LA LAVAGNA DEL SABATO -
12 luglio 2003
NAZIM HIKMET
L’ALBERO DAGLI OCCHI BLU
SE
FOSSI PAROLA…
CENT’ANNI
FA NASCEVA NAZIM HIKEMT. TURCO E COMUNISTA, SARÀ RICONOSCIUTO
COME UNO DEI PIÙ GRANDI POETI DEL XX SECOLO. CON LA
SUA OPERA, CHE RIESCE AD ESPRIMERE L’UNIVERSALITÀ DELL’AMORE
E L’EVIDENZA DELLA BELLEZZA, NAZIM È UNO DI QUEI
RARI PERSONAGGI CHE HANNO CERCATO DI CONCILIARE IL PIÙ POSSIBILE
IL VERBO E L’AZIONE.
di
JOHN BERGER
VENERDI’
Nazim,
ho perduto un amico e desidero dividere questo lutto con te
che hai diviso con noi tante speranze e tanti lutti.
Il telegramma è arrivato di notte,
soltanto tre sillabe:
“
E’ morto (1).”
Ho perduto il mio amico Juan Munoz, quel meraviglioso artista
morto ieri, su una spiaggia spagnola, a quarantotto anni.
C’è un punto che mi preoccupa e sul quale vorrei
conoscere la tua opinione. Quando qualcuno muore di morte naturale,
a differenza di una morte provocata dalla persecuzione, dall’assassinio
e dalla fame, per prima cosa si prova un senso di shock, tranne
quando lo scomparso ha sofferto per una lunga malattia; poi si
prova un mostruoso sentimento di perdita, soprattutto quando
il morto è ancora giovane.
Spunta l’alba
Ma la mia camera
E’ solo una lunga notte (2).
- poi viene il dolore, che si dice senza fine. Eppure, con questo
dolore, sopraggiunge di soppiatto qualcos’altro, che assomiglia
a una facezia senza esserlo (Juan ne faceva di meravigliose),
qualcosa che provoca una sorta di allucinazione, un po’ come
il gesto che fa con il suo fazzoletto il mago per concludere
il suo gioco di prestigio, una sorta di leggerezza in contraddizione
totale con ciò che si prova. Capisci che cosa voglio dire?
E’ una leggerezza frivola, oppure il segno di un insegnamento
nuovo?
Cinque
minuti dopo averti rivolto questa domanda, ricevo da mio figlio
Yves un fax con alcuni versi che aveva appena composto in memoria
di Juan:
Comparivi sempre
con uno scoppio di risa
e un nuovo giro.
Scomparivi sempre
lasciando le tue mani
sulla nostra tavola.
Scomparivi
lasciando le tue carte
nelle nostre mani
Ricomparivi
con un nuovo scoppio di risa
e sarà un’ altra partita.
SABATO
Non
sono sicuro di aver mai incontrato Nazim Hikmet.
Giurerei di sì, ma non trovo nessun riscontro preciso.
Credo sia avvenuto nel Londra, nel 1954. Quattro anni dopo la
sua uscita di prigione, nove anni prima della morte. Parlava
a un comizio nel Red Lions Square a Londra. Dopo aver pronunciato
poche parole, si mise a leggere poesie, alcune in inglese, altre
in turco. Aveva una voce calma, possente, fortemente personale
e molto musicale. Ma non sembrava scaturire dalla sua gola – almeno
non in quel momento. Sembrava che avesse in petto una trasmittente
che poteva accendere o spegnere con una delle sue grandi mani,
leggermente tremolanti.
La mia descrizione lascia molto a desiderare, perché non
rende l’evidenza della sua presenza e della sua sincerità.
In una delle sue lunghe poesie presenta sei persone che in Turchia,
all’inizio degli anni ‘40 ascoltavano alla radio
una sinfonia di Shostakovich. Tre di quelle sei persone sono
(come lui) in carcere. La trasmissione è in diretta; in
quello stesso momento suonavano la sinfonia a Mosca, a migliaia
e migliaia di chilometri di distanza.
Ascoltandolo leggere le sue poesie nel Red Lion Square, ho avuto
anche l’impressione che le parole che pronunciava venissero
dall’altro capo del mondo. Non perché fossero di
difficile comprensione (non lo erano); non perché fossero
stanche o confuse (tutt’altro, erano piene d’energia
che consente di resistere),ma piuttosto perché erano declamate
come per trionfare sulla distanza e per trascendere infinite
separazioni. Il qui di tutte le sue poesie è altrove.
