IL FILO E I GRANI
Mia Couto
Incontro JMC seduto su una panchina del giardino. Discreto, in solenne solitudine, come se solo lì, sul pubblico sedile, trovasse la dovuta riservatezza. O come se quello fosse il suo recinto, dove abitare per tutta la vita. Attorno, il tempo intatto, solo ore esatte.
Non ho mai saputo il suo nome per esteso. Credo che nessuno lo sappia, nemmeno lui. La gente lo chiama così, scandendo le iniziali: gei emme ci.
Lo saluto, in inclinazione rispettosa. Lui alza gli occhi come se la luce fosse eccessiva. Un sottile agitare di dita: vuole che io mi sieda e lo salvi dalla solitudine.
– Si ricorda che ci sedemmo in questo stesso posto un anno fa?
– Ricordo, sissignore. Sembra ieri.
– Ieri è molto lontano per me. La mia memoria arriva solo alle cose del passato.
– Su, lei è ancora giovane.
– Non sono vecchio, è vero. Ma ho guadagnato tanta vecchiaia.
E ci lasciammo, senza parlare. Ricordo i tempi in cui quest’uomo magro e alto sbucava in questo stesso giardino. Accadeva tutti i fine pomeriggio. Ricordo le sue confidenze. Che lui, essendo debitamente sposato, s’innamorava di passione ardente per un’infinità di donne. Non bastano dita per contarle, proprio tutte, diceva.
– La vita è una collana. Io do il filo, le donne danno i grani. Sono sempre tanti, i grani…
Ogni volta che faceva l’amore con una di loro non ritornava direttamente a casa. Andava, invece, a casa della sua anziana madre. Le raccontava le intimità di ogni nuova storia, le diverse dolcezze di ognuna delle sue amanti. Con gli occhi chiusi, l’anziana ascoltava e fingeva persino di addormentarsi sullo stanco divano del suo soggiorno. Alla fine, prendeva nelle sue le mani del figlio e gli ordinava di farsi il bagno proprio lì.
– Che tua moglie non odori la presenza di un’altra – diceva.
E JMC s’infilava nella vasca mentre l’anziana madre lo sfregava con una spugna profumata. Finito il bagno, lei lo asciugava, lenta come se il tempo le passasse attraverso le mani e lei lo trattenesse tra le pieghe dell’asciugamano.
– Continua, figlio mio, vai a distribuire questo tuo cuore così grande. Non smettere mai di visitare le donne. Non smettere di amarle…
– E papà, papà ti fu sempre fedele?
– Tuo padre, proprio leale, non avrebbe mai potuto essere fedele…
– E perché?
– Tuo padre non ha mai saputo amare nessuno…
Adesso, passati tanti anni, quasi non riconosco l’uomo donnaiolo alto e magro.
– Scusi se glielo chiedo, JMC. Ma lei continua ancora a visitare le donne?
Lui non risponde. È assorto, confronta unghie e rispettive dita. Mi avrà sentito? Per discrezione, non ripeto la domanda. Dopo un po’, confessa in un sussurro:
– Mai più. Non ho mai più visitato una donna.
Una tristezza gli scava la voce. Mi confessava, insomma, una specie di vedovanza. Fu lui a rompere la pausa:
– È che, sa? Mia madre è morta…
Il mio cuore scalpita, stranito. Potesse esistere un silenzio fatto di persone che tacciono.
Ma questo silenzio non c’è. E in quel vuoto restammo entrambi finché, tra l’ingrigire del pomeriggio, appare Donna Graciosa, moglie di JMC. È irriconoscibile, sembra uscita da un ballo in maschera. Viene in luccichii e fiori, più scollatura che camicia, più gamba che vestito. Mi rialzo per cederle il posto sulla panchina. Ma lei si rivolge al marito, soave e dolce:
– Mi accompagni, JMC?
– E tu chi sei, fiore mio?
– Mi chiamerai con il mio nome, ma solo dopo.
– Dopo? Dopo che cosa?
– Su, solo dopo…
A braccetto, i due si allontanano. La notte mi avvolge, col suo abbraccio di nebbia. E non mi accorgo d’essere solo.
(Traduzione dal Portoghese di Daniela Di Pasquale)
(Tratto dal libro “O fio e as missangas” in O fio das missangas, Lisboa, Caminho, 2004, pp.67-69)
Mia Couto
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