È negli anni `90 che l'idea di Europa delle Regioni acquista centralità nella strategia della nuova destra, il federalismo etnico diventa un punto di riferimento dottrinale. Il nucleo ideologico è rappresentato dall'idea di Volksgemeinschaft, la comunità etnica quale rimedio alla crisi di identità, allo spaesamento e allo sradicamento prodotti dalla globalizzazione. Per Alain de Benoist, il fondatore della nuova destra francese, "l'Europa può realizzarsi esclusivamente sulla base di un modello federale, ma un modello federale portatore di un'idea, di un progetto, di un principio, di un modello imperiale. Un modello di questo genere - prosegue de Benoist - permetterebbe di risolvere il problema delle culture regionali, delle etnie minoritarie e delle autonomie locali, problema che non può trovare una vera soluzione nel quadro dello Stato nazionale" 1. L'idea è di far rivivere il mito imperiale, l'impero come "vera patria" riprendendo il pensiero di Evola, basato sul rispetto delle identità e delle tradizioni delle comunità "e questa è anche la teoria di base del federalismo organico" o etnico, ammette Luc Pauwels, esponente della nuova destra fiamminga e direttore della rivista TeKos, "il federalismo basato sull'autogestione, che si è sviluppato dal basso e nel quale i fattori culturali ed etnici hanno la priorità sui fattori tecnico-amministrativi"2 La strategia politica della nuova destra si pone l'obiettivo di una "rivoluzione etnica" in grado di favorire, in opposizione alla società moderna, o postmoderna, la nascita di una società "transmoderna". Il Kulturkampf è in-dirizzato alla valorizzazione delle identità culturali dei popoli europei, minacciate dal totalitarismo della società moderna, che in un'epoca di globalizzazione conduce al livellarnento egualitario, alla distruzione delle diversità. Il selettore politico che individua la nuova destra per ricostruire il paesaggio politico del continente, realizzando l'"Europa dei popoli", è quello del non-inquinamento etnico dei luoghi. Il luogo, ormai separato dallo spazio come effetto della avversata modernità, diventa un elemento fondamentale di "contro-informazione" in grado di ostacolare il processo di globalizzazione. L'Heimat è il luogo dove si coniugano la risorsa politica del territorio e quella dell'etnia. L'Heimat, luogo delle origini, dove l'individuo si sente protetto perché parte di una stessa comunità, caratterizzata per la nuova destra da vincoli innanzitutto culturali, linguistici e "solo secondariamente sulla comunità di sangue"3. Due studiosi dei movimenti etnonazionali evidenziano il potenziale politico del fattore etnico-territoriale: "Se all'etnicità si aggiunge il territorio sono le dimensioni più profonde dell'esperienza umana ad essere mobilitate [...]. Il luogo delle origini non ha solo dalla sua parte la forza della tradizione, ma conta su un legame ancora più profondo, in cui si condensano biologia e storia. Per questo la combinazione di etnicità e territorio ha una potenza esplosiva nel mobilitare le energie più recondite ed indelebili, quelle che in un popolo e nei suoi individui appartengono al non negoziabile. L'idea della nuova destra, comune alla Lega Nord, è di sfruttare il malessere e lo spaesamento provocati dalla globalizzazione: se si fa leva sull'idea di Heimat, di "piccola patria" come luogo deputato alla conservazione dell'identità etnica, si riesce a costruire dal basso un sentimento nazionale, senza dover ricorrere alla vecchia e spuntata retorica nazionalista. Nella tesi congressuale della Lega Nord sulla politica estera "il riemergere di regioni storiche o gruppi linguistici che avevano fatto parte, in alcuni casi anche per secoli, di un solo Stato sedicente "nazionale" e che l'autoritarismo centralista era riuscito a comprimere solo superficialmente, e le contemporanee istanze indipendentiste della Padania" confermano come "il localismo" non è un dato di "arretratezza", ma un'evoluzione inarrestabile"5. Il sociologo Ilvo Diamanti osserva come "nella versione che ne dà la Lega, il localismo diventa uno specifico modo di guardare la realtà, di valutare e reinterpretare i fatti. Quelli interni alla realtà di appartenenza. E quelli esterni. Diventa un'ideologia. [...] La rivendicazione si trasforma in opposizione, e le specificità territoriali vengono tradotte in elementi di "diversità" irriducibile"6. L'enfatizzazione delle "coppie oppositive (Nord-Sud, centro-periferia, società-Stato, vecchio-nuovo sistema, ecc.)" finisce per riassumersi nell'antitesi "amico-nemico", cara proprio alla nuova destra. Il meccanismo di esclusione che si determina viene spiegato da Gianfranco Miglio: le differenze tra il Nord, il Centro e il Sud, alla base della proposta di tre macroregioni all'interno di un'Italia confederale, si giustificherebbero in un diverso modo di comportarsi, ragionare, vivere, e anche se vi sono - annota Miglio - perfino biologi che sostengono la permanenza di elementi genetici, come quelli etruschi e celti, alla base delle differenti identità, "quello che conta è individuare delle aree in cui gli abitanti sentano coloro che stanno al di fuori come estranei: la conflittualità amicus- hostis"7. La Padania costituirebbe, attraverso le sue città, un unicum, ricompreso all'interno della unitaria cultura alpina, che "collega la Padania alla Baviera e alle regioni elvetiche"8. Luigi Manconi definisce il localismo "in primo luogo, critica dell'universalismo come sovranità del principio di uguaglianza formale tra i cittadini"9. Riemerge l'idea mitteleuropea di popolo, inteso come "oggettiva unità etnica", come volkliche Gemeinschaft, con i diritti dei popoli che costituiscono un principio sovraordinato ai diritti dell'uomo. Questi ultimi, nella ricostruzione ideologica proposta dalla nuova destra, non sarebbero altro che strumenti di legittimazione e mascheramento della natura repressiva del sistema occidentale. Guillaume Faye, esponente di punta della nuova destra francese fino al 1987 quando abbandonò il Grece, definisce i diritti dell'uomo un "ideale antistorico", l'idea-guida di un progetto che si prefigge di "distruggere le sovranità, esportare un sistema giuridico omogeneo, universalizzare l'economia e l'individualismo. In breve, convalidare un imperialismo economico e giuridico"10, provocando "la sparizione progressiva delle specificità etnoculturali"". La Volksdemokratie, nella visione che ne offre la nuova destra, non si deve fondare sugli apparentemente intangibili diritti dell'individuo, ma "sull'appartenenza ad un popolo". La libertà ha origine dall'appartenenza al popolo; la libertà del popolo indirizza le altre libertà"12. I popoli minacciati solo radicalizzando i loro progetti indipendentisti, facendo leva sull'etnonazionalismo, possono contrastare l'odierno ordine mondiale basato sugli ideali universalisti e ugualitari, su quei diritti dell'uomo che cancellerebbero le abitudini culturali e il senso di appartenenza alla comunità.