A
Praga passa una vettura
Una carretta attaccata a un solo cavallo,
davanti al vecchio cimitero ebraico.
La carretta è carica
Della nostalgia di un’altra città,
il carrettiere sono io (3).
Anche
quando aspettava, seduto sul palco, prima di alzarsi per prendere
la parola, si intuiva che era un uomo straordinariamente alto
e solido. Non per nulla il suo soprannome era “l’albero
dagli occhi blu”. Quando si alzava in piedi si aveva
anche l’impressione che fosse molto leggero, così leggero
da rischiare di volar via. Forse non l’ho mai visto,
perché sembrerebbe improbabile che, in un comizio organizzato
a Londra dal movimento internazionale per la pace, sia stato
legato al palco da corde come un dirigibile a cui si vuole
impedire di decollare. E tuttavia, di una cosa ho un ricordo
molto preciso: non appena le aveva pronunziate, le sue parole
si alzava al cielo – era un comizio all’aperto – il
suo corpo sembrava voler seguire le parole che aveva scritto
e che salivano sempre più in alto, al di sopra della
piazza, al di sopra delle scintille dei vecchi tram di Theobald
Street, eliminati tre i quattro anni prima.
Sei
un villaggio di montagna in Anatolia,
sei la mia città,
tu, la più bella e la più infelice.
Sei un grido d’aiuto, sei il mio paese;
i piedi che corrono da te sono i miei (4).
LUNEDI’ MATTINA
I
poeti contemporanei che hanno contato di più per me
nell’arco della mia lunga vita, li ho letti quasi tutti
in traduzione, raramente nella loro lingua originale. Credo
che nessuno avrebbe potuto dire qualcosa di simile prima dell’inizio
del XX secolo. Per secoli e secoli è stato un grande
fragore di lance, pro o contro la possibilità di tradurre
la poesia – si trattava di discussioni “da camera”,
così come si parla di musica da camera. Ma il Novecento
ha ridotto in cenere quasi tutte questa camere. I nuovi mezzi
di comunicazione, la politica globale, gli imperialismi, i
mercati mondiali hanno gettato insieme su una scala senza precedenti
e separato a casaccio milioni e milioni di persone. Come conseguenza,
le speranze della poesia sono mutate; sempre più la
poesia migliore conta su lettori sempre più lontani.
Le
nostre poesie
come pietre miliari
devono tracciare la via (5).
Durante
il XX secolo, sono stati numerosi i versi di semplici poeti
che si sono tesi tra continenti diversi, fra villaggi abbandonati
e capitali lontane. Lo sapete bene, tutti voi, Hikmet, Brecht,
Vallejio, Atilla Jòsef, Adonis, Juan Gelman…
LUNEDI’ POMERIGGIO
E’ stato
alla fine della mia adolescenza che ho letto per la prima volta
alcune poesie di Nazim Hikmet. Erano pubblicate in una oscura
rivista di letteratura internazionale a Londra, pubblicate
sotto gli auspici del Partito comunista britannico, di cui
ero assiduo lettore. La linea del partito in materia di poesia
era una gran cazzata, ma le poesie e le notizie pubblicate
erano spesso esaltanti.
All’epoca, il grande uomo di teatro Vsevolod Meyerhold
era già giustiziato a Mosca. Se penso a lui in questo
momento è perché Hikmet l’ammirava e Meyerhold
esercitò su di lui una grande influenza, la prima volta
che si recò a Mosca all’inizio degli anni ’20…
“Devo
molto al teatro di Meyerhold. Nel 1925, rientrando in Turchia,
ho organizzato il primo teatro operaio in una quartiere di
Istanbul: Lavorando in quel teatro come direttore e scrittore,
ho capito che era stato Meyerhold il primo ad aver aperto nuove
possibilità di lavorare con il pubblico e per il pubblico”.
Dopo il 1937, Meyerhold aveva pagato questa nuove possibilità con
la vita, ma a Londra i lettori della rivista non lo sapevano
ancora.
