GIOVENTÙ

J. M. Coetzee


(…) Sta leggendo Le lettere di Ezra Pound. Ezra Pound ha perso il lavoro al Wabash College, Indiana, per essersi portato una donna in camera. Infuriato per tanta grettezza provinciale, Pound lasciò l'America. A Londra conobbe e sposò la bella Dorothy Shakespear e andò a vivere in Italia. Dopo la Seconda guerra mondiale, fu accusato di aiutare i fascisti e di esserne stato complice. Per sfuggire alla pena di morte, si dichiarò insano di mente e venne rinchiuso in manicomio.
Adesso, nel 1959, ritornato in libertà, Pound è di nuovo in Italia, al lavoro sul progetto di tutta la sua vita, i Cantos. Tutti i Cantos finora pubblicati sono nella biblioteca dell'Università di Città del Capo, nelle edizioni Faber & Faber, in cui la sequenza dei versi in eleganti caratteri neri è interrotta di tanto intanto, come i colpi di un gong, da enormi caratteri cinesi. È completamente assorto nei Cantos; li legge e rilegge (saltando con mille sensi di colpa le noiose pagine su Van Buren e sui Malatesta), usando come guida il libro su Pound di Hugh Kenner. T. S. Eliot chiamava con magnanimità Pound “il miglior fabbro”. Pur ammirando l'opera di Eliot, pensa che Eliot abbia ragione.
Ezra Pound è stato perseguitato per quasi tutta la vita: costretto all'esilio, poi incarcerato, quindi espulso una seconda volta dal suo paese natale. Eppure, nonostante sia stato etichettato come pazzo, Pound ha dimostrato di essere un grande poeta, forse grande quanto Walt Whitman. Obbedendo al suo demone, Pound ha sacrificato la sua vita all'arte. Così pure Eliot, anche se le sofferenze di Eliot erano di natura più personale. Eliot e Pound hanno vissuto vite fatte di dolore e a volte d'ignominia. C'è una lezione che lui può apprendere in tutto ciò, espressa con forza in ogni pagina della loro poesia – di Eliot, con cui ha avuto il primo sconvolgente incontro quando era ancora a scuola, e ora di Pound. Come Pound ed Eliot, dev'essere pronto a sopportare tutto quanto la vita ha in serbo per lui, anche se ciò comporterà l'esilio, un duro lavoro oscuro, e una cattiva reputazione. E se fallisse la suprema prova dell'arte, se risultasse che, nonostante i suoi strenui sforzi, non ha il dono benedetto, a quel punto dovrà essere pronto a sopportare anche quello: l'immutabile verdetto della Storia, il destino di essere, malgrado le sue sofferenze presenti e future, un minore. Molti sono chiamati, ma pochi eletti. Per ogni grande poeta, uno sciame di poeti minori, come tanti moscerini che ronzano intorno a un leone.
La sua passione per Pound è condivisa soltanto da un suo amico, Norbert. Norbert è nato in Cecoslovacchia, è venuto in Sudafrica dopo la Guerra, ha la s blesa e parla inglese con un leggero accento tedesco. Studia ingegneria, come suo padre prima di lui. Si veste con elegante formalità europea e sta corteggiando con grande rispettabilità una bella ragazza di buona famiglia con cui una volta alla settimana va a fare una passeggiata. Lui e Norbert s'incontrano in una sala da tè sulle pendici della montagna, dove commentano le ultime poesie di entrambi e si leggono a vicenda i versi di Pound che preferiscono.