L'allineamento della Lega Nord alla nuova destra
La trasformazione della Lega Nord in movimento indipendentista, con la priorità assegnata alla questione nazionale e il ritorno alle concezioni etnocentriche delle origini, colloca il movimento di raccolta dei "popoli padani" su un terreno ideologico scivoloso. L'autorappresentazione della Lega Nord come movimento di liberazione nazionale evidenzia numerosi punti di contatto con la nuova destra. La Lega Nord riprende dal pensiero della nuova destra innanzitutto l'idea-guida che la nazione costituisca la principale risposta alle sfide del futuro. La nazione, declinata in chiave regionale, viene contrapposta allo Stato nazionale etnicamente eterogeneo, l'omogeneità è indicata come la più efficace forma di tutela dell'identità nazionale. Bossi riconosce che "è nella nazione, cioè all'interno di un popolo etnicamente omogeneo, che si può operare il bene con maggior slancio affettivo"13. L'immaginata nazione padana, nella definizione che ne dà il segretario della Lega Nord, si fonda oltre che sul criterio etnonazionale, su quello economico. In una intervista al settimanale tedesco Welt am Sonntag Bossi sostiene che "la Padania è sempre stata una nazione", aderendo pienamente alla concezione etnofederalista della eternità delle nazioni oggettive, ma poi aggiunge, "una nazione formata da cittadini di diverse origini etniche, ma con gli stessi interessi economici e lo stesso sistema produttivo" Accanto a quella di nazione, la Lega Nord colloca l'idea di popolo, interpretato come soggetto omogeneo, a cui restituire la piena titolarità della sovranità, temporaneamente espropriata dai partiti tradizionali. Nella fase nazional-rivoluzionaria il popolo non riconosce al suo interno differenze di classe; nella visione politica della Lega Nord la dialettica politica basata sulle differenze sociali tornerà ad articolarsi solo dopo la nascita dello Stato federale padano, la contrapposizione ideologica tra destra e sinistra, in linea con la nuova destra, è considerata ormai superata. Il conflitto politico assume una dimensione etnoterritoriale il Nord contrapposto al Meridione, la Padania all'Italia. "La separazione, che noi ci auguriamo consensuale, fra la Padania e il Mezzogiorno - sostiene Bossi - non è solo l'adeguamento dello Stato ai confini etnici, storici, culturali di popoli molto diversi tra loro. E anche una necessità economica impellente, resa ancora più urgente dall'ingresso dell'Italia in Europa." Già a metà degli anni `80 de Benoist non considerava la contraddizione principale quella tra destra e sinistra, liberalismo e socialismo, fascismo e comunismo, ma "tra chi pretende che il mondo sia unidimensionale e chi sostiene un mondo plurale basato sulla diversità delle culture, tra chi difende la causa dei popoli e chi difende i diritti e i doveri dei cittadini che li costituiscono"16. L'ideologo della nuova destra esalta il populismo, intendendolo come reazione emancipatrice contro una classe politica dirigente in crisi di rappresentanza, populismo che "non è nazionalista, anzi, rappresentando una reazione contro lo statalismo centralizzatore e l'onnipotenza degli esperti, implica piuttosto il pluralismo culturale, il localismo e il federalismo. Combinandosi con il comunitarismo, prende atto, senza dispiacersene, della crisi dello Stato nazionale controllore e centralizzatore e fa appello alla formazione di comunità locali dotate di una forte autonomia politica e culturale" 17. La Lega Nord assegna particolare rilevanza ai diritti della comunità locale: nella bozza di Costituzione transitoria della Repubblica federale padana, presentata il 15 settembre 1996 a Venezia, all'articolo 8 si prevede che "l'attività giudiziaria e ogni altro pubblico ufficio possono essere svolti solo dai cittadini della Padania" e padano è "chiunque abbia la cittadinanza europea e la residenza in Padania da almeno cinque anni alla data odierna"18.
