In attesa di una reazione
negativa
A.
L. Kennedy
È inconfondibile,
organico, il sapore di qualcosa di vivo. "Oddio, è terribile". Il
dottore va verso il frigorifero e lei si agita un po' sulla sedia. "Terribile'?" "Il
sapore. Dopo non me la dà una caramellina?" "No". Si
gira con un abbozzo di sorriso sulle labbra. "Niente zuccherino per mandarla
giù e niente caramellina dopo". Fruga senza fretta tra i ripiani sottili,
vagamente scintillanti. "Lo zucchero fa male e qui non diamo mai cose che
fanno male alla salute". "Allora un po' di frutta". "Siamo
in uno studio medico, non in un ristorante". Gli scappa una risatina e decide
di azzardare: "È una medicina scozzese: se ha un cattivo sapore significa
che funziona". Poi si gira per vedere se non se l'è presa. Lei
fa una smorfia che non esprime una totale insoddisfazione: sposta il sapore da
una parte all'altra della lingua, sperando che così facendo diventi meno
forte. Sotto il pizzicore del sale, il freddo peso iniziale del vaccino, quel
sapore ha qualcosa di familiare. Sa che se si concentra riuscirà a capire
cosa le ricorda. Il suo dottore si avvicina. Le mani dell'uomo stringono benevole
una serie di vaccini opportunamente tenuti al fresco: ecco l'inizio di ogni vacanza
veramente felice. "Mi deve dare tutt'e due le braccia". Dispone le
varie confezioni sul tavolo e apre l'involucro del primo ago: "Il tetano
e l'epatite da questa parte...". dice con un sorriso terapeutico, "la
difterite e il tifo dall'altra". In un certo senso è quasi piacevole
il modo in cui elenca le varie malattie con tanta nonchalance. In questo momento
lei sta ricevendo una protezione: una parte del suo sangue si prepara ad accogliere
qualcosa di estraneo, così lei sarà sana e salva quando il suo corpo,
nella sua interezza, andrà all'estero. Deglutisce e per un attimo le
viene in mente la faccenda Gordon. Gordon non riceverà nessuna protezione
perché non andrà con lei perché a lui l'estero non piace.
Mentre a lei sì. L'idea dell'estero le piace proprio tanto. "Non
le farò male". Il dottore aspira con cura l'epidemia nella siringa. "Lo
so. Sarà il braccio a farmi male". Si arrotola le maniche, sperando
che la porzione di pelle offerta sia sufficiente. Se possibile preferirebbe non
togliersi la camicetta. In passato, i gesti che il dottore compiva durante le
visite avevano una natura medica e gentile al tempo stesso; e se era il caso di
effettuare esplorazioni più intime c'era un' infermiera che assisteva discreta.
E anche in quel caso l'atto di spogliarsi è più imbarazzante dell'essere
nudi: doversi togliere i vestiti in fretta e furia mentre intanto il dottore esce
piano piano e l'infermiera perfora il silenzio asettico con i suoi respiri e si
sposta leggermente nelle scarpe dalla suola di para, senza smettere di osservare.
Non è una cosa piacevole. Ma oggi la visita sarà di natura diversa. Lui
annuisce: "Bene", poi le spinge nella pelle un dolore pungente; la trattiene,
la tampona tutt'intorno, toglie e tampona di nuovo. "Tanto tanto male?" "No.
Non mi ha fatto male per niente". "Mm. Infatti sono piuttosto bravo
a fare le iniezioni. Faccio ancora prática, sa? Potrei farle il nome di
altri che non si esercitano più. Come va la poliomielite?" "Sento
ancora il sapore. Anzi, mi sa che è peggio di prima. Mi ricorda... non
saprei cosa". Le infila un altro ago mentre lei continua a pensare. Mossa
a tradimento. "Ci sono persone che preferiscono non sapere cosa succede".
"Il braccio è mio. Preferisco tenerlo d'occhio". "Certo.
capisco. L'altro e poi abbiamo finito. Le chiedo solo di rimanere qui qualche
altro minuto per vedere se c'è una reazione negativa". Appena il
dottore pronuncia queste parole lei si sente il sangue che le schizza nelle vene
e una sensazione stranissima, ma niente che si possa definire negativo. Tutto
ciò serve per irrobustire la sua carne, come si fa col vino: con ogni iniezione
la scienza la difende sempre più dagli attacchi della natura. "La
vedo tesa: se non si rilassa sentirà più dolore". "Scusi". "Si
figuri. Lei è una paziente molto paziente. E ora. L'ultima. Ecco fatto.