Gli pare un fatto interessante che Norbert, un futuro ingegnere, e lui, un futuro matematico, siano entrambi discepoli di Ezra Pound, mentre gli altri studenti di sua conoscenza che scrivono poesie, quelli che studiano letteratura e pubblicano la rivista letteraria dell'università, sono dei seguaci di Gerard Manley Hopkins. Lui stesso, a scuola, ha attraversato una breve fase in cui apprezzava Hopkins, in cui stipava nei suoi versi un sacco di monosillabi accentati ed evitava parole di origine romanza. Ma, dopo un po', Hopkins non gli è più piaciuto, così come ora gli piace sempre meno Shakespeare. I versi di Hopkins sono troppo zeppi di consonanti, quelli di Shakespeare troppo zeppi di metafore. Hopkins e Shakespeare danno anche troppo peso alle parole insolite, in particolare le parole in inglese antico, per dire “fauci”, “prendersi cura”, “peculio”: maw, reck, pelf. Non capisce perché la poesia debba sempre raggiungere toni declamatori, perché non debba accontentarsi di seguire l'andamento di una normale voce parlante, perché, cioè, debba essere tanto diversa dalla prosa.
Ha cominciato a preferire Pope a Shakespeare e Swift a Pope. Nonostante la crudele precisione del suo fraseggio, che lui approva, Pope gli pare ancora troppo a suo agio tra sottogonne e parrucche, mentre Swift rimane un selvaggio, un solitario.
Gli piace anche Chaucer. Il Medioevo è noioso, ossessionato dalla castità, invaso dal clero; i poeti medievali sono per lo più timidi, sempre lí a sgambettare dietro ai padri latini in cerca di guida. Ma Chaucer mantiene un'ironica distanza dai suoi modelli. E, a differenza di Shakespeare, non schiuma di rabbia e non si mette a sbraitare.
Quanto agli altri poeti inglesi, Pound gli ha insegnato a fiutare il facile sentimento in cui si crogiolano i romantici e i vittoriani, per non parlare del loro fiacco versificare. Pound ed Eliot stanno cercando di rivitalizzare la poesia anglo-americana ridandole la stringatezza del francese. E pienamente d'accordo. Come ha potuto essere così infatuato di Keats al punto da scrivere sonetti alla Keats non riesce proprio a capirlo. Keats è come un cocomero, molle, dolce e cremisi, mentre la poesia dovrebbe essere vigorosa e trasparente come una fiamma. Leggere una decina di pagine di Keats è come cedere alla seduzione.
Si sentirebbe più sicuro di sé come discepolo di Pound, se sapesse leggere il francese. Ma tutti i suoi sforzi per impararlo da solo non portano da nessuna parte. Non ha nessuna sensibilità per quella lingua, con le sue parole che cominciano con tanta audacia solo per ridursi, a poco a poco, a un soffio. Sicché deve accettare sulla fiducia che, per Pound e Eliot, siano Baudelaire e Nerval, Corbière e Laforgue a indicare la strada da seguire.
I suoi progetti, quando si è iscritto all'università, erano laurearsi in matematica, poi andare all'estero e dedicarsi all'arte. I suoi progetti arrivavano fin lì, fin dove bisognava che arrivassero, e finora non ha deviato dal suo cammino. Mentre perfezionerà la sua abilità poetica all'estero, si guadagnerà da vivere facendo qualcosa di oscuro e di rispettabile. Dal momento che i grandi artisti sono destinati a non veder riconosciuto il proprio valore per un po', immagina di trascorrere gli anni di prova come un umile impiegato che passa il suo tempo a sommare colonne di cifre in una stanzetta. Lui non sarà di certo un artista bohémien, non sarà, cioè, né un ubriacone, né un profittatore o un fannullone.
La matematica l'attira, oltre che per i simboli arcani che usa, per la sua purezza. Se all'università ci fosse un dipartimento di Pensiero puro, con tutta probabilità si iscriverebbe anche a quel corso; ma la matematica pura sembra il modo più diretto che l'accademia offre per avvicinarsi al regno delle forme.