Il nemico americano
Completamente mutuata dal pensiero della nuova destra è l'impostazione antiamericana in politica estera, con la critica della globalizzazione che produce la macdonaldizzazione. Nelle tesi presentate al congresso straordinario del 1998 la Lega Nord propone una visione "multipolare", con il mondo articolato in gruppi di popoli omogenei per civiltà, mentre si condanna "una dimensione monopolare legata alla presenza di un'unica iperpotenza che permea i modelli di vita e l'informazione su scala planetaria 21. Nel mondo, contemporaneamente ad una diffusa accettazione supina della cosiddetta macdonaldizzazione, ha luogo una riscoperta delle tradizioni che si accompagna spesso ad un rifiuto anche violento non solo di quello che viene percepito come uno strapotere nordamericano, ma di tutto ciò che può apparire connesso alla civiltà occidentale e alle sue radici"19. La globalizzazione, o mondializzazione, assume i contorni di una "terribile ideologia", che Bossi equipara al fascismo e al nazismo, perché non riconoscendo le diversità tra i popoli, opera la pulizia etnica, rimuovendo ogni radicamento tra l'uomo, inteso come un piccolo microbo, e l'universo, l'assoluto. La globalizzazione rappresenta il "modello americano" della società multirazziale e multietnica, a cui la Lega Nord contrappone il "modello europeo", definito delle "piccole patrie", della convivenza di popoli diversi, ciascuno con la sua storia, la sua identità, la sua individualità. La nuova destra sostiene la necessità di un "nuovo ordine mondiale", di un "mondo multipolare" nella definizione di de Benoist, che si realizzi all'insegna dell'"organizzazione diversificata dei popoli viventi". L'interrogativo politico ritenuto decisivo sul limitare del nuovo millennio è il seguente: "La terra sarà ridotta all'omogeneità sotto l'effetto delle mode acculturanti e spersonalizzanti di cui l'imperialismo americano è oggi il vettore più cinico e arrogante, oppure i popoli troveranno le proprie credenze, le proprie tradizioni, nei propri modi di concepire il mondo gli strumenti della necessaria resistenza?" Lo scenario della globalizzazione come fenomeno omogeneizzante, vera e propria architrave della politica micronazionalista basata sulla paura, si fonda su una semplificazione della realtà: sull'idea di un processo mondiale unidirezionale. La globalizzazione, osserva il sociologo Anthony Giddens, andrebbe invece vista come "un insieme complesso di cambiamenti, i cui esiti sono compositi e molto spesso contraddittori", anche perché "il cambiamento non segue un unica direzione, verso l'omogeneità. La globalizzazione induce ad insistere anche sulla diversità, a cercare di riscoprire le tradizioni locali perdute, a rafforzare l'identità culturale del luogo"21. Per opporsi alla globalizzazione la nuova destra e i movimenti micronazionalisti si rivolgono al passato, dando per scontata la fine dello Stato nazionale guardano alla rinascita della comunità, di una società intesa come comunità organica, in cui i diritti traggano origine dalla comunione di sangue e suolo. La comunità, però, ha dei limiti intrinseci, perché, osserva Giddens, "le comunità tradizionali possono essere oppressive, e in generale lo sono state. Assicurano una solidarietà meccanica, che schiaccia l'autonomia degli individui e spinge irresistibilmente al conformismo"22. Alain de Benoist suscita particolare attenzione negli ambienti della Lega Nord, tanto da essere invitato come principale relatore a Gorizia, l'11 dicembre 1993, nell'ambito del convegno internazionale dal titolo "Dopo Maastricht quale Europa?", organizzato da due amministratori locali della Lega, il presidente della Provincia di Gorizia, Monica Marcolini, e l'assessore alla cultura e alle politiche di confine, Raoul Lovisoni. Quest'ultimo nel suo intervento riprende alcune delle idee della nuova destra, sostenendo la ricerca di "un pensiero forte transmoderno da opporre al pensiero debole postmoderno", tenendo presente che "tutta la cultura europea subisce il fascino del "mitopoietico" dove il fatale, il sacro, il fantastico, l'identitario, prendono il sopravvento sulle normali coordinate illuministico-razionaliste"23. Le opere di de Benoist, insieme a quelle di Guillaume Faye, oltre a costituire la base ideologica per documenti ufficiali della Lega Nord, figurano tra i pochi e selezionati libri venduti durante le manifestazioni del Carroccio. Durante l'intervento militare della Nato contro la Jugoslavia, nella primavera del 1999, la Lega Nord assume una posizione filoserba e antiamericana, sul quotidiano del partito, La Padania, vengono ospitati in prima pagina editoriali di Alain de Benoist. "Kosovo e Kurdistan, due pesi e due misure", è il titolo del fondo in cui l'ideologo della nuova destra attacca gli Stati Uniti, accusati di giustificare il separatismo albanese nel Kosovo, ma "non in Kurdistan, in Palestina o in Irlanda del Nord, per non citare il Paese Basco, il Nord Italia o la Corsica"24. L'ideologo della nuova destra si spinge a consigliare altri obiettivi militari agli Stati Uniti, il primo dei quali dovrebbe essere Israele: "Bill Clinton, che non ha mancato di parlare di "imperativo morale", sarebbe evidentemente più credibile se bombardasse anche Tel Aviv, per protestare contro la sorte dei palestinesi, o dichiarasse guerra alla Turchia per mettere fine al martirio del popolo curdo"25. L'azione militare della Nato non avrebbe una legittimazione, in quanto alla sua base vi sarebbe - annota de Benoist - "la buona causa dei diritti dell'uomo", ma "questo diritto è in realtà eminentemente politico", quindi giuridicamente inesistente, in quanto "consacra il potere dei più forti - gli unici capaci di ingerirsi negli affari degli altri - di decretare selettivamente dove siano i buoni e i cattivi, ovvero chi ha il diritto di vivere e chi deve scomparire nella comunità delle nazioni"26.
