DICAS  

L’INGLESE RIFIUTATO DAL POETA
AGLI ASPIRANTI SCRITTORI
FARE DI TUTTO PER RIFARE TUTTO
VIETNAM REVISITED
L’ELOQUIO E IL CUORE
SE QUESTO È UN UOMO
NEMICI LETTERARI
UNA ROSA È UNA ROSA È UNA ROSA
COLLABORAZIONISMO
LA POESIA DI TORGA
ARMATO DI QUALCHE COSA D’ALTRO
Z. MARCAS: BALZAC VERSUS LA MEDIOCRITÀ
EMULAZIONE E AMMIRAZIONE
STIGLITZ, SOROS E LULA
LETTERA AI GENITORI
JOHNNY GOT HIS GUN
UN’IMPOSSIBILE EPOPEA SULLA PACE
LENTA, VARIA E IRRIDUCIBILE
UNA FAVOLA DI AUGUSTO MONTERROSO


L’INGLESE RIFIUTATO DAL POETA

Potrà servire come contributo all’annosa discussione su un’improbabile egemonia della lingua inglese nel mondo l’esempio del grande poeta greco Costantino Kavafis. Secondo Tino Sangiglio, nella prefazione dell’edizione italiana delle sue poesie, Kavafis “avrebbe potuto essere un limpido esempio di perfetto bilinguismo. Nato ad Alessandria da genitori di Costantinopoli, nell’esclusivo quartiere di Fanar, culla delle tradizioni più autentiche della grecità, vive tuttavia gli anni formativi dell’ultima infanzia e dell’adolescenza in Inghilterra. Eppure per esprimersi poeticamente sceglie la lingua greca, e ne fa un uso particolare, originale, estremamente personale. Usa una lingua appresa nella prima infanzia e disdegna l’inglese che, tra l’altro, avrebbe potuto dischiudere una migliore e maggiore diffusione alla sua poesia. Perché Kavafis è interamente, esclusivamente greco.”



AGLI ASPIRANTI SCRITTORI

Di Wislawa Szymborska è uscito recentemente Posta letteraria, a cura di Pietro Marchesani. Negli anni Sessanta, su un settimanale di Cracovia apparve una rubrica intitolata per l’appunto “Posta letteraria”, riservata ai lettori che volessero inviare i propri manoscritti, in prosa o in versi, e averne un giudizio. Alla grande poetessa polacca, futuro Premio Nobel per la Letteratura, venne affidato il compito di rispondere agli aspiranti scrittori, un incarico svolto innanzitutto con la sua consueta ironia. Eccone due esempi: “L’essere privi di talento letterario non è affatto un disonore. E’ una carenza comune a molte persone sagge, colte, nobili e anche assai dotate in altri campi. Scrivendo che un testo non ha valore, non intendiamo perciò offendere nessuno né togliergli fiducia nella vita. E’ vero però che non sempre esprimiamo il nostro giudizio con cortesia cinese. Oh, i Cinesi, quelli sì che un tempo sapevano, prima della rivoluzione culturale, rispondere nel modo giusto al poeta non troppo dotato! I termini erano più o meno questi: ‘Le Sue poesie superano tutto ciò che è stato finora scritto e tutto ciò che verrà ancora scritto. Se fossero pubblicate, alla loro luce accecante impallidirebbe tutta la letteratura, e gli altri autori che ad essa si dedicano sentirebbero in modo doloroso la propria nullità…’”. Un’altro esempio dei commenti della Szymborska: “Certo, anche dopo i quarant’anni si può improvvisamente cominciare a scrivere. Non è affatto troppo tardi, basta sapere che sono altre le leggi che governano un inizio maturo. Del successo di un debutto giovanile decide soprattutto la freschezza della fantasia, uno sguardo sul mondo non di routine, in cui prevalgono più impressioni che riflessioni, osservazioni più causali che selezionate secondo una concezione della vita sedimentata nel tempo. Da un debutto tardivo ci aspettiamo invece altri valori: una buona dose di esperienza e- nel caso non si tratti di testi memorialistici – un gusto artistico consapevolmente formato. In una parola, a quarant’anni no si può scrivere come a diciassette, perché altrimenti il tempo e le possibilità psichiche non basterebbero più per arrivare a un buon risultato.”