Quel che mi ha colpito nelle poesie di Nazim Hikmet la prima
volta che le ho scoperte, è il loro spazio; contengono
più spazio di tutta la poesia che avevo letto fino ad
allora. Non descrivono lo spazio, lo attraversano, valicano le
montagne. Parlano anche di azione. Parlano di dubbi, di solitudine,
di lutto, di tristezza, ma tutti questi sentimenti seguono l’azione
invece di sostituirsi ad essa. Spazio e azione procedono di pari
passo. La loro antitesi è la prigione ed è nelle
carceri turche che Hikmet, prigioniero politico, ha scritto metà delle
sue opere.
MERCOLEDI’
Nazim,voglio
descriverti il tavolo su cui sto scrivendo. Si tratta di un
tavolo da giardino bianco, di metallo, di quelli che si possono
trovare nei giardini di un yali sul Bosforo. Si trova nella
veranda coperta di una casetta alla periferia sud-est di Parigi.
La casa è stata costruita nel 1938, come tante altre
case costruite qui nella stessa epoca per gli artigiani, i
commercianti e gli operai qualificati. Nel 1938 tu eri in carcere.
Un orologio era appeso a un chiodo al di sopra del tuo letto.
Nella cella al di sopra della tua, tre banditi in catene aspettavano
la loro condanna a morte.
Su questo tavolo ci sono sempre troppe carte. Ogni mattina, per
prima cosa, sorseggiando il caffè, tento di rimetterle
in ordine. Alla mia destra, c’è una pianta in un
vaso: sono sicuro che ti piacerebbe. Ha delle foglie molto scure.
Di sotto ha il colore delle prugne: sopra, la luce ha lasciato
una macchia di un bruno cupo. Le foglie sono raggruppate a tre
a tre, come se fossero farfalle notturne – sono delle stesse
dimensioni – che succhiano il nettare dallo stesso fiore.
I fiori di questa pianta sono più minuti, tutti rosa,
innocenti come la voce dei bambini delle elementari che imparano
una canzone. E’ una specie di trifoglio gigante. Viene
dalla Polonia, dove la chiamano Koniczyna. Mi è stata
data dalla madre di un amico, che l’ha fatta crescere in
un giardino nei pressi della frontiera con l’Ucraina. Quella
donna ha due occhi di un azzurro straordinario e non può fare
a
meno di toccare le sue piante mentre attraversa il giardino o
si sposta attorno alla casa, così come certe nonne non
possono smettere di accarezzare la testina dei loro nipotini
in tenera età.
Mia
amata, mio bocciolo di rosa,
il mio viaggio nella pianura di Polonia
è iniziato.
Sono un bambino piccolo, pieno di gioia, pieno di stupore.
Un bambino piccolo
Che guarda il suo libro di figure
Scoprendo
Gli uomini, gli animali,
gli oggetti, le piante (6).
Quando
si racconta una storia, dipende tutto dalla concatenazione
degli elementi. L’ordine più vero raramente salta
agli occhi. Si scopre per approssimazioni successive, spesso
ripetute. Proprio per questo motivo sulla tavola ci sono anche
un paio di forbici e un rotolo si scotch. Non è una
di quelle rotelline che permettono di tagliarlo facilmente
nelle dimensioni desiderata. Lo taglio con le forbici. Il difficile è trovare
l’estremità del rotolo e srotolarlo. La cerco
con le unghie, pieno di irritazione, e non appena l’ho
trovata l’incollo sul bordo della tavola e lascio che
lo scotch si srotoli tutto fino al pavimento, dove lo lascio
penzolare.
A volte esco dalla veranda e entro nella stanza attigua, dove
chiacchiero, mangio e leggo un giornale. Qualche giorno fa ero
seduto in questa stanza quando qualcosa che si muoveva ha attirato
il mio sguardo. Una minuscola cascata di acqua scintillante cadeva
ondulando verso il pavimento della veranda, vicino al piede della
mia sedia vuota davanti al tavolo. I torrenti delle Alpi hanno
come origine un rivolo d’acqua come quello.
Un rotolo di scotch cha fa vibrare una corrente d’aria
dalla finestra aperta a volte ha forza sufficiente per spostare
montagne.
GIOVEDI
SERA
Dieci
anni fa mi trovavo a Istanbul, vicino alla stazione di HaydarPacha,
davanti a un edificio in cui la polizia interrogava le persone
sospette. All’ultimo piano di quel edificio erano detenuti
i prigionieri politici, sottoposti a controinterrogatori che
duravano settimane inter. Nel 1938 toccò a Hikmet.