Il ritorno alla "rivoluzione conservatrice"
In linea con la nuova destra risulta anche l'inserimento del progetto di indipendenza nazionale all'interno di una visione geopolitica vasta, neoimperiale, che si esprime nella prospettiva dell'Europa dei popoli e delle Regioni. La parallela riscoperta delle comunità organiche e naturali, che affondano le loro radici nel profondo passato, spiega l'importanza, teorizzata dalla nuova destra, e ripresa nella prassi politica dalla Lega Nord, dell'uso di simboli e miti. "Non ci rivolgiamo dunque solamente all'intelletto - annota de Benoist - ma anche al cuore e all'anima. Per questo ci riferiamo a immagini piuttosto che a concetti per far risalire in superficie una sensibilità rimossa nell'inconscio dei nostri popoli da duemila anni di egualitarismo. In ciò risiede la nostra ambizione." La nuova destra, attraverso il ricorso ai miti delle origini e alla diffusione del neopaganesimo, cerca di dare forma alla riconquista delle radici, al ritorno a un'epoca d'oro non macchiata dall'egualitarismo, che ha trovato nel cristianesimo, nel liberalismo e nel marxismo i suoi strumenti di diffusione. L'organizzazione di manifestazioni sportivo-propagandiste, come i giochi celtici, dovrebbe aiutare la Padania a recuperare "con tutti gli onori uno dei pezzi forti del suo grande passato"27. Se de Benoist guarda ai celti e alla loro cultura come espressione di quell'eroismo che ancora oggi rappresenterebbe un valore, sui Quaderni padani la religione cattolica finisce per essere considerata "in larga parte il risultato della cristianizzazione di antiche credenze celtiche (dalla Trinità al culto della Vergine, dal rapporto col mondo dell'aldilà alle più familiari iconografie dei Santi)"28. Inoltre "profondamente celtico è il rapporto sacrale con la natura, il rispetto per tutto ciò che c'è di magico negli alberi, nelle fonti, negli animali e nelle montagne, ma anche nel mondo invisibile del "piccolo popolo", di tutti gli esseri fatati che riempiono fiabe, credenze, immaginario collettivo e quotidianità"29. Intorno alle idee-guida di nazione, popolo, comunità, ruota un sistema dell'appartenenza fondato principalmente sull'esclusione etnocenrrica, con l'antitesi amico-nemico che giustifica la richiesta di nuovi confini, interni ed esterni, senza i quali sarebbe impossibile dare sostanza all'immaginata nazione padana. I popoli, sostengono sia la nuova destra metapolitica che gli etnofederalisti, hanno bisogno di confini, la questione è che alcuni sono migliori, altri peggiori. Per de Benoist "i migliori confini sono quelli determinati dalla comune cultura, storia e dalla comune volontà di vivere insieme. Saranno questi confini che alla fine si affermeranno, rispetto ai confini imposti, che dividono ingiustamente i popoli"30. Inoltre, osserva il direttore della Fondazione Micheletti di Brescia, Pier Paolo Poggio, se al primato assegnato dalla Lega al popoìo contrapposto allo Stato, si aggiunge la delimitazione etnica del concetto di popolo, si può constatare una coincidenza letterale con i principi della "rivoluzione conservatrice", il movimento intellettuale tedesco degli anni `20 e `30, in parte confluito nel nazionalsocialismo, e dalle cui idee trae origine l'odierna nuova destra e a cui apparteneva la corrente volkisch a cui oggi si rifà il pensiero etnofederalista. L'enfatizzazione della comunità contrapposta all'individuo, dei diritti di gruppo ai diritti dell'individuo, la centralità assegnata all'idea volkisch di nazione, modernizzata in chiave economico-protezionistica, sono tutti elementi che rimandano a una concezione politica antiuniversalista e anti-illuminista, anch'essa tipica della nuova destra. Bossi difende "la convinzione interiore, filosofica, che non dobbiamo rassegnarci all'universalismo astratto della filosofia postmoderna, che dopo il crollo delle grandi ideologie idealiste e marxiste ci vuole spingere all'indifferentismo dell'essere umano illuminista, perso in un'umanità generica, astratta" Anche il richiamo al pensiero di Gramsci e all'importanza della conquista dell'egemonia culturale, alla base dell'approccio metaculturale della nuova destra, viene ripreso dal segretario della Lega Nord che accusa la sinistra di aver "tradito" le idee del fondatore de L'Ordine nuovo.
Il mito dell'omogeneità e il diritto alle differenze
Oltre alla centralità della questione nazionale i due punti chiave che evidenziano l'allineamento della Lega Nord al pensiero della nuova destra sono il neorazzismo differenzialista e l'adesione al federalismo etnico. Nella fase di incubazione dell'immaginata nazione padana, la Lega Nord utilizza la tecnica del differenzialismo, rivendicando il "diritto alle differenze" come principio basilare per l'affermazione di un pluralismo etnico. L'etnopluralismo, concetto introdotto da Henning Eichberg, si fonda sull'idea di valorizzare le singole identità nazionali ed etniche: ogni popolo ha il diritto alla propria "identità nazionale", con il diritto alle differenze quale antidoto contro l'Umvolkung, termine già utilizzato dai nazionalsocialisti, con cui oggi la nuova destra intende l'alterazione forzata dell'integrità etnoculturale. Eichberg, insieme a Lothar Penz e Wolfgang Strauss, avvia alla metà degli anni `60 la riformulazione del tradizionale armamentario ideologico dell'estrema destra. La sua corrente, i "nazionalrivoluzionari" che operano attorno alla rivista di Amburgo Junges Forum, corregge le basi dei modelli biologici di razzismo della vecchia destra, con l'idea che il nuovo ordine della "nazione Europa" "dovrebbe essere realizzato attraverso il riconoscimento delle "naturali differenze""32. Oltre all'etnopluralismo Eichberg formula l'idea-guida del "nazionalismo di liberazione". I popoli, per difendere la loro identità nazionale, si oppongono all'inquinamento provocato dalla presenza straniera. Una delle forme di autorappresentazione della Lega Nord è proprio quella del movimento di liberazione, in lotta contro il "colonialismo italiano", che attraverso l'immigrazione interregionale ed extracomunitaria tenterebbe di cancellare la sostanza identitaria della comunità padana. La de-colonizzazione dovrebbe realizzarsi con l'applicazione di criteri etnocentrici nell'assegnazione degli incarichi pubblici e delle prestazioni sociali; il giudice e l'insegnante padano non solo non metterebbero in pericolo ma rafforzerebbero la tutela di una comunità "naturale" e "organica". La Lega Nord riprende dalla corrente "nazionalrivoluzionaria" della nuova destra anche l'inserimento del nazionalismo di liberazione in una cornice regionale. La regionalizzazione, per Eichberg, si contrappone