FARE DI TUTTO PER RIFARE TUTTO

A Febbraio scorso è morto il grande regista portoghese João César Monteiro, il favorito di Carmelo Bene, autore tra altro dei pluripremiati “Ricordi della casa gialla” e “La commedia di Dio”. Poco prima, a Pesaro, aveva rilasciato a Pierpaolo Loffreda un’intervista dalla quale sono tratti questi brani: “ Il cinema non mi interessa. Posso però essere toccato, impressionato da alcuni film, ad esempio i film di Chris Marker, di Godard o gli ultimi film di Straub e di Robert Kramer. Non mi interessano affatto invece i film comici americani o quelli di Woody Allen, la psicanalisi alla portata dei ricchi. Non mi interessano né Freud né Lacan. Mi interessa invece l'origine del mondo.” E più avanti: “Il problema non è il cinema, ma riguarda l'organizzazione del mondo. Del cinema americano me ne fotto: non è quello il nemico, il nemico è il capitalismo. Bisogna fare di tutto per rifare tutto, per fare un mondo diverso, più interessante, e bisogna distruggere lo stato. Invece anche la sinistra è sempre stata equivoca: i comunisti sono nazionalisti, ad esempio, e il nazionalismo è il peggior nemico. Ora, visto che le vittime del sistema capitalista non esistono più, penso che il capitalismo si divorerà da solo. Noi possiamo aspettare che ciò accada.” E infine: Ho sempre avuto problemi con la censura, anche con me stesso naturalmente, come tutti. Mi censuro quando penso alla società ad esempio, perchè sono un animale culturale e a volte soffoco la bestia che è in me. Sono molto affascinato dal paganesimo, lo ammetto, e adoro i montoni, ma non voglio essere un capro espiatorio. In breve cerco di sfuggire la cultura cristiana.”



VIETNAM REVISITED

Lo scrittore Goffredo Parise ha intervistato nel 1967 il generale Westmoreland, comandante supremo delle forze statunitensi in Vietnam. Parise gli parla della Pax Romana, del dominio su tutti gli altri popoli della Terra. Il generale risponde che non vede alcuna analogia tra le truppe americane e gli antichi romani perché mentre i romani conquistavano militarmente le province, loro al contrario aiutano il popolo vietnamita a "scegliere il proprio futuro di libertà", anche se poi finisce con l'ammettere che "Certo non è facile creare una democrazia in Vietnam poiché qui una democrazia non c'è mai stata". Domanda infine Parise al militare: "Lei ha pronunciato una frase famosa: Bisogna distruggere il Nord per vincere al Sud. È veramente persuaso che questo sia giusto? Giusto non soltanto da un punto di vista militare, ma anche politico, per non dire umano?" La domanda è rimasta senza risposta.



L’ELOQUIO E IL CUORE

Dal libro-intervista di Elémire Zolla, Un destino itinerante. Conversazioni tra Oriente e Occidente (Marsilio 2002): "Nel '57 venni ad abitare a Roma, su invito di Nicola Chiaromonte, che desiderava la mia presenza a ‘Tempo Presente’. Egli volle che mi occupassi anche di letteratura italiana, oltre che dell'anglo-americana. Ne avevo una conoscenza abbastanza integrale e per qualche anno mi intestardii a seguirla minutamente. Me ne venne un certo disgusto, fui ben felice di staccarmene e da allora aspetto senza speranza che mi giunga un'improbabile rivelazione italiana. Certo ho letto qualche opera memorabile ma, vedi caso, di gente che frequentavo. Cernonetti fin dall'inizio ottenne la concentrazione più aspra e bizzarra, Citati (l'avevo conosciuto a Torino che faceva il liceo) andò perfezionandosi fino alla liberazione dei vizi della giovinezza, fondendo uno studio minuzioso con l'impulso al canto. La severità che minacciava di tarpare lo slancio di Calasso quale lo conobbi all'Università, si adattò alle necessità dell'esposizione, generando un secco stile, epigrafico e tuttavia progressivo, mentre Cristina Campo, l'unica che abbia saputo imitare nel timbro e nei ritmi certe composizioni di Chopin, spiccò sempre ogni frase con una sorveglianza feroce; quando la conobbi, nel 1958, già aveva scritto alcune liriche, ma fu durante la nostra convivenza che compose la massima parte delle poesie improntate all'ascolto del gregoriano oltre alle prose perfette del libro di saggi. I suoi maestri d'italiano furono anche gli italiani (va da sé, i classici), ma soprattutto - come ho già detto - Simone Weil e Hofmannsthal. Infine ho seguito la paziente emersione della scrittura cantabile di Grazia Marchianò, che ora si leva chiara e vibratile, affiorando dalla lunga permanenza in India, dallo studio della civiltà cinese e giapponese. Non so se queste costruzioni di uno stile a me contemporanee siano le uniche, ma in genere non osservo in Italia molte vite dedite a raffinare l'eloquio fino a farlo coincidere col cuore...".



SE QUESTO È UN UOMO

In risposta alle denunce di pratica di tortura contro i prigionieri della Base statunitense di Guantanamo, fonti investigative hanno assicurato al giornale “New York Times” di “non praticare la tortura per far parlare i detenuti, solo tecniche di interrogatorio ritenute accettabili come la privazione del sonno, la negazione del cibo e dell’acqua, l’accesso alla luce del sole e delle cure mediche”. È il caso del trattamento dispensato a Abu Zubaydah, uno dei capi di Al Qaeda: nonostante le ferite riportate durante la cattura in Pakistan, sono state negate medicine per alleviare il dolore. È stato interrogato notte e giorno, nudo, con le mani e i piedi legati. Secondo il “New York Times” per tre mesi è stato “nutrito molto poco, privato del sonno e della luce del sole, sottoposto a temperature variabili tra meno 10 e più 40 gradi centigradi”.



NEMICI LETTERARI

Willian Saroyan, dopo aver vinto un Premio Pulistzer per il suo teatro, aveva scherzato maliziosamente sulla qualità letteraria di un testo di Hemingway, Morte nel pomeriggio. Questo si è vendicato vaticinando il declino del prestigio di Saroyan, con queste parole feroci: “Ne abbiamo visti arrivare e scomparire tanti, e le garantisco, ce n’erano molti migliori di lei. La gente dimentica in fretta, Mr. Saroyan, e non si chiede neanche che fine abbiano fatto”. Anni più tardi, in un libro sui celebri personaggi conosciuti in passato, dopo storie pesanti su Marilyn Monroe, Bernard Shaw, Sibelius e Henry Miller, Saroyan riservò la stoccata più violenta per Hemingway, del quale disse di apprezzare principalmente il modo in cui era uscito di scena con il suicidio.



UNA ROSA È UNA ROSA È UNA ROSA

Una nuova edizione di parte delle opere di Gertrus Stein è uscita recentemente negli USA da Cooper Square Press, The Gertrud Stein reader. Il libro, edito da Richard Kostelanetz, presenta i testi più sperimentali dell’autrice, cercando di illustrare anche il contesto in cui sono stati scritti. Secondo Kostelanetz, “così come il cubismo ha portato una riorganizzazione dello spazio visivo, Gertrud Stein ha rivisitato l’inquadratura nella letteratura”. Le frasi della Stein sono oscure, oblique, ma da esse si sprigionano sensazioni e associazioni distinte. Si può sentire di cosa stanno parlando, ma non si possono spiegare. Nello scrivere saggi, il suo metodo, come sottolinea Kostelanetz, era quello di concentrarsi su un argomento e scrivere tutto ciò che gli venisse in mente, registrando immagini e suoni, in modo che l’atmosfera creata dalle parole periferiche faceva diventare ancora più confuso l’argomento.



COLLABORAZIONISMO

Tratto dal saggio "L'Arte del Romanzo", di Milan Kundera.: "Il nuovo senso della parola ‘collaborazionista’: essere volontariamente al servizio di un potere ignobile.



LA POESIA DI TORGA

Sono molti gli ammiratori dello scrittore portoghese Miguel Torga, del suo romanzo autobiografico A Criação do Mundo (La creazione del mondo) o dei suoi racconti, che non mostrano il minimo apprezzamento per le sue poesie. E la verità è che costa entrare in questa poesia, a tratti particolarmente invecchiata o solenne. Costa, ma vale la pena. Il suo linguaggio è allo stesso tempo sontuoso e tellurico. L’ immenso poeta che era in Torga (così evidente nella sua prosa) lo ritroviamo ugualmente nei versi "così eri tu, pura emozione versata, / voce del silenzio, solitudine bagnata", le dice all’alba. La definizione vale anche per la migliore poesia di questo uomo di un pezzo, volontariamente ai margini della società letteraria. Nella sua poesia troviamo qualcosa di a-temporale, quando a volte la vita impedisce di vedere i miracoli antichi, come la neve che cade o un coltivatore "che alza un grappolo d’uva / come una madre che fa la treccia a sua figlia".



ARMATO DI QUALCHE COSA D’ALTRO

Un commento dello scrittore Mario Rigoni Stern sulla guerra oggi, e sulla presenza degli alpini nell’Afghanistan in particolare, rispondendo a un’intervista: “A pensare a quella che era la guerra ai miei tempi, parlo di sessanta anni fa, è cambiata molto. È cambiata molto per potenza di mezzi, o meglio per volume di fuoco. Quello che prima era in possesso di un reggimento, oggi lo possiede un plotone, rapportando la capacità di distruzione. Però dietro un’arma c’è sempre un uomo. Quindi dipende anche dalle motivazioni dell’uomo. Io penso che un guerrigliero del Sud-America o dell’America centrale, anche se non ha armi eccezionali – è armato di qualche cosa d’altro. È convinto della lotta che fa. Invece io penso che l’americano ben pasciuto e ben nutrito non sia motivato, o sia motivato fino a un certo punto. Io ho scritto un articolo un paio di mesi fa, anzi ritorno ancora più indietro... quando dicevano di voler prendere Bin Laden: avevano preparato tutti gli elicotteri, gli aerei speciali, le truppe speciali, i mezzi, etc. Allora scrissi un articolo, pubblicato poi sulla prima pagina de La Stampa, in cui sostenevo che si dimenticava che esistono montagne impervie di oltre 5000 metri d’altezza e che passano anche i 6000 metri in alcuni casi, e superata la quota dei 6000 metri gli elicotteri fanno fatica a operare e cacciare uomini. E oltre i 6000 metri gli elicotteri attualmente non vanno, e nemmeno gli automezzi cingolati minimi, perché ghiacciai e rocce bloccano il loro tragitto. Perciò, ad un certo punto, vanno solo i muli e gli uomini: pertanto scrissi che se non avessero usato questi mezzi Bin Laden non sarebbe mai stato catturato. E difatti, si è dimostrato che Bin Laden non sono riusciti a prenderlo. Se uno infatti si inoltra sulle montagne impervie e cammina, e si sposta da un crinale all’altro o da una conca all’altra e trova un ghiacciao, un nevaio, oppure foreste, deve sapere che neanche i mezzi bellici e i radar, e neppure i mezzi speciali che riescono a vedere pure di notte, riescono a scovare i ricercati. Qui va la qualità dell’uomo. Quando hanno discusso di mandare gli alpini, che mi pare sono partiti questo mese, ad un giornalista che mi ha fatto un’intervista ho detto che inviare gli alpini è un grosso errore, perché gli americani non ce l’hanno fatta e chiedono quindi gli alpini per cavare le castagne dal fuoco, che loro non sono stati capaci di cavare. Però ho sostenuto più volte che questa non è una guerra contro il terrorismo, ma è una guerra per il petrolio. E quindi sono contrario che si rechino su quel fronte i nostri alpini.”