L’edificio non era stato concepito come carcere, ma come
imponente fortezza amministrativa. Appare indistruttibile, costruito
com’è di mattoni e di silenzio. Le prigioni progettate
per essere tali hanno spesso un’aria nervosa. La prigione
di Bursa, per esempio, in cui Hikmet rimase dieci anni, era soprannominata “L’aeroplano
di pietra” per il suo disegno così irregolare. La
fortezza solida, che guardavo vicino alla stazione di Istanbul,
aveva invece tutta la fiducia in se stessa e la calma di un monumento
al silenzio.
Tutta la gente che è qui, all’interno ,tutto quello
che succede qui – questo che annuncia l’edificio
con aria tranquilla – sarà dimenticato, cancellato
dai registri, sepolto in un crepaccio fra l’Europa e l’Asia.
E’ stato allora che ho colto un qualcosa di unico e inevitabile
nella strategia poetica di Nazim Hikmet: deve continuamente superare
i limiti della sua ristrettezza! I prigionieri hanno sempre sognato
la Grande Fuga, non così la poesia di Nazim. Ancor prima
di cominciare, la sua poesia ha posto la prigione come un piccolo
punto sulla mappa del mondo.
Il mare più bello
non è stato ancora traversato.
Il bambino più bello
non è ancora cresciuto.
I nostri giorni più belli
non li abbiamo ancora vissuti.
E le parole più belle che volevo dirti
non le ho ancora dette(7).
Ci hanno fatto prigionieri,
ci hanno rinchiuso:
io fra quattro mura,
tu fuori.
Ma non fa nulla.
Il peggio è quando la gente – consapevole o ignara –
Porta la prigione dentro di sé…
Troppa gente è stata costretta a far ciò,
brava gente, onesta, laboriosa,
che meritava di essere amata come io amo te. (8)
La
sua poesia, come un compasso, disegnava dei cerchi, a volta
intimi, a volte ampi, immensi, con solo la punta affilata infissa
nella sua piccola cella.
VENERDI’ MATTINA
Stavo
aspettando Juan Munoz all’Hotel Ritz a Madrid, e Juan
era in ritardo perché, come ho detto, quando lavorava
di buona lena la notte era come un meccanico sotto a una macchina
e perdeva la cognizione del tempo. Dopo l’episodio del
Ritz, mi mandò un fax, che ora vi cito: Non so bene
perché lo faccio. Forse non è affar mio. Sono
soltanto un postino fra due uomini che non ci sono più.
“ Vorrei presentarmi – sono un meccanico spagnolo (solo di
auto, non di motociclette), che passa quasi tutto il suo tempo,
disteso sulla schiena sotto al motore per guardarlo! Ma – ed è questo
l’importante – mi può capitare di fare un
lavoretto artistico. Non che io sia un artista. No. Ma vorrei
smetterla con questa sciocchezza di infilarsi sotto macchine
unte di grasso, e diventare il Keith Richard del mondo dell’arte.
O, se ciò non è possibile, lavorare come i preti,
mezz’ora al giorno, col vino assicurato.
Ti scrivo perché due amici (uno a Oporto e l’altro
a Rotterdam) ci vogliono invitare tutti e due nel seminterrato
del Boyman’s Car Museum e in altre cantina (spero più alcoliche
) nella città vecchia di Oporto.
Hanno anche detto qualcosa sul paesaggio che non ho ben capito.
Il paesaggio! Forse, parlavano di fare un viaggio e di guardasrsi
attorno,o di guardari attorno mentre saremo in viaggio…
“ Mi scusi, ma è appena arrivato un cliente.perbacco! Una
Triumph Spitfire!”
Sento la sua risata, che riecheggia nello studio dove è solo
con le sue figure silenziose.
VENERDI’ SERA
A
volte ho l’impressione che molte delle più grandi
poesie del XX secolo – chiunque le abbia scritte, uomini
o donne – siano le opere più fraterne della storia.
Se così è, ciò non ha nulla a che vedere
con gli slogan politici. Vale per Rike che era apolitico, per
Borges che era un reazionario, e per Hikmet, che è stato
comunista tutta la vita. Il nostro è stato un secolo
di massacri senza precedenti, eppure il futuro che immaginava
(e per cui a volte ha combattuto) aspirava alla fratellanza.
Sono stati ben rari i secoli precedenti mossi da tali aspirazioni.