all'imperialismo e al colonialismo, utilizzando gli strumenti della cultura e dell'identità regionale. L'etnopluralismo nelle pubblicazioni ufficiali del Carroccio è esplicitamente considerato "uno dei valori fondanti del pensiero politico della Lega Nord". In quanto "riconoscimento delle diversità etniche della specie umana" esso "è l'espressione della necessità culturale e socio-biologica di preservare nella loro diversità i vari gruppi etnici, riconoscendo ad ognuno di essi uno specifico valore"33. La definizione della Lega Nord di etnopluralismo richiama quella della nuova destra: "una concezione essenzialmente antitotalitaria ed antiuniversalista; è la risposta più efficace e coerente al progetto di omologazione e di assimilazione a modelli culturali e comportamenti unificanti che la società dei consumi porta in sé" In occasione dell'inaugurazione, a Bruxelles, dell'associazione culturale "Padani in Europa", il segretario della Lega Nord, parlando di popoli, accanto ai catalani e ai baschi, colloca i calabresi e i siciliani, e "ognuno di loro ha diritto non solo a una partecipazione attiva, ma anche a una serie di norme tali da preservare le differenti caratteristiche nazionali", anche perché "le autonomie e il riconoscimento delle diversità rappresentano il futuro non solo dell'Europa ma anche del mondo"35. "Sul principio della differenza" è il titolo dell'editoriale apparso su Terra del Po - foglio di cultura reggiana e padana. L'"egalitarismo coercitivo", non il totalitarismo, è presentato come la causa delle deportazioni e delle censure, l'egalitarismo viene indicato come il nemico da combattere, mentre "se una cosa abbiamo imparato dalle sofferenze e dagli errori di questo secolo è che il vero diritto da conquistare e da difendere non è quello di essere tutti uguali, bensì quello di essere tutti diversi. Solo sul riconoscimento e sul rispetto delle differenze reciproche si può fondare la reciproca comprensione"36. Nel documento elaborato nel 1998 dai responsabili degli enti locali della Lega Nord, intitolato "Padania, identità e società multirazziali", si ammette che "la Lega Nord per l'Indipendenza della Padania afferma una visione differenzialista del mondo", mentre "la minaccia "razzista" va ricercata nel pensiero e nell'azione distruttrice del mondialismo, il quale attraverso una sottocultura commerciale, planetaria, progetta di edificare il "villaggio mondiale", anglofono e totalitario, sulle rovine dei popoli. Questi mondialisti sono i veri razzisti in quanto negano le diversità delle culture e dei popoli. Il patriottismo è l'ultimo ostacolo al progredire degli imperi planetari americani e islamici"37. L'etnopluralismo, con la valorizzazione assoluta delle diversità e l'esaltazione delle autonomie etniche regional-nazionali ridefinisce in chiave völkisch i criteri di cittadinanza. Il neorazzismo differenzialista della nuova destra individua nella lotta alla società multiculturale la principale sfida per salvaguardare l'identità europea, perché la società multirazziale distrugge ""la relativa omogeneità etnoculturale degli abitanti dell'Europa" sulla quale poggiano "l'identità, la densità del senso di appartenenza e il valore del concetto di cittadinanza""38. Nelle tesi approvate al terzo congresso ordinario della Lega Nord l'Europa dei popoli e delle Regioni, patria delle "identità delle comunità", viene contrapposta alla società multiculturale, "proposta oggi dai potentati politico-economico-intellettuali, data da una giustapposizione di comunità sempre più vaste di nuovi venuti e di una "società di accoglienza" sempre più omogeneizzata al proprio interno, senza coscienza di se stessa"39. Il legame tra i movimenti comunitari e la dottrina differenzialista della nuova destra emerge nella ricerca condotta da Michel Wieviorka sulla nuova ondata razzista in Francia, in cui si evidenzia come l'identità comunitaria, "nella misura in cui si richiama all'unità, o addirittura all'omogeneità della collettività, può procedere di pari passo con la preoccupazione di ripulirla dagli elementi di impurità, e questo ci porta direttamente al tema del razzismo differenzialista". Il differenzialismo culturale, elaborato in chiave metapolitica dalla nuova destra francese e tedesca, è diventato uno dei principi guida dell'azione politica di partiti di massa, neopopulisti, che al fenomeno dell'immigrazione contrappongono un principio "affermativo" dell'esclusione. La separazione dei popoli rappresenterebbe il presupposto per la salvaguardia delle singole omogeneità etniche, del diritto alla differenza. Partiti come i Freiheitlichen in Austria, la Csu in Baviera, la Lega Nord in Italia, in una certa misura anche il Fronte nazionale in Francia, formano una famiglia politica neopopulista, che pone al centro del messaggio politico la questione nazionale, riprendendo dalla nuova destra una visione völkisch del regionalismo e del diritto di cittadinanza. Il territorio si rivela uno spazio politico non neutrale, ma fortemente manipolabile in chiave micronazionalista. Il secondo punto chiave dell'allineamento del Carroccio alle idee della nuova destra ha a che fare con l'adesione della Lega Nord al pensiero etnofederalista. Schematicamente si possono individuare le seguenti idee-guida parallele tra il pensiero del federalismo etnico e quello della nuova destra: a) il federalismo basato sul criterio etnico quale elemento costitutivo di un nuovo ordine europeo, in cui alla disintegrazione degli Stati nazionali etnicamente eterogenei corrisponda la nascita di una federazione di Stati regionali etnicamente omogenei; il federalismo quale forma istituzionale che consente l'esercizio del diritto all'autodeterminazione; b) la conseguente richiesta di una nuova mappa politica dell'Europa, con la modifica degli odierni confini, considerati "artificiali"; la revisione dei confini si configura come esplicito obiettivo politico; c) la priorità assegnata ai diritti collettivi, di gruppo, rispetto ai diritti universali dell'individuo; l'avversione verso l'universalismo; d) il rigetto della società multiculturale, considerata fonte di conflitti interetnici, la teorizzazione di forme di neorazzismo differenzialista; e) l'esaltazione di comunità naturali e omogenee, contrapposte all'idea di nazione nata dalla Rivoluzione francese; O la relativizzazione della democrazia liberale, che necessita di correttivi etnici. Tra le divergenze: a) la dimensione degli Stati regionali e i limiti all'esercizio del diritto all'autodeterminazione; b) l'omogeneità etnica quale criterio aggregante esclusivo per la formazione dei nuovi Stati regionali.
Populismo federale anarchico?
