
ci sono anche i taciturni, ma in fondo sono tutti degli spacconi, fa parte della
recita. Che finisce per essere un vero linguaggio di segni, perché permette
di vedere ciò che ognuno è veramente. So che anche i poveri fanno
la loro recita, ma i poveri non mi interessano, non è parte dei miei piani
giocare con loro, la mia partita è quella con gli yacht più grandi. Ho
aspettato pazientemente che il ricco ideale mi si presentasse. Io ero preparato
per riceverlo. Non è stato facile trovare il veleno, insapore ed inodore,
che io passavo da una tasca all'altra nel mio pellegrinaggio. Ma non racconterò
i rischi che ho corso né le nefandezze che ho commesso per ottenerlo. Alla
fine, un ricco di quel tipo che cercavo da tanto tempo si è presentato
in una cena di posti assegnati nei cinque tavoli disposti nelle sale della villa.
Io conoscevo la sua storia, ma non l'avevo mai visto, nemmeno in fotografia. È
stata la proprietaria del catering a dirmelo, e per la prima volta l'ho vista
in agitazione, perché lui era appena arrivato ed io ero quello indicato
per servirlo personalmente. Ai ricchi piace essere serviti bene. Io sarei rimasto
a una certa distanza, senza guardarlo, ma qualsiasi gesto di comando avesse fatto,
per minimo che fosse, avrei dovuto avvicinarmi e dire semplicemente, "desidera?".
Io sapevo farlo benissimo, ero un cameriere felice. Lui era arrivato, con gli
altri invitati, in una macchina blindata, circondato da guardie del corpo. Era
un tipo bassino, moro, un po' pelato, dai modi discreti. Sua moglie, la quarta,
era una bionda, alta e snella che sembrava ancora più lunga a causa dei
tacchi alti che usava. C'erano otto commensali ad ogni tavolo, quattro uomini
e quattro donne. Nonostante il servizio non fosse alla francese, ogni tavolo era
servito da due camerieri, il mio collega era un negro alto con denti perfetti.
C'erano bibite per tutti i gusti, addirittura birra, ma non mi ricordo di nessuno
a quel tavolo che abbia mai chiesto una tale bibita volgare ed ingrassante. A
seconda delle istruzioni della proprietaria, l'altro cameriere era subordinato
a me. Discretamente io ordinavo che il mio collega servisse le richieste degli
altri commensali che, distratti nelle loro conversazioni, neanche si erano accorti
del trattamento speciale da me riservato ad uno di loro. L'ho servito perfettamente.
Lui mangiava poco, beveva moderatamente. Non mi diceva mai né "per
favore", né "grazie". Le sue richieste erano laconiche,
senza affettazione. La cena stava per finire. "Desidera?", mi ero
avvicinato quando lui aveva mosso la testa due centimetri di lato, senza guardare
nessuno, ma io sapevo che era per me. "Un ristretto". Era l'opportunità
che stavo aspettando. Sono andato in cucina, io stesso ho preparato il caffè
nella macchina italiana ultimo modello fornita dal catering. Ho messo dentro il
veleno. "Ecco a lei". Lui ha sorseggiato il caffè parlando
con la sua vicina. Senza fretta, ho preso la tazzina vuota, sono tornato in
cucina e l'ho lavata con cura. Ci è voluto un po' prima che scoprissero
che era morto, perché lui aveva posato la testa sulle braccia appoggiate
sul tavolo e sembrava stesse dormendo. Ma siccome un milionario non fa questo
tipo di cose, sonnecchiare ad un banchetto, i presenti alla fine si sono insospettiti
ed hanno capito che era successo qualcosa di grave. Un arresto circolatorio probabilmente.
È stato uno shock, affrontato con una certa eleganza dalla maggior parte
dei presenti, soprattutto dalla sua snella moglie. Le guardie del corpo però
si sono innervositi molto. La cena è stata terminata subito dopo che un'ambulanza
privata ha portato via il corpo. Io penso di continuare a servire ancora per
un po' i ricchi. Ma dovrò essere in un altro catering, quello in cui lavoravo
è caduto in disgrazia. I giornali subito dopo hanno riportato soltanto
che la causa della morte era stata un malore improvviso. Tuttavia uno di questi
settimanali ha pubblicato un grande servizio di copertina che parlava di avvelenamento,
con le fotografie dei partecipanti al banchetto, soprattutto di quelli, uomini
e donne, sui quali si potevano fare insinuazioni. La vita del milionario morto,
i suoi affari, i suoi molti matrimoni e separazioni, soprattutto le circostanze
scandalose di una di queste hanno ottenuto largo spazio. La polizia sta investigando.
Mi è piaciuto andare a deporre al commissariato. Non ci sono rimasto molto,
i poliziotti credevano che non avessi molto da dire sull'avvelenamento, dopo tutto
io ero un cameriere stupido e felice, al di sopra di ogni sospetto. Quando sono
stato congedato da un commissario incaricato del caso, ho detto casualmente: "Il
mio yacht è più grande del suo". Qualcuno doveva sapere. "Ho
già detto che abbiamo finito con lei, può andare." Mentre
stavo uscendo, ho sentito il commissario dire allo scrivano: "Un'altra
deposizione di merda". Ho vinto la partita. Non so se giocherò
ancora un'altra volta. Con invidia, ma senza risentimento, solo per vincere, come
i ricchi. È bello essere come i ricchi.
(Tratto
dalla raccolta Pequenas Criaturas, casa editrice Campo das Letras, 2002,
Lisbona; traduzione di Julio Monteiro Martins insieme ai suoi studenti dell'Università
di Pisa: Francesca Renda, Chiara Zucconi, Alessandra Pescaglini, Lorenzo Tamburini
e Marco Merlini)
Rubem Fonseca
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