Tuttavia, c'è un ostacolo al suo piano di studi: il regolamento non permette di studiare matematica pura escludendo il resto. Quasi tutti gli studenti del suo corso seguono un misto di matematica pura, matematica applicata e fisica. Non è una direzione che si sente in grado di seguire. Anche se da bambino nutriva un interesse discontinuo per la missilistica e la fissione nucleare, non ha nessuna sensibilità per ciò che si chiama “il mondo reale”, non riesce a capire perché in fisica le cose siano come sono. Perché, per esempio, una palla che rimbalza alla fine smette di rimbalzare? I suoi compagni non hanno difficoltà a rispondere a questa domanda: perché il coefficiente di elasticità è meno di uno, dicono. Ma perché dev'essere così? chiede. Perché il coefficiente non può essere esattamente uno, o più di uno? Loro alzano le spalle. Viviamo nel mondo reale, dicono: nel mondo reale il coefficiente di elasticità è sempre meno di uno. A lui non sembra una risposta.
Siccome, a quanto pare, non ha alcun interesse per il mondo reale, evita le scienze, riempiendo gli spazi vuoti del suo piano di studi con corsi d'inglese, filosofia, lettere classiche. Vorrebbe essere considerato uno studente di matematica che ha per caso deciso di seguire qualche corso umanistico; ma tra gli studenti dei corsi scientifici lui è, con suo disappunto, considerato un estraneo, un dilettante che arriva per le lezioni di matematica e poi sparisce, Dio sa dove.
Dato che diventerà un matematico, dovrebbe passare la maggior parte del tempo a studiare matematica. Ma la matematica è facile, mentre il latino non lo è. Il latino è la materia in cui è meno ferrato. Anni di esercizi alla scuola cattolica gli hanno ficcato in testa la logica della sintassi latina; è in grado di scrivere brani di prosa ciceroniana corretta seppur greve; ma Virgilio e Orazio, con il loro ordine casuale delle parole e tutte quelle repellenti frasi fatte, continuano a sconcertarlo.
Lo mettono in un seminario di latino in cui quasi tutti gli altri studenti sanno anche il greco. Sapere il greco facilita l'apprendimento del latino; lui deve darsi da fare per non restare indietro, per non passare per uno stupido. Vorrebbe tanto aver frequentato una scuola in cui s'insegnasse il greco.
Una delle attrattive segrete della matematica è che si usa l'alfabeto greco. Anche se non conosce altre parole greche oltre a hybris, arete ed eleutheria, passa ore a perfezionare la sua scrittura delle lettere greche, premendo forte verso il basso per ottenere l'effetto di un carattere Bodoni.
Il greco e la matematica pura sono ai suoi occhi le materie più nobili che si possano studiare all'università. Venera da lontano i professori di greco, i cui corsi non può frequentare: Anton Paap, papirologo; Maurice Pope, traduttore di Sofocle; Maurits Heemstra, chiosatore di Eraclito. Assieme a Douglas Sears, professore di matematica pura, essi abitano un regno superiore.
Nonostante tutti i suoi sforzi, i voti di latino non sono alti. E la storia dell'antica Roma ogni volta gli abbassa la media. Il professore di storia dell'antica Roma è un giovane inglese pallido, infelice, il cui vero interesse è Digenis Akritas. Gli studenti di giurisprudenza, per i quali il latino è obbligatorio, avvertono la sua debolezza e lo tormentano. Arrivano in ritardo e se ne vanno prima; lanciano aeroplanini di carta; bisbigliano forte mentre lui parla; quando lui dice qualcosa di vagamente spiritoso, ridono con voce roca, battono i piedi per terra e non la smettono più.
La verità è che lui, come gli studenti di giurisprudenza, e forse come il professore stesso, si annoia a studiare le fluttuazioni del prezzo del grano durante il regno di Commodo. Senza fatti non c'è Storia, e lui non è stato mai tagliato per i fatti: quando a un esame lo invitano a esprimere il suo parere sulle cause di un certo evento nel tardo Impero, lui fissa, mesto, la pagina vuota.
Leggono Tacito in traduzione: asciutti resoconti degli eccessi e degli atti di ferocia degli imperatori, in cui solo l'inspiegabile urgenza sottesa alla successione delle frasi lascia trapelare ironia. Se vuole diventare un poeta, deve prendere lezioni da Catullo, il poeta dell'amore, che traducono durante le attività di tutoraggio; ma è Tacito, lo storico, il cui latino è cosi difficile che lui non riesce a seguirlo nell'originale, ad avvincerlo veramente.
Seguendo le raccomandazioni di Pound, ha letto Flaubert, prima di tutto Madame Bovary, poi Salammbô, il romanzo sull'antica Cartagine, così come si è severamente imposto di non leggere Victor Hugo. Hugo è un trombone, dice Pound, mentre Flaubert sa trasporre nella scrittura in prosa la rigorosa arte orafa della poesia. Da Flaubert derivano innanzi tutto Henry James, poi Conrad e Ford Madox Ford.
Flaubert gli piace. Emma Bovary in particolare, con i suoi occhi neri, la sua sensualità inquieta, la sua disponibilità a darsi, lo ha proprio catturato. Vorrebbe andare a letto con Emma, sentire il famoso sibilo della cintura, simile a quello di un serpente, mentre si spoglia. Ma Pound approverebbe? Non è sicuro che voler conoscere Emma sia una ragione sufficiente per ammirare Flaubert. Nella sua sensibilità c'è ancora, suppone, qualcosa di marcio, qualcosa di Keats.
Certo, Emma Bovary è una creazione letteraria, non s'imbatterà mai in lei per la strada. Ma Emma non è stata creata dal nulla: ha avuto origine dalle esperienze vissute dal suo autore sulla propria pelle, esperienze poi soggette al fuoco trasfigurante dell'arte. Se Emma avesse un originale, o più originali, allora ne conseguirebbe che donne come Emma e l'originale di Emma dovrebbero esistere veramente nel mondo reale. E anche se non fosse cosí, anche se nessuna donna del mondo reale fosse proprio come Emma, devono esserci tante donne che sono state influenzate dalla lettura di Madame Bovary al punto da subire il fascino di Emma ed essersi trasformate in sue versioni. Non saranno la vera Emma, ma in un certo senso ne sono l'incarnazione.
Coltiva l'ambizione di leggere tutto ciò che vale la pena di essere letto prima di andare all'estero, così che quando arriverà in Europa non sarà un buzzurro di provincia. Per le sue letture si affida alla guida di Eliot e Pound. In virtù della loro autorità, bandisce dagli scaffali, uno dopo l'altro, senza mezzi termini Scott, Dickens, Thackeray, Trollope, Meredith. Né c'è qualcosa prodotto dall'Ottocento tedesco, italiano, spagnolo e scandinavo che meriti attenzione alcuna. La Russia avrà anche generato alcuni mostri sacri, ma come artisti i russi non hanno nulla da insegnare. Dal Settecento in poi la civiltà è stata una faccenda anglo-francese.
D’altro canto, ci sono oasi di alta civiltà in tempi lontani che non ci si può permettere d’ignorare: non solo Atene e Roma, ma anche la Germania di Walter von der Vogelweide, la Provenza di Arnaut Daniel, la Firenze di Dante e Guido Cavalcanti, per non parlare della Cina della dinastia Tang, dell’India dei Moghùl e della Spagna degli Almoràvidi. Così, a meno che non impari il cinese, il persiano e l’arabo, o almeno non le conosca, quelle lingue, abbastanza da poter leggerne i classici con il sussidio di un bigino, tanto vale essere un barbaro. Dove lo troverà il tempo?


(Brano tratto dal romanzo Gioventù, Einaudi, Torino, 2002. Traduzione di Franca Cavagnoli)


 

J. M. Coetzee, vincitore nel 2003 del Premio Nobel, è uno dei più importanti scrittori sudafricani.




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