Starà via molto?" "Un mese". Un mese lontana da Gordon,
e in questo periodo di tempo cercherà di telefonargli e senz'altro gli
scriverà delle cartoline. Ma ciò non esclude che potrà provare
degli attacchi sempre più intensi di quello che si può benissimo
definire sollievo. In quel preciso istante sente i sintomi che aumentano. `"Fantastico.
Un mese". Un mese intero di sollievo forse incurabile. Quasi certamente
quando tornerà a casa la licenzieranno. Ha già calcolato la probabilità
di un licenziamento sommario. Si rende conto che la cosa non le fa paura. non
come potrebbe farle paura la malattia, o un mese da passare qui insieme a Gordon
e alla sua lista di cose di cui non si può parlare. "Si, ho accumulato
un po' di ferie arretrate": indugia. pensa al sapore della poliomielite cercando
di ricordare quand'è che l'ha già provato; le viene in mente, fa
un sorriso: "E mi prendo quattro giorni di malattia". "Ah sì?"
Il dottore fa una pausa per assumere una classica aria da medico: tiene in alto
la fialetta, l'ago luccica, le mani sono naturalmente fredde. ma fermissime. "Mi
dia il suo parere professionale: cosa mi verrà?" La voce del dottore
si rilassa e diventa ammiccante, non potendo fare altrettanto con gli occhi e
dovendo tenere una certa distanza dal paziente per motivi deontologici. "Cosa
le verrà'? Ah, probabilmente l'influenza. Probabilmente non il tifo, né
l'epatite, né... neanche il tetano, la difterite o la poliomielite. Sì,
penso che l'influenza forse è la cosa migliore. Ecco il mio parere professionale". E
neanche la poliomielite. Lei si lecca i denti e sorride un'altra volta. In occasione
del loro secondo anniversario, la scorsa primavera, quando Gordon le aveva chiesto
di farlo e lei finalmente aveva ceduto, quando lui l'aveva avuta vinta: era quello
il sapore di Gordon. Quel conato di vomito in gola, ripetuto, e poi il caldo sapore
del vaccino antipolio. Lo stesso sapore di Gordon. "Visto che sta via
tutto questo tempo...". dice il dottore riflettendo, consultando le vecchie
ricette, "potrei prescriverle il Tri-Novum, per la prossima volta che le
serve". "E per cosa`?" "È l'anticoncezionale". Il
suo passaporto per Gordon. per viaggiare senza il bagaglio della gravidanza. "Ah,
sì, grazie". "Tutto a posto col ciclo'? Normale`?" "Tutto
a postissimo". Pronuncia queste parole perché presto corrisponderanno
al vero, anzi, forse sono già vere: le sue speranze si stanno rivelando
insospettabilmente più forti di qualsiasi antidoto. Lascia che il medico
le misuri la pressione, la pressione del sangue che sta subendo un processo di
alterazione. La fascia è stretta ma questo non la disturba. Per gentilezza
prende la ricetta di quel contraccettivo per via orale di cui forse non farà
mai uso, perlomeno non con Gordon. "Grazie". "Siamo qui per
servirvi". Il medico le apre la porta per permetterle di uscire. "Faccia
buone vacanze, mi raccomando". "Grazie, senz'altro". Si accorge,
parlando, di avere un alito che sa vagamente di qualcosa che ricorda da vicino
il liquido seminale. Si accorge di avere in bocca qualcosa che ricorda da vicino
il sapore stucchevole e pungente dello sperma. Si accorge che suo marito ha un
sapore che sa di malattia vagamente addolcita. Alla quale però lei, a quanto
pare, è diventata completamente immune.
(Tratto da Gesti indelebili, Minimum fax editrice, Roma, 2006. Traduzione
di Federica Aceto.)
A. L. Kennedy è nata a Dundee, in Scozia, nel 1965. Ha al suo attivo tre
raccolte di racconti e cinque romanzi: un suo racconto è stato incluso nell'antologia
New british Blend. Ha vinto numerosi premi ed è stata nominata due volte
(1993 e 2003) nella lista dei venti migliori giovani scrittori britannici secondo
la rivista Granta.
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