Lo stretto legame tra populismo e federalismo nella strategia della Lega Nord viene teorizzato e analizzato da Paul Piccone, politologo americano "non conformista". Piccone respinge l'idea di un parallelismo tra le idee del Carroccio e quelle della nuova destra. Il nuovo populismo leghista - scrive Piccone su Trasgressioni, la rivista teorica della nuova destra italiana - riconsidera il federalismo per "reclamare la democrazia partecipativa, come una necessità per la ricostruzione di comunità organiche", anche perché "compito del nuovo populismo è sostituire allo Stato nazionale piccole comunità organiche autonome federate all'interno di un contesto più ampio che ne garantisca tanto la specificità culturale quanto un'interazione economica senza ostacoli"41. Per ottenere la rinascita di comunità sociali di base il nuovo populismo federale "deve definire chiaramente la territorialità decisiva per la nuova identità populista". Piccone nega che i criteri di esclusione territoriale adottati dalla Lega Nord possano essere interpretati come indicatori della natura di (nuova) destra del movimento. Sarebbero poi infondate le critiche di etnocentrismo mosse dalla "sinistra tradizionale", perché lo spirito animatore della Lega "affonda le radici in una assai più antica ma ampiamente dimenticata tradizione anarchica e contemporaneamente nelle più avanzate pratiche industriali "postfordiste", che non a caso, sono estremamente congeniali alle più vecchie forme di organizzazione economica anarchiche, risalenti a Proudhon"42. Il populismo federale della Lega Nord, definito anarchico, viene visto come un esportabile modello di risposta politica alle inefficienze del sistema democratico liberale, avversato dalla nuova destra; il populismo delle piccole comunità organiche come strumento per superare le "carenze di valori causate dalla vacuità dell'universalismo illuministico della liberaldemocrazia [..i per impedire che l'Europa reinventi Washington"43. Ma in Germania44 e in Italia la Lega Nord, pur tenendo presente i suoi tratti peculiari e originali, comincia a essere collocata tra i movimenti populisti e della nuova destra. In Italia Alleanza nazionale e Lega possono essere considerate "due destre in collisione", espressione di due opposte idee di nazione. Mentre Alleanza nazionale prosegue nella metamorfosi verso un partito di destra liberal-democratica, il Carroccio assume l'identità di "nuova destra" perché, osserva Marco Revelli, "se in un luogo politico una parte almeno del messaggio "eversivo" della nuova destra appare migrato, è nel patrimonio genetico del leghismo: in quella componente del ceto medio settentrionale che la difesa estrema di margini via via decrescenti di benessere spinge a un più esplicito radicamento territoriale localistico, su una linea di collisione con Io Stato nazionale"45. La forza di espansione della strategia metaculturale della nuova destra diventa "ideologia di mobilitazione" in quelle aree dove la globalizzazione dei mercati fa "emergere pulsioni radicali, rifiuti catastrofici" che contrappongono "allo sradicamento della logica commerciale radicamenti assoluti nel sangue e nel suolo, all'astrattezza del denaro la materialità biologica della corporeità, del soma, della razza"46. Se per Norberto Bobbio il discrimine fondamentale tra destra e sinistra è nel carattere antiegualitario della prima, egualitario della seconda, Dino Cofrancesco annota come "dove più intensa è la valorizzazione delle radici e i vincoli sociali vengono riguardati come corrispondenti all'ordine naturale delle cose, ivi è destra", per cui "la destra è apologia del radicamento, la sinistra dell'emancipazione"47. Lo spazio politico in cui può essere identificata la destra, secondo la definizione di Piero Ignazi, è quello in cui "convivono il principio di autorità, la superiorità di una entità (Stato, nazione, Chiesa) rispetto all'individuo, il richiamo alla tradizione e alle radici, l'ideale dell'ordine, dell'armonia e della gerarchia, la trasposizione sul piano politico-sociale delle ineguaglianze naturali e sociali, il bisogno di appartenenza e la ricerca-ristabilimento di comunità naturali"48. La politica micronazionalista della Lega Nord ottiene riconoscimenti dai pensatori della nuova destra. Alain de Benoist annota con soddisfazione come "ovunque le patrie carnali riprendono il sopravvento" e "ad Ovest l'Italia registra l'ascesa delle leghe autonomiste"49. Il belga Robert Steuckers legittima l'analisi asimmetrica proposta da Bossi per dividere le regioni settentrionali da quelle meridionali, perché "l'Italia del Nord, senza il peso finanziario determinato dalla corruzione politica e dalle reti di rapporti, sarebbe prospera come la Germania, se non di più"50. Nell'estate del 1997 il settimanale tedesco funge Freiheit, dopo l'omicidio da parte dell'Eta del consigliere regionale basco Miguel Angel Blanco, dedica l'articolo di apertura alla "rivolta delle regioni", indicando nella "radicale riorganizzazione degli Stati nazionali in senso federalista" l'unica risposta valida al terrorismo dell'Eta e dell'Ira. La previsione è di un rafforzamento in Europa dei movimenti regionalisti populistici, di cui la Lega Nord per il settimanale della nuova destra tedesca rappresenta un modello: La Lega Nord "non si limita a criticare le minacce "esterne" come l'immigrazione strasbordante, ma mette anche il dito nella piaga delle precarie situazioni interne, con l'esigenza di una maggiore vicinanza ai cittadini, l'autogoverno locale, l'eliminazione dell'invadente burocrazia statale e del dispotismo autoritario contro il popolo elettore che paga le tasse"51, funge Freiheit, fondata in Germania nel 1986, dal 1993 diventa settimanale, dopo il successo di diffusione del 1992, quando raggiunge le 35 mila copie. funge Freiheit funge da cerniera tra la nuova destra e i neoconservatori nazionalisti. La Lega Nord, "in marcia sulla strada insidiosa che dall'identità economica porta a quella etnica"52, accentuando i richiami etnocentrici finisce per diventare il movimento nazionalista non appartenente all'area geopolitica tedesca a cui guarda con maggiore interesse la destra pangermanica. Un riscontro emerge dalla lettura degli articoli dedicati da Junge Freiheit alla prima marcia lungo il Po. "Rivolta delle regioni" è il titolo di prima pagina dell'articolo firmato da Andreas Mòlzer, ex braccio destro di Haider e teorico della nuova destra austriaca, in cui si evidenzia come "la fondazione della nuova Repubblica federale della Padania, ricca di simbolismi, potrebbe conseguire una dimensione politica reale qualora i centralisti italiani non si decidano finalmente per la federalizzazione dello Stato"53. Il processo di frammentazione degli Stati nella parte orientale della Mitteleuropa e nell'Europa orientale, oltre a "dimostrare l'artificialità del nuovo ordine dell'Europa dopo la prima guerra mondiale, con i trattati di pace di Versailles, Saint-Germain e Trianon da considerare peccati contro la storia e la cultura dei popoli dell'Europa"54, potrebbe trovare una sua corrispondenza nell'Europa occidentale a partire dalla rivolta della Padania e dal conflitto in Belgio tra fiamminghi e valloni. funge Freiheit giudica di "estremo interesse le carte geografiche pubblicate dalla Lega sui confini dell'auspicato Stato del Nord. In queste carte dettagliate il Sudtirolo rimane fuori, cosi come le parti del Trentino appartenenti fino alla prima guerra mondiale alla parte austriaca della monarchia danubiana"55. Sul mensile della nuova destra austriaca, Aula, nell'autunno del 1996 il referente culturale degli Schützen ed esponente di punta dei Freiheitlichen sudtirolesi, Peter Paul Rainer, si chiede "se la Padania costituisca una chance per il Sudtirolo" e contemporaneamente prevede "una politica di nuova nazionalizzazione condotta dall'Italia per rafforzare il sentimento nazionale italiano messo in dubbio dalla politica della Lega"56. È sul piano della scissione della modernità, della de-modernizzazione, che si muovono i movimenti neopopulisti, neoindipendentisti e neocomunitari con un messaggio che si colloca lungo la frattura tra globale e locale, offrendo un'alternativa non solo agli spaesati, vittime della separazione spazio-temporale provocata dalla modernità, ma anche alla classe media, resa timorosa dall'impatto dei grandi flussi migratori. La riconquista dell'identità etnica diventa lo strumento per la rinascita di un'idea della comunità nazionale organica e naturale.