Questi uomini, Dino,
che hanno in mano brandelli di luce,
dove stanno andando
nelle tenebre, Dino?
Tu, e anch’io:
siamo con loro, Dino.
Anche noi, Dino,
abbiamo visto una squarcio di cielo azzurro (9).
SABATO
Forse,
Nazim, non ti vedo neanche adesso. Eppure, giurerei che sei
qui. Sei seduto di fronte a me dall’altra parte del tavolo,
sulla veranda. Hai mai notato come la forma di una testa spesso
suggerisca il tipo di pensieri che solitamente passano di là?
Vi sono teste che indicano implacabilmente la velocità del
calcolo, altre che rivelano la risolutezza nel seguire vecchie
idee. Coi tempi che corrono, molte tradiscono l’incomprensione
di fronte a una perdita continua. Guardando la tua testa – grande
com’è, con la ragnatela di rughe attorno agli
occhi azzurri – penso che racchiude molti mondi con cieli
diversi che coesistono uno dentro l’altro; calma, senza
alcuna intimidazione, ma abituata ad affrontare una gran folla.
Voglio chiederti cosa pensi dei tempi in cui viviamo. Gran
parte di quel che credevi che stesse avvenendo nella storia,
o che
dovesse avvenire, si è rivelato una mera illusione. Il
socialismo come lo immaginavi tu non lo costruiscono da nessuna
parte. Il capitalismo della multinazionali avanza imperterrito – nonostante
le contestazioni sempre più accese e la distruzione delle
Torri Gemelle. Il mondo sovrappopolato diventa più povero
ogni anno che passa. Dimmi, dov’è oggi il cielo
azzurro che avevi visto con Dino?
Certo, mi risponderai, quelle speranze sono ridotte in brandelli,
ma che cosa cambia in realtà? La giustizia continua ad
essere una preghiera condensata in una parola, come canta Ziggy
Marley nel tempo che è ora il vostro. Tutta la storia è un
intreccio di speranze, accese, rinnovate, spente. E con le nuove
speranze nascono teorie nuove. Ma per le vittime della sovrappopolazione,
per quelli che hanno poco o nulla, se non a volte il coraggio
e l’amore, la speranza agisce in modo diverso. La speranza è per
loro qualcosa da mordere, da mettere fra i denti. Non dimenticarlo.
Sii realista. Con la speranza fra i denti si ha la forza di tirare
avanti anche quando la fatica non dà tregua, si ha la
forza, se necessario, di trattenersi dal gridare al momento sbagliato,
la forza soprattutto di non urlare. Una persona con la speranza
fra i denti è un fratello o una sorella che incute rispetto.
Coloro che sono senza speranza nel mondo reale sono condannati
alla solitudine. Il massimo che possono offrire è la pietà.
E poco importa che questa speranza fra i denti sia intatta o
ridotta in brandelli, quando si tratta di sopravvivere alla notte
e di immaginare un nuovo giorno. Avresti del caffè?
- Lo vado a preparare.
Lascio
la veranda. Quando ritorno dalla cucina con due tazze in mano – di
caffè turco – sei andato via. Sul tavolo, vicino
al rotolo di scotch, c’è un libro aperto alla
pagina di una poesia che hai scritto nel 1962.
Se
fossi platano, mi riposerei alla sua ombra.
Se fossi libro,
leggerei, senza annoiarmi, nelle notti insonni
matita non vorrei esserlo, neppure fra le mie dita
se fossi porta
mi aprirei ai buoni e mi chiuderei ai malvagi
se fossi finestra, una finestra spalancata, senza cortine
farei entrare la città nella mia stanza
se fossi parola
invocherei il bello, il giusto, il vero
se fossi parola
direi il mio amore in un sospiro (10).
(1)
Nazim Hikmet, The Moscow Symphony, tradotto da Tener Baybars,
Rapp and Whitong Ltd Londra, 1970.
(2) Ibidem.
(3) Nazim Hikmet, “ Les heures de Prague », in Il
neige dans la nuuit et autres poèmes, scelte e tradotte
in francese da Munevver Andaç e Guzine Dino, Poésie/Gallimard,
Parigi, 1999, p.120.
(4) « You », tradotto da Mutlu Konuk Blasing. Prague
Dawn, Persea Books, New York, 1994.
(5) Traduzione inglese di John Berger.
(6) “Lettres de Pologne”, in Il neige dans la
nuit et autres poèmes, op.cit., p.108.
(7) Nazim Hikmet, « 24 septembre 1945 », ibidem,
p.58.
(8) «26 septembre 1945 », ibidem, p.67.
(9) « Sur una toile d’Abidine : «La Longue
Marche », ibidem, p. 165.
(10) Ibidem, p. 232.
IL
POETA DEL VENTO E DELLA LOTTA
Di
Charlotte Kan
“Sono
nato nel 1902
Non sono mai tornato sul luogo della mia nascita
Non amo voltarmi”
E
il “gigante dagli occhi blu” non è tornato
a Salonicco…
Ambiente
vellutato a Istanbul: Nazim, bambino, è cullato dalla
poesia di suo nonno Pacha, alto funzionario ottomano, e da
sua madre Djèlilè, artista appassionata di cultura
francese.
Disgustato dall’occupazione di Istanbul da parte delle
potenze alleate dopo la prima guerra mondiale, esaltato dalla
lotta per l’indipendenza dei contadini turchi ed entusiasmato
dalla Rivoluzione d’Ottobre, ha appena vent’anni
quando parte per Mosca, nel 1922.
Ritorna in Turchia nel 1924, dopo la guerra di indipendenza,
ma, vittima delle persecuzioni (perché ormai è considerato
un “rosso”), riparte per Mosca nel 1926 e continuerà poi
ad andare incessantemente avanti e indietro.
Mosca è allora in piena fibrillazione.Qui incontra Majakovski
e alcuni futuristi russi, la cui influenza stravolge la sua poesia,
e lavora con Meyerhold.
Comunista perché ama tutto con passione (la libertà,
il suo paese, il suo popolo e le sua donne), diventa il genio
in esilio dell’avanguardia turca.
Di ritorno in Turchia, è condannato nel 1938 a ventotto
anni di carcere perché, nel 1936, aveva pubblicato un
elogio della rivolta, L’epopea di Sheik Bedrettin, storia
della lotta di un contadino contro le forze dell’impero
ottomano.Viene liberato nel 1949 grazie all’azione di un
comitato di sostegno internazionale, costituito a Parigi dai
suoi amici Jean-Paul Sartre, Pablo Picasso e Paul Robeson.
E’ con quest’ultimo e con Pablo Neruda che condividerà nel
1950 il Premio mondiale della pace. In absentia, perché Hikmet,
indebolito da un lungo sciopero della fame oltre che da gravi
problemi cardiaci, non può recarsi a Varsavia, dove ha
luogo la cerimonia.
“
Un’assai triste libertà”
Hikmet è costantemente sorvegliato. Sfugge miracolosamente
a due tentativi di omicidio, ma non riesce a farsi esonerare
dal servizio militare, che gli si richiede di effettuare a cinquant’anni.
E’ l’epoca della guerra fredda, Hikmet milita contro
la proliferazione degli armamenti nucleari. Che può fare
se non fuggire, rifugiarsi in Unione sovietica, lasciando moglie
e bambini?
Diventato un membro molto attivo del consiglio mondiale per la
pace, il poeta canta l’Internazionale, ma non nasconde
il suo rifiuto dello stalinismo. Il “comunista romantico” esalta
la lotta, sinonimo di vita e di libertà che, secondo lui,
corrode l’autorità.
Diventato cittadino polacco dopo la perdita, irreparabile, della
nazionalità turca, viaggia ovunque, per sconvolgere la
sensazione di essere un esule. Ma solo in Europa, in Africa e
in Sudamerica, perché gli Stati uniti non gli concedono
il visto.
“
Nonostante il peso della mia pancia il mio cuore batte sempre
con le stelle lontane”
Nazim Hikmet muore a Mosca nel 1963. Il suo cuore ha smesso di
battere la misura della perdita, ma il vento soffia sempre tra
gli alberi dell’Anatolia, sui volti delle sue donne, che
ha amato tanto quanto il mondo.
(Tratto
dal quotidiano Le Monde Diplomatique)
Le "Lavagne del Sabato" finora uscite sono tutte consultabili a partire
da questa pagina di Annamaria Manna, guida nel portale di SuperEva per l'argomento "Scrittura
Creativa".
Basta cliccare sul Link:
http://guide.supereva.it/scrittura_creativa/interventi/2002/07/114216.shtml
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