Z. MARCAS: BALZAC VERSUS LA MEDIOCRITÀ

Il narratore, studente di Legge, vive in un hotel de la Rue Corneille insieme a suo amico Juste. Quando il portafoglio è vuoto, i due compagni passano la serata a parlare dell’iniquità dei tempi e a fumare. Ma succede di finire il tabacco. Sarà l’occasione per un incontro, quello con il loro discreto vicino di porta. Z. Marcas, che è venuto a offrirgli qualcosa per riempire le loro pipe. Vicino discretto ma non per questo meno impressionante. Giurista e brillante giornalista politico, lui si trova, all’età di trentacinque anni, a fare lo scrivano a trenta sous al giorno. Troppo talento e troppo poca ricompensa, in un tempo popolato di “arrivisti mediocri, invidiosi e insaziabili”, pensano di lui. Un vero inno al talento e all’energia, Z. Marcas è stato preceduto nella sua prima versione da un’epigrafe: “La gioventù oppressa esploderà come la caldaia di una macchina a vapore”.



EMULAZIONE E AMMIRAZIONE

In una lettera a Walpole del 1° Giugno 1918 Joseph Conrad, pur negando di aver subito l’influenza formativa di Madame Bovary, dichiara di aver sempre ammirato la “resa delle cose concrete e delle impressioni visive” in cui era maestro Flaubert, e aggiunge: “Da quel punto di vista lo ritenni meraviglioso. Non credo di aver imparato nulla da lui. Quel che fece per me fu di aprirmi gli occhi e stimolare il mio senso di emulazione. Si può imparare qualcosa da Balzac, ma cosa si può imparare da Flaubert? Egli costringe ad ammirarlo, ed è il più grande servizio che un artista possa rendere ad un altro”.



STIGLITZ, SOROS E LULA

Da un libro che è uscito in questi giorni, da Baldini & Castoldi, Lula, il presidente dei poveri, di Paolo Manzo: "Nell'antica Roma, votavano solo i romani. Nel capitalismo globale moderno, votano solo gli americani. I brasiliani non votano." Questo è George Soros, poco prima delle elezioni del 2002. In modo rude e per nulla "di classe" (anche perché lo disse a un giornalista brasiliano, e l'intervista finì su uno dei quotidiani più letti in Brasile), il magnate aveva espresso un concetto, anzi il concetto: oggi, come ai tempi dell'impero romano, la democrazia è un privilegio riservato ai cittadini della potenza imperiale, cioè gli Stati Uniti. Il candidato della sinistra Lula non può essere eletto perché i mercati, vale a dire gli Stati Uniti, non lo vogliono. A rispondere a Soros ci pensò Joseph Stiglitz, premio Nobel per l'economia ed ex-numero due della Banca mondiale, e lo fece con queste parole: "Credo che per la politica economica del mondo, Bush sia molto più pericoloso di qualunque candidato brasiliano. E se devo scegliere tra Bush e Lula, scelgo Lula". Lo stesso hanno fatto i brasiliani: Stiglitz Soros 1 a 0.



LETTERA AI GENITORI

Una lettera dello scrittore brasiliano Caio Fernando Abreu ai suoi genitori, dopo essere andato a trovarli per qualche giorno nella sua città natale, in seguito ad una lunga assenza:
“ A Nair e Zaél Abreu
San Paolo, 12 agosto 1987.
Cara madre, caro padre,
non so più convivere con le persone. Ho paura di una casa piena di padri e madri e fratelli e sorelle e cognati e cognate. Ho vissuto così solo per tanti anni, quasi 40. devo essermi abituato.
Dormire tutto il giorno è stato il modo più delicato che ho trovato per non turbare il vostro equilibrio – che è molto delicato. E anche quello di non turbare il mio stesso equilibrio- che è ancora più delicato.
Mi sto trasformando poco a poco in un essere umano un po’ assuefatto alla solitudine. E che sa solo scrivere. Non so più parlare, abbracciare, baciare, dire cose apparentemente semplici come “ti voglio bene”. Voglio bene a me. Credo che sia il destino degli scrittori. E stavo pensando che, più di qualunque altra cosa, sono uno scrittore, una persona che scrive sulla vita- come chi guarda da una finestra – ma non riesce a viverla.
Vi amo come chi scrive ad un personaggio fittizio: senza riuscire a dire né a mostrare questo. Ciò che rimane è l’asprezza del gesto, la parola secca. Ma dietro questo c’è tanto amore. Un amore pazzo- tutte le persone sono pazze, compresi noi; amore intimidito- noi, del confine con l’Argentina siamo particolarmente intimiditi. Ma è vero amore. Perdonatemi il silenzio, il sonno, l’asprezza, la solitudine. Si sta facendo tardi ed io ho paura di aver dimenticato come si fa. È molto difficile diventare adulto. Vi amo, vostro figlio
Caio.”


JOHNNY GOT HIS GUN

Dalton Trumbo, scrittore antifascista e sopratutto antimilitarista, americano, scrive nel 1938 il libro “E Johnny pre il fucile” (Johnny Got His Gun), uno straziante romanzo contro la follia della guerra ispirato ad un fatto realmente accaduto. Il libro uscì nel ’39, quando ormai gli americani stavano per intervenire nel secondo conflitto mondiale, ma dopo l’episodio di Pearl Harbour fù ritirato dalle librerie ed occultato ai più. Dal 1945 ricomparve nelle librerie ed andò a ruba ogni volta che gli Stati Uniti entravano in guerra con qualcuno. Corea, Vietnam, ogni volta rientrava in circolazione come un manifesto\monito sulla carneficina folle a cui lo “Zio Sam” andava avvicinandosi per esserne investito e destabilizzato. Lo scrittore Dalton Trumbo ne fece il progetto della sua vita, tanto che dopo essere stato messo in prigione durante il “maccartismo” (Trumbo era iscritto al partito comunista americano) insieme ad altri nove sceneggiatori e registi di Hollywood, dopo aver continuato a fare lo sceneggiatore segretamente ad Hollywood sotto pseudonimo o senza essere accreditato nei titoli, dopo aver ricevuto 17 porte in faccia da produttori e registi, nel 1971 esce il film “E Johnny prese il fucile” da lui stesso sceneggiato e diretto, all'età di 66 anni. Già nel 1941, Trumbo ne aveva realizzato un adattamento per la radio, con la voce narrante di James Cagney. La storia è la seguente: il giovane diciannovenne John Bonham parte per la prima guerra mondiale. Nel Colorado lascia la famiglia e la fidanzata Karen. Viene mandato sul fronte francese, ma l’esplosione di una bomba lo ferisce gravemente, privandolo degli arti, della vista, dell’udito e della voce. Ma John è vivo. Ricoverato in ospedale e tenuto in vita tramite un macchinario, John comincia progressivamente a rendersi conto dello stato in cui è ridotto. I medici pensano che sia un vegetale, un moncone ormai lobotomizzato, ma John dimostra di voler comunicare col mondo, ormai buio e silenzioso, che lo circonda. Tramite l’alfabeto Morse ed il movimento del suo capo, egli cerca di esprimere le proprie sensazioni e la propria volontà. Nel buio intorno a lui vengono a galla ricordi e situazioni vissute prima di partire per la guerra, visioni, sogni e incubi. Quando parla al mondo esterno, John esprime la volontà di morire, oppure quella di essere esposto pubblicamente a tutti. I medici ed i militari, che ormai riescono a comprendere le sue richieste, si rifiutano di esaudirle. Nel frattempo, un’infermiera gli si avvicina spinta dalla compassione per quel povero “mezzo uomo” che supplica continuamente di morire. Un giorno la ragazza tenta di arrestare il flusso di ossigeno che tiene in vita John, ma la pietosa azione viene bloccata dai medici che, allontanata l’infermiera, continueranno a farlo sopravvivere ridotto in quello stato. A John non resta che continuare, nel buio e nel silenzio, a muovere il capo lanciando un S.O.S. disperato ed ignorato dal mondo: aiuto...voglio morire. Quando nel 1971 il film fù presentato a Cannes, inizialmente venne scartato dalla programmazione, poi a seguito di clamorose proteste fù proiettato ed ottenne un grande successo in tutto il mondo.


UN’IMPOSSIBILE EPOPEA SULLA PACE

Una battuta del personaggio del vecchio scrittore, rivolta all’angelo Cassiel, nel film Il cielo sopra Berlino, di Win Wenders, realizzato nel 1987: “ I miei eroi non sono più i guerrieri o i re, bensì le cose legate alla pace, che sono buone come qualsiasi altra. Le cipolle a seccare al sole sono buone tanto quanto il tronco d’albero che fa da ponte su una palude. Ma fino ad oggi nessuno è riuscito veramente a cantare un’epopea sulla pace. Ciò che succede con la pace è che la sua ispirazione non dura e non si lascia neppure narrare ”.


LENTA, VARIA E IRRIDUCIBILE

In una recente intervista il critico letterario Alfonso Berardinelli parla del valore della letteratura oggi: “Se la letteratura è l’universo pluralistico, sembrerebbe che il mondo oggi abbia molto bisogno di letteratura. Questo però potrebbe anche voler dire che la comunicazione globalizzata tende a respingere la letteratura: che è lenta, varia, irriducibile a unità concettuali, legata a luoghi e tempi specifici. La realtà, quello che si vede, è che gli scrittori, almeno molti di loro, sono spinti a semplificare pur di essere accettati rapidamente e venduti. Gli editori oggi sono terrorizzati dall’idea che un libro possa richiedere tempo e attenzione prima di essere capito”.


UNA FAVOLA DI AUGUSTO MONTERROSO

Un celebre Psicanalista si è trovato un certo giorno nel bel mezzo della giungla, semiperduto.
Con la forza dell’istinto e il desiderio dell’inchiesta, è riuscito facilmente a salire su un albero altissimo da dove ha potuto osservare liberamente non solo il lento tramonto ma anche i costumi di alcuni animali, che ha comparato con quelli degli umani.
All’imbrunire ha visto presentarsi da un lato il Coniglio e dall’altro il Leone.
In principio, non è successo niente, almeno niente degno di menzione, ma subito dopo gli animali hanno avvertito la presenza uno dell’altro e quando si sono visti hanno reagito come fanno da quando l’uomo è l’uomo.
Il Leone ha fatto tremare la foresta con il suo ruggito, ha scosso maestosamente la giubba come era suo costume e ha ferito l’aria con le sue enormi zanne; dalla sua parte, il Coniglio ha preso fiato, ha guardato il leone negli occhi, si è girato e si è allontanato di corsa.
Tornando in città, il celebre Psicanalista ha pubblicato cum laude il suo famoso trattato nel quale dimostra che il Leone è l’animale più infantile e vigliacco della giungla, e il Coniglio, il più coraggioso e il più maturo: il Leone fa gesti e minaccia l’universo per paura; il Coniglio lo capisce, conosce la propria forza, e si ritira prima di perdere la pazienza e fare fuori quell’essere stravagante e impazzito, che riesce a comprendere, e che alla fine non gli ha fatto alcun male.


       Copertina.