RECUPERO
Roddy Doyle
Cammina. Ogni giorno, cammina. Era quello che aveva detto il medico. Tutti i medici. Tanto movimento, gli avevano detto. Era l’unica cosa che aveva capito davvero.
– È un tipo da golf, signor Hanahoe?
– No.
– Da passeggiate in collina.
– No.
– Porta a spasso il cane?
– Niente cane.
Aveva seppellito il cane da qualche anno, nel giardino sul retro.
– Bisognerà farle fare del movimento.
– D’accordo.
Cammina adesso, ogni giorno. Anche la domenica. Il cane non gli era nemmeno mai piaciuto. Cammina, sempre lo stesso percorso. Tranne forse quand’era cucciolo, e i ragazzi erano più piccoli. Ogni giorno, lo stesso percorso. Quello del primo giorno. Per Malahide Road.
Hanahoe cammina.
Quando il cane morì, i ragazzi ci rimasero molto male, ma non così male da uscire sotto la pioggia a scavargli la fossa. Il cane stava morendo da anni; i ragazzi vivevano quasi tutto il tempo fuori casa. Era toccato a Hanahoe.
Parte dalla rotonda di Artane, spalle alla città, rivolto verso Malahide.
Parte.
Avrebbe aspettato che smettesse di piovere, ma non gli sembrò giusto, ed erano giorni che pioveva. Così scavò al buio. Era facile, il terreno era talmente bagnato. La vanga gli affondava senza sforzo. E scavando tirò su un coniglio. Lo vide alla luce della torcia. Uno scheletro. Aveva seppellito il coniglio anni prima, prima del cane, dopo il pesce rosso.
Gli ci vogliono dieci minuti per arrivare alla rotonda di Artane, ma non li conta. La camminata inizia, il movimento inizia, quando è all’angolo tra Ardlea Road e Malahide Road.
Aveva avuto l’intenzione di dire ai ragazzi del coniglio. Lo ricacciò dentro, sopra il cane. Aveva avuto l’intenzione di dirglielo la mattina dopo, prima del lavoro e della scuola. L’unico momento in cui erano tutti quanti a casa. Ma, se lo ricorda adesso mentre cammina, non glielo disse mai. E il coniglio non lo ricacciò dentro. Lo mise sulla vanga e lo fece scivolare giù, sopra il cane. Si dimenticò di dirglielo. Pensa di essersene dimenticato. Non ne è sicuro.
Ci sono altri posti dove potrebbe camminare. Ci sono tanti altri posti. Potrebbe salire in macchina e andare a St. Anne o a Bull Island, oppure fino al sentiero sulla costa, o anche oltre, fino a Howth. Ma non lo fa. Non è sicuro del perché, sa soltanto che non lo farà. E invece non è vero. Lo sa perché; lo sa esattamente perché. È la gente. Troppa gente.
Ha perso l’abitudine di parlare. Mano a mano che i ragazzi crescevano. Mise una lastra di pietra, avanzata dal patio, a coprire la fossa del cane, e poi si ricordò che non c’era più nessun cane che l’andasse a scavare. Non c’era bisogno della lastra. Un’altra cosa che avrebbe detto ai ragazzi, e che non disse.
Questo è il tratto che Hanahoe ha scelto. Partenza davanti a Mount Dillon Court. Le residenze per anziani. Non ha mai visto nessuno uscire di lì. Giovane o vecchio – un lattaio o un poliziotto, una figlia, un nipote. Nessuno. E questo fa al caso suo. Smetterebbe di guardare se vedesse qualcuno.
– Ci va mai al pub?
– No.
– Al circolo del golf.
– Me l’ha chiesto l’ultima volta. No.
Prima sì. Gli capitava ogni tanto di andare al pub. Un giorno a settimana, due. Qualche volta dopo la messa. Veniva anche lei. Pensava le piacesse. L’aveva sempre pensato. Una pinta per lui, qualcos’altro per lei. Gin tonic, un cocktail alla vodka, Ballygowan, Baileys. Non sceglieva mai lo stesso. E lui non si ricorda di aver mai pensato che in questo ci fosse qualcosa che non andava.
Passa davanti alle vecchie case di campagna. Sono fuori posto, su quella strada a due corsie. Cammina accanto alla pista ciclabile. In direzione delle case più nuove. Se ne stanno lontane e ben nascoste, dietro siepi e alberi vecchi. Su una strada che corre parallela alla strada principale. Se la gente lo guarda mentre passa ogni giorno, non gli importa, e non gli deve importare. Non li conosce, e non li conoscerà. Cammina sull’erba. Il terreno è duro. Non piove da tanto tempo.
Si è messo i pantaloni della tuta. Glieli ha comprati lei. Erano in un sacchetto in fondo al letto quando è tornato a casa dall’ospedale. Della Champion. Due tute. Una blu e una grigia. I pezzi di sopra non se li mette. E non se li metterà. Non sa quando si è trasferita nella camera delle figlie; non ne è sicuro, esattamente. È rimasta vuota per un po’. Dopo che se n’è andata la più grande, e poi sua sorella. E poi ci si era trasferita lei, qualche mese più tardi. Ha anche le scarpe da ginnastica, se le è prese dopo essere tornato a casa. La prima volta che è uscito, fin su al castello di Artane. Non c’è stato nessun litigio, niente del genere quando si è trasferita nella stanza delle ragazze. Non pensa ci sia stato. Si è svegliato una notte e lei non c’era. E la notte successiva l’ha sentita scendere dal letto. Faceva troppo caldo, ha detto. La notte dopo, non ha detto niente. La notte dopo ancora, è andata direttamente nella stanza delle ragazze. Qualche anno fa. Due, tre. Le scarpe da ginnastica sembrano ancora nuove. Non è mai tornata nella loro camera. E lui non le ha mai chiesto perché. Se le mette già da un mese. Sono ancora bianche, come nuove. Gli dà fastidio.
Passa Chanel Road. Passa l’insegna del Rampaí. È alla svolta per Coolock. Si guarda indietro, controlla che non ci siano macchine. È libero, attraversa. Chanel a sinistra, la scuola. Il cartello del kickboxing su un pilastro del cancello. “Ragazzi e adulti, lunedì e venerdì.” Non avevano niente del genere quando i ragazzi erano più piccoli. Kickboxing. Arti marziali. Skateboard. Niente del genere – pensa.
Hanahoe attraversa la strada.
– È un tipo da circoli?
– Come?
– Se frequenta circoli. Associazioni.
– No.
– No, non ancora, oppure no, mai?
Non risponde. Alza le spalle.
Prima lo era. Pensava di esserlo. Un tipo da circoli. L’associazione dei residenti, il calcio. Raccogliere fondi, portare i ragazzi alle partite. Lo faceva. Faceva tutto. Gli piaceva. Poi i figli hanno smesso di giocare e lui ha smesso di andare. Meno gente con cui parlare – è andata così e basta. Non ne sentiva la mancanza allora. Non la sente adesso.
Oltrepassa la scritta “Coolock Village”, scolpita nel granito. “Sponsorizzato da Irish Shell Ltd, 1998.” Costeggia il muro dietro il distributore di benzina, le macchine usate. Dietro la friggitoria, e la vetreria Coolock. Un muro alto, non si vede niente. A destra, il traffico. Un discreto viavai, anche se è troppo presto per l’ora di punta. Si chiede come sia il kickboxing, come siano i genitori che fanno kickboxing. Non ne ha la più pallida idea. È alla chiesa adesso, al parcheggio. Non c’è niente – funerale, matrimonio – non c’è nessuno. Il calcio gli piaceva. Gli piacevano i tizi che gestivano il circolo – questo se lo ricorda, si ricorda di averlo detto. Ci fu una gita a Liverpool – la macchina, il traghetto. Tre ragazzi dietro, un altro padre seduto accanto a lui. Era stato bello. Un bel fine settimana. Il Liverpool aveva vinto. Contro l’Ipswich, o il Sunderland. Una squadra del genere.
Se la sta cavando bene. Non è stanco. Fa caldo. Potrebbe piovere. Di nuovo un muro alto, il retro di altre case. Deve abbassarsi per evitare dei rami. Il Southampton. Passa un autobus, lo investe di aria calda. Il Liverpool batté il Southampton. L’autobus sterza, accosta alla fermata davanti. Scende una donna. Se ne va. È più veloce di lui; non riuscirà a vederla in faccia. Porta delle scarpe da ginnastica, come le sue.
Ha smesso di andare alla messa. Lei ci va ancora. Per quanto ne sappia lui. Ha smesso di andarci quando hanno smesso i ragazzi. È quasi arrivato all’incrocio. C’è uno degli africani al semaforo. Cammina tra le macchine vendendo l’Herald. Non ha mai visto nessuno comprarne una copia. Ma gli africani ci sono, ogni giorno.
Può attraversare; il semaforo è verde. A sinistra, la Cadbury. Ancora case, a lato della strada. Odiava la messa, tutto quanto. Sempre odiata. Alzarsi, sedersi. Quasi ogni domenica. O il sabato sera, quando presero quell’abitudine. Per togliersi il pensiero.
Adesso è dietro la Cadbury. È come un parco. Con serre e tutto. È come in campagna, il ruscello, gli alberi. Come doveva essere stato. Ma non nei suoi ricordi. È sempre stato così.
È deprimente, una vita impostata in quel modo. La messa, accompagnare i ragazzi a calcio, o a ballare. La pinta il venerdì. Il sesso la domenica. La paga il giovedì. La spesa il sabato. Uscire di casa alla stessa ora. Parcheggiare nello stesso punto. La carta fedeltà. I sacchetti. Il solito tran tran. Un giorno l’ha capito: lo odiava.
Sua madre lavorava alla Cadbury quando lui era piccolo. Natale e Pasqua. Il cinema UCI dall’altra parte della strada. Sono anni che non va al cinema. Gli portava sempre a casa delle uova di Pasqua, quelle venute male, che non si potevano vendere. Ne portò uno a scuola. Il suo pranzo. Il re del mondo quel giorno. Non riesce a ricordarsi l’ultimo film che ha visto. Sta cominciando a sudare. Bene. Questo è movimento. Questo è quello che vogliono. Sente l’odore della Tayto. Oggi non è poi così cattivo. Di fronte, nuvole che si addensano. Si preparano. Fa caldo. “Michael Collins”. L’ultimo film che ha visto. Ma è stato tanto tempo fa. È sicuro di esserci tornato da allora. Guarda l’UCI dall’altra parte della strada. Ma non riesce a leggere i titoli dei film. Troppo lontano. Non ha la più pallida idea di che cosa ci sia, di quale sia il film del momento. Niente più ragazzi a casa. Sta passando davanti alla fabbrica di vernici. Pensa che sia una fabbrica di vernici. Akzo Nobel. Berger, Sandtex, Sadolin. Neanche lei va al cinema. Non pensa che ci vada. Non le è piaciuto “Michael Collins”. A lui sì.
Ancora case di campagna. E dietro, altre ancora, vecchi viottoli, magazzini. È quasi arrivato da Woodie. Quando esce si vede con le amiche – pensa. Glielo dice ancora, qualche volta. Prima di uscire. Gli dice che sta uscendo. Con chi si deve vedere. Un gruppo di donne che conosce da anni. Lui le conosce tutte. Conosce i loro mariti. Prima uscivano insieme, gli uomini e le donne. Non era tanto male. Adesso non più, però, da anni. Forse va al cinema con loro. Ne dubita. Glielo direbbe. Non è che non parlino mai. È andata a teatro, qualche mese fa. In città. Gliel’ha detto. Una cosa del genere, gliela direbbe. Lui la direbbe a lei. Non va poi così male.
Odia Woodie. Non il negozio. Ne vede la necessità – legno, vernici. Si apre la giacca. Fa un po’ troppo caldo adesso. Sta bene. Alla grande. Il cuore batte calmo. Non è per i prodotti. È l’idea. Il fai da te. La gente che ci passa tutto il fine settimana. Affollandone i corridoi. E più in là gli altri negozi. Arredamenti Classici. Mattonelle Giusto Prezzo. “Rivesti il tuo bagno con € 299.” Il negozio di animali non c’è più. Quello grande. Ci andava sempre con i ragazzi. Veniva anche lei. Si mettevano a ridere quando se ne rendevano conto: era un’uscita di famiglia. Più vicino dello zoo. Gelato al ritorno. I ragazzi si divertivano un mondo. L’innocenza. Era un piacere.
Si guarda indietro. Prima di attraversare. Di solito c’è traffico. Niente in arrivo; non è costretto a fermarsi. Il McDonald è nuovo. Toymaster. PC Superstore. E il Lidl. Aperto solo da una settimana. Una specie di supermercato. Il parcheggio è pieno più degli altri, sempre stracolmo da quando ha aperto.
Non sa quando le cose sono cambiate. Non sa quando l’ha capito. Prima che lei se ne andasse dalla loro camera. Hanno smesso di parlare. Non è successo niente di eclatante.
Sono anni che vive da solo. Non sa che cosa sia successo. Non ci sono state scenate, quasi mai. Non c’è stata violenza. Nessuno si è fatto del male. Nessuno se l’è spassata fuori casa. Lui no. Lei nemmeno.
Ci fu una festa di Natale. È quasi arrivato al distributore della Texaco. Dietro c’è il pub. Newton House. Due porte, niente finestre. Belcamp Inn, si chiamava prima – pensa. L’unico posto, l’unica volta in cui ha fatto a botte. All’epoca in cui per tornare a casa se la prendeva comoda. Si guarda indietro, attraversa la svolta per la zona industriale. Venerdì sera. Andò a sbattere contro un tizio al bancone. Non fecero proprio a botte. Solo un paio di colpi – era troppo spaventato per avvertirli. Poi troppo spaventato per andarsene.
La festa di Natale. Una tipa giovane che aveva preso lavoro solo da qualche settimana. Seduti vicini, la gamba di lui aveva toccato quella di lei. Fu sorpreso che non si spostasse. Un po’ spaventato. La gamba di lei premuta contro la sua. Niente di eccitante. Piacevole, però. Il pensiero. Poi si erano incontrati nel corridoio. Lei che tornava dal bagno, lui che ci andava. Sorrisero. Lui si fermò. Lei no. Poi sì. La toccò. Si baciarono. Si strusciarono l’uno all’altra. Stava scoppiando, bevuto troppo. Si fermarono. Andò al cesso, tornò, e non successe mai. Punto.
Punto e basta. Non lo ha mai detto a nessuno.
Guarda. Dietro di lui, macchine in arrivo. Aspetta, e attraversa l’ingresso del distributore. Non ha niente di speciale rispetto ai nuovi piazzali che spuntano un po’ ovunque. Martina. Bella ragazza. Era giovane. Come lui, del resto.
Punto e basta.
Non sa che cosa sia successo. O che cosa direbbe, come tirerebbe fuori la questione, dopo tutto questo tempo.
– Che cosa è andato storto?
Non riuscirebbe mai a dirlo.
– Che cosa è successo?
Lei lo guarderebbe. Lui dovrebbe dare spiegazioni. Da dove comincerebbe? Non ne aveva la più pallida idea. E la domanda l’annuncerebbe – la fine. Lo dovrebbero ammettere. E uno dei due dovrebbe andarsene.
Lui.
Del resto, è gia solo. Sa quando è stata l’ultima volta che ha parlato con qualcuno. Stamattina. Mentre prendeva il giornale. La donna alla cassa.
– Altra bella giornata.
– Sì.
Punto. Una donna piacevole. Attraente. Della sua età. Un po’ più giovane. È quasi arrivato alla rotonda di Darndale. Non guardava mai le donne della sua età. Fino a poco tempo fa. Erano sempre troppo vecchie. Non proprio donne; ex–donne. Eppure, adesso le guarda. E invece no. Non proprio. Non sa che farebbe se una donna gli rivolgesse la parola.
– Altra bella giornata.
– Sì.
Che altro potrebbe dire? Non gli interessa. È abituato a essere solo. Sta bene. È arrivato alla rotonda. Andrà avanti. Non è stanco. Attraversa. Darndale a sinistra. Postaccio. Non c’è mai stato. L’ultimo pezzo lo fa di corsa, a passo svelto – fino all’altro lato della strada. Sta bene.
È buio, da un momento all’altro. Come fossero passate quattro ore, in un secondo. E freddo, e sta piovendo. Va avanti. Si chiude la giacca. Sta diluviando. All’improvviso c’è un dito d’acqua. Non ci vede granché. Il rumore del traffico è cambiato; è più sommesso, minaccioso.
Di chi è la colpa? Di nessuno. È successo e basta. Ormai è troppo tardi. Non può riprenderseli, sua moglie, i ragazzi. Hanno le loro vite. Ce l’ha lei; ce l’hanno loro. Magari dei nipoti serviranno a qualcosa. Se ce ne saranno. Non lo sa. Non sa niente. Non prova niente. Non prova nemmeno pena per se stesso. Non pensa di provarne.
Sta bene. Ce la fa.
Ma che cosa stupida. Sta piovendo a dirotto, neanche un barlume di sole. Ha freddo. I piedi sono fradici. Torna indietro. Sente l’acqua giù per la schiena. Gli dà fastidio, dover rinunciare, ma è – non ne è sicuro – rassicurato, o qualcosa del genere. Può cambiare idea. È pronto a farlo.
Riesce a raggiungere la pensilina alla fermata dell’autobus. Dall’altro lato di Malahide Road. Un momento di calma nel traffico. Avanza con i piedi nell’acqua. Sta bene. Al riparo sotto la pensilina. Un gruppo di giovani. Cazzo di qui, cazzo di là. Ragazzacci. Troppo magri, troppo grassi. Non proprio dei ragazzi. Uno di loro gli dà una spinta. Gli finisce addosso. Un incidente. Niente scuse. Ridono. Si spintonano l’un l’altro fuori della pensilina.
Se ne andrà. Ma uno di loro esce fuori, grida. Si ferma un taxi. Ci si ammassano dentro. Uno scivola. Ridono. Andati.
Ce n’è rimasto uno. Una ragazzina. Otto, nove – non ne è sicuro. Tuta bianca. Capelli color topo, con le perline. Sta masticando una gomma. I suoi, di ragazzi, avevano il terrore delle gomme, quand’erano piccoli. Colpa sua – aveva sempre paura che soffocassero. Sta biascicando. La sente.
La pioggia sta finendo.
Lei attacca a parlare.
– ’spetto mia mamma.
È sorpreso. Non dice niente, all’inizio.
– Dov’è?
– Al suo lavoro, dice lei. Sta venendo a casa.
– Con l’autobus?
– Sì.
– Ah, bene.
– Sì.
Lui mette fuori una mano.
– La pioggia sta smettendo.
– Ci voleva tutta, dice lei.
Lui sorride.
– Hai proprio ragione, dice.
Il terreno sta già fumando. Si scrolla l’acqua dalla giacca.
– Io vado, dice. Tutto a posto se resti qui da sola?
– Oh sì, dice lei. Alla grande.
– Brava, dice. Bene. Ci vediamo.
– Ci vediamo.
La pioggia è passata. È di nuovo sereno.
Cammina.
Ragazzina simpatica. Sorride.
Hanahoe cammina verso casa.
(Traduzione di Federica e Stefania Merani)
Roddy Doyle è nato a Dublino nel 1958. È uno tra i più importanti e noti scrittori irlandesi moderni, famoso soprattutto per le splendide descrizioni comiche della vita della Dublino Nord. Tra le sue opere pubblicate in Italia: Bella famiglia (Guanda), Commitments (Guanda), Due sulla strada (Guanda) e Paddy Clark ha ha ha! (Guanda). Il racconto Recupero è stato pubblicato recentemente sulla rivista The New Yorker del 15 Gennaio 2003.
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