UNA LIBRERIA AMERICANA A PARIGI
Adriana Sardinha
Doveva essere una libreria francese a New York, ma si trasformò in una libreria americana a Parigi. Meno male. Così la Shakespeare and Company divenne un punto di riferimento per un’intera generazione di scrittori nordamericani che resero quel piccolo negozio sulla sponda sinistra della Senna un punto di incontro durante gli effervescenti anni venti. La sua proprietaria, Sylvia Beach, pubblicò l’Ulisse di James Joyce e diventò una delle più importanti figure dell’ambiente letterario della prima metà del secolo.
La storia di Sylvia Beach e della sua leggendaria libreria è raccontata in prima persona nel divertente ed emozionante Shakespeare and Company: una libreria nella Parigi tra le due guerre. Nata a Baltimora nel 1887 Sylvia Beach scrisse le sue memorie nel 1959, tre anni prima di morire a Parigi, dove si era stabilita nel 1917, con l’obiettivo di approfondire i suoi studi sulla letteratura francese contemporanea.
Nella capitale francese, Sylvia conobbe Adrienne Monnier, una libraia che sarebbe divenuta sua compagna per il resto della vita. Nacque così il sogno di aprire una filiale del negozio di Adrienne negli Stati Uniti. Tuttavia il denaro non era sufficiente per tale impresa e invertire il percorso diventò un’idea affascinante tanto quanto la prima. Il costo della vita nella Parigi dell’epoca era ben più basso e inoltre i francesi erano ansiosi di scoprire i nuovi scrittori statunitensi. Due anni dopo l’arrivo a Parigi, Sylvia scoprì la Shakespeare and Company che, oltre ad attrarre autori francesi come André Gide e Paul Valéry, per citarne alcuni, divenne il quartier generale degli scrittori americani esiliati in Francia. Ernest Hemingway, Ezra Pound, Robert McAlmon, Gertrude Stein, Scott Fitzgerald erano alcuni dei soci (la libreria era innanzitutto una biblioteca). Sylvia aveva un vasto repertorio di osservazioni personali e storie da raccontare su ciascuno di loro (esercitando in ogni caso il suo stile fluente e sincero).
Il contesto politico e sociale dell’epoca è espresso nel libro, sia tra le righe, sia attraverso eventuali commenti più diretti sul frenetico periodo tra le due guerre. “Ero troppo lontana dal mio paese per poter accompagnare da vicino la lotta degli scrittori per esprimersi. Credo di dover, in parte a questa repressione, in parte all’atmosfera da essa creata, molti dei miei clienti - tutti quegli esili degli anni venti che attraversarono l’oceano e si stabilirono a Parigi colonizzando la sponda sinistra della Senna” rivela Sylvia nel capitolo quattro.
Fu ancora la repressione a fare in modo che l’Ulisse, il capolavoro di James Joyce, andasse a finire nelle mani di Sylvia. Buona parte delle sue memorie, chiaramente, sono dedicate allo scrittore irlandese, e dobbiamo a lui e alla perspicacia dell’autrice, alcuni dei momenti migliori del libro. Sylvia conobbe Joyce nell’estate del 1920, ad una festa a casa di André Spire. “Io idolatravo James Joyce e alla notizia insperata della sua presenza mi spaventai così tanto che avrei voluto fuggire” racconta l’autrice. Fortunatamente lei non fuggì ed ebbe inizio, in quel pomeriggio di domenica, un’amicizia che avrebbe portato grande frutti alla letteratura.
Il giorno dopo l’incontro, James Joyce andò alla Shakespeare and Company per la prima volta. Sylvia si commosse quando conobbe le condizioni nelle quali, da sette anni, lo scrittore stava lavorando all’Ulisse, tra gravi difficoltà economiche e un grave problema di vista.
L’Ulisse veniva pubblicato su Little Review negli Stati Uniti, grazie agli instancabili tentativi di pubblicazione di Harriet Weaver, “Joyciana della prima ora” ed editrice della rivista Egoist in Inghilterra. Ma la Little Review stava affrontando anche problemi con le autorità locali e la rivista cedette quando le sue editrici furono accusate di pubblicare oscenità.
“Ogni speranza di pubblicazione nei paesi di lingua inglese si spense per parecchio tempo, e lì, nella mia piccola libreria, sedeva James Joyce tra sospiri profondi” ricorda Sylvia nel capitolo che porta il suggestivo titolo di: La Shakespeare and Company si avvia verso la salvezza”.
“Senza esitare per la mancanza di capitale, esperienze e tutti gli altri requisiti necessari ad una casa editrice, ho portato avanti l’Ulisse” Iniziava così la grande sfida dell’editrice americana a Parigi. Dopo mille peripezie - l’edizione affrontava problemi ad ogni nuovo passo - il 2 febbraio del 1922, compleanno di James Joyce, Sylvia gli consegnava il primo esemplare dell’Ulisse.
A questo punto Sylvia era già diventata amica di tutta la famiglia Joyce e nonostante la presenza quotidiana del patriarca nella sua “casa”, doveva andare fino a Rue de l’Assomption per incontrare Nora e i due figli della coppia, Lucia e Giorgio. Il rapporto familiare di Joyce è descritto da Sylvia con naturalezza e con senso dell’umorismo. “A Joyce piaceva essere definito inaffidabile da Nora; era un sollievo in confronto all’atteggiamento rispettoso degli altri (…) Nora non voleva avere niente a che fare con i libri, e questo divertiva suo marito. Lei dichiarò di non aver letto nemmeno una pagina di “quel” libro, puntando il dito verso l’Ulisse. Niente l’avrebbe convinta ad aprirlo” disse Sylvia, per poi aggiungere: “Quello era senza dubbio il matrimonio più felice di tutti gli scrittori che avessi mai conosciuto”.
Da questo stile naturale e brillante, permeato da una fine ironia, Sylvia emerge dal libro come una grande osservatrice e un’eccellente narratrice di episodi. James Joyce e altre personalità sono presentati senza affettazioni. Ed è proprio questo il grande merito di un buon libro di memorie: il tono intimista che fa sì che personaggi grandiosi acquisiscano un’umanità che li avvicina al lettore. E questo Sylvia Beach è riuscita a farlo con maestria.
Leggendo le sue memorie percepiamo che Sylvia Beach era la persona giusta, nel posto giusto al momento giusto. La sua passione per la letteratura ha aperto la strada che lei aveva così bene lastricato con belle e molte realizzazioni. Conoscere la sua storia è farsi incantare da una personalità forte, pratica, determinata e, allo stesso tempo, umile, generosa, magnanima. Solo una persona con tali qualità sarebbe capace di relazionarsi così bene con il genio singolare di scrittori così diversi tra loro, riunendoli tutti sotto lo stesso tetto per vent’anni.
(Tratto dal suplemento Idéias, del Jornal do Brasil, di Rio de Janeiro. Traduzione di Julio Monteiro Martins insieme ai suoi allivevi del 2° anno di Lingue, all’Università di Pisa.)
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