L' etnofederalismo
La politica estera della Lega si basa sui principi dell'etnofederalismo'7, anche se all'interno del partito una corrente intellettuale liberal-libertaria, minoritaria, contrappone alla nazione oggettiva teorizzata dal federalismo etnico la nazione delle volontà. Il modello istituzionale del federalismo etnico è stato formulato dal francese Guy Héraud, nel suo Les principes du fédéralisme et la Fédération européenne, del 1968. Il processo di formazione del "nuovo ordine europeo" si dovrebbe basare su "un cambio del livello dove si colloca il fenomeno della sovranità. Al posto di quella tedesca, francese, italiana, dovrebbe configurarsi un'unica sovranità, che nell'ambito di una comunità federale risulterebbe estremamente diluita: la sovranità europea"58. Secondo Héraud nessuna dottrina come il federalismo viene incontro al diritto all'autodeterminazione dei popoli e di tutte le comunità e per gli etnofederalisti "gli Stati nazionali verranno sottoposti ad un sempre maggiore processo di erosione, attraverso le forze di un nazionalismo etnicamente fondato e di un regionalismo sviluppatosi secondo criteri di politica economica e sociale, di un regionalismo in parte transfrontaliero"59. Gli Stati nazionali etnicamente eterogenei vengono considerati "il più nefasto fattore di divisione, un ostacolo alla cooperazione tra i popoli e una minaccia alla pace"60 in quanto espressione della concezione soggettiva della nazione, nata dalla Rivoluzione francese. L'etnofederalismo individua nella mancata omogeneità etnica il limite della nazione intesa sia come "Stato nazionale", che raccoglie la collettività dei cittadini, sia come "nazione delle volontà", celebrata da Renan. In particolare la nazione civico-volontarista, più che corrispondere all'ideale democratico, esprimerebbe solo una sovranità dominante, con caratteri imperialisti: "nel nome di questa volontà - annota Héraud - vengono sacrificate, sull'altare di una realtà artificiale scaturita dalle violenze e dalla casualità della storia, delle comunità naturali che sono il prodotto di una evoluzione organica e che presentano una perfetta unità. Nel nome di una volontà postulata, senza alcun rimorso, vengono consegnate delle nazioni, o parti di esse, alla legge della maggioranza etnica che domina lo Stato"61. I federalisti etnici si riconoscono in un terzo significato di nazione, le ernie rappresentano delle "nazioni oggettive" intese come "comunità linguistiche", quindi per Héraud la "nazione che corrisponde al Volk tedesco della tradizione di Herder, Fichte, M.H. Boehrn"62. Il riferimento a Herder è interessante sia per il ruolo che il linguista tedesco ha avuto a partire dall'Ottocento nell'elaborazione del nazionalismo etnolinguistico e culturale, sia perché Herder viene considerato "il primo fautore dell'odierno "relativismo culturale", ossia del rifiuto di ogni valore di portata universale. [...II Destinato a un grande avvenire nella prospettiva del nazionalismo romantico e poi dell'estrema destra antidemocratica, il Volksgeist, lo spirito del popolo, deve costituire ai suoi occhi il solo valore assoluto, senza che i suoi eccessi possano invalidarlo"63. Ugualmente interessante è il richiamo al maggiore esponente della dottrina vòlkisch, Max Hildebert Boehm, che all'inizio degli anni `30 alla Deutsche Hochschule fur Politikwissenschaft, dove ricopriva la cattedra per l'insegnamento della Deutschtumpolitik, sviluppò le teorie etnonazionaliste come disciplina politologica. Nella sua critica al nazionalismo etnico lo studioso tedesco di regionalismo Dirk Gerdes sottolinea come Max Hildebert Boehm nel 1937 abbia riformulato la teoria di Riehl sulla centralità della tribù, dell'insediamento, delle usanze e della lingua: quattro concetti, sosteneva Boehm, che "nella lingua del nostro tempo esprimeremmo con Blut, Boden, ordinamento del popoìo e Volkstum, che trovano il loro coronamento nella volontà appassionata verso il Reich nazionalsocialista". Durante il nazismo Boehm fu incaricato dal ministero degli Esteri tedesco di elaborare una teoria del diritto delle minoranze in grado di giustificare la politica di sostegno della Germania alle minoranze tedesche all'estero e contemporaneamente la discriminazione operata nei confronti degli ebrei all'interno dei confini del Reich. Boehm è stato anche uno dei protagonisti della "rivoluzione conservatrice". Nel 1919 fondò, insieme a Moeller van den Bruck e Heinrich von Gleichen, il "Juni-Klub". Van den Bruck, oltre a salutare con favore la marcia su Roma di Mussolini e a innalzare la Germania a "matria della razza" e "sinonimo di Europa", da cui "sarebbero nate "quasi tutte le nazioni dotate di cultura in Europa con i loro geni""65, con la sua opera del 1923, Il terzo Reich, cuci rapporti politici con diverse formazioni, tra le quali la Deutschnationale Volkspartei, la Deutschvòlkische Freiheitspartei e l'allora regionale partito nazionalsocialista. Nella concezione federalista di Héraud l'etnia è definita in base alla lingua, che assurge a criterio principale e a giustificazione razionale della nazione. Riprendendo M. François Fontan, Héraud ritiene la lingua "l'indice sintetico della nazione", nel senso che riassume meglio anche gli altri fattori che hanno determinato la formazione dei popoli, fattori di carattere razziale, climatico, geografico, economico, storico, psicologico. La lingua e la cultura quali caratteri fondamentali dei popoli, la lingua e la cultura come "un secondo codice genetico"66. In questo modo la lingua diventa l'indicatore esterno dell'esistenza di un gruppo nazionale e contemporaneamente il concetto che ne esprime la sua più intima sostanza. Nella sua critica dell'etnofederalismo Gerdes annota come il riferimento alla lingua, quale criterio decisivo nella definizione delle nazioni, provochi "l'inserimento di ogni individuo, a prescindere dalla sua azione, all'interno della tradizione di una comunità linguistica, che determina il suo modo di pensare, di agire e quindi la sua appartenenza a un etnotipo""67. L'individuazione dell'"etnotipo", termine con cui secondo Héraud si designano i caratteri che costituiscono "il comportamento medio di un popolo", serve a contestare la concezione cosmopolita dell'uomo, l'universalismo dei valori, per affermare l'irriducibile diversità etnica dei modi di pensare. L'umanità, cosi, finisce per essere "basata, o quasi, sulla correlazione lingua-etnotipo": vi sarebbero tante "civiltà" quante sono le lingue, "poiché non sono solamente i mondi linguistici ad essere estranei gli uni agli altri, bensì i mondi culturali” le civiltà sembrano impermeabili le une alle altre, cosi come le lingue “e l'esistenza di culture o di civiltà, che costituiscono tanti mondi ben distinti, è una verità dimostrata"68. L'idea della lingua come fattore naturale e statico configge con l'analisi storica proprio di quelle comunità nazionali a cui si potrebbe applicare la tesi primordialista della loro ininterrotta esistenza. E il caso degli scozzesi, per i quali, osserva uno dei maggiori studiosi del "revival etnico", Anthony D. Smith, "la lingua molto tempo fa cessò di svolgere un ruolo di differenziazione e di unificazione, allorché il Lallans diventò la lingua delle Lowlands. Invece, istituzioni quali la Chiesa presbiteriana, il sistema giuridico scozzese e il sistema educativo scozzese, sono state il baluardo sociale che ha assicurato la continuità di un senso di identità etnico scozzese, in cui questi distintivi elementi di "cultura" aumentano e incarnano anche le memorie collettive cli uno Stato indipendente nei precedenti secoli"69. Il federalismo etnico prevede un principio ordinatorio dello Stato, dell'economia, della società, che si fonda innanzitutto sull'istituzionalizzazione del carattere di gruppo della società. L'individuo assume un ruolo subordinato al punto che i suoi stessi diritti si baserebbero sui diritti del gruppo. Nel saggio di Héraud pubblicato nel 1993 all'interno del libro manifesto della nuova destra europea regionali-sta, Europa der Regionen, si esplicitano le conseguenze politiche di una visione oggettiva della nazione. Poiché "le lingue e le culture corrispondono ai popoli da cui sono state originate, modificarle significa danneggiare questi popoli, colpirli e ferirli, proprio nella loro più profonda struttura spirituale"; alfine di garantire loro "un libero e pacifico sviluppo" e con l'obiettivo di "liberare le minoranze" occorre "sostituire gli Stati nazionali etnica-mente pluralisti, e quindi ingiusti, con un insieme di unità etnicamente omogenee, in maniera tale che non esistano più contrasti etnici"70. Il tipo di società propagandata dagli etnofederalisti èla "società differenziata", una "collettività diversificata" per rispettare le differenze, in quanto per Héraud "la discriminazione non è originata dalla differenziazione degli statuti, ma dalla loro uniformità E... L'identità ugualitaria serve solo a consolidare l'egemonia del gruppo maggioritario"71. Il principio di uguaglianza viene avversato in quanto considerato all'origine del dominio dello Stato e della sua politica di assimilazione che può sfociare nell'"etnocidio"; la stessa democrazia liberale risulterebbe bisognosa di "una correzione attraverso l'etnicità"72.
La federazione di Stati regionali etnici
Il superamento dello Stato nazionale eterogeneo dovrebbe avvenire attraverso la nascita di una Federazione degli Stati regionali monoetnici, che determinerebbe una ridefinizione delle frontiere, in quanto "la federazione, che non è un mostro, ha bisogno di confini interni"73. Héraud formula una lista dì territori che "sia per il numero degli abitanti, sia per la profonda unità etnica, economica, storica, devono formare Stati regionali (Etats-regions) che diventano immediatamente membri della Federazione europea". Nella lista dei futuri Stati regionali figurano Lettonia, Lituania, Estonia, Galizia, Macedonia, Catalogna, Occitania (comprese le valli piemontesi occìtane), Tirolo (con la specificazione che si tratterebbe "della parte austriaca e di quella italiana"). Il criterio aggregante fondamentale dovrebbe essere l'omogeneità etnica: "le regioni dovranno essere omogenee, in relazione alla loro cultura e lingua, o almeno in relazione alloro sentimento di appartenenza, ed è il caso di unità politiche poli-etniche, come la Svizzera, che non accetterebbero la divisione"74. All'interno della Federazione delle regioni monoetniche, accanto a quello etnico si prevede l'applicazione anche del criterio storico ed economico nella definizione dei nuovi confini regionali, ma sempre tenendo presente il discrimine "di porre attenzione alla necessità della omogeneità etnica" Nell'articolazione istituzionale dei tre livelli della Federazione etnica (Comuni, Stati regionali, Federazione) non vi è posto per lo Stato nazionale eterogeneo; la nazione invece dovrebbe svilupparsi come un livello leggero tra la Federazione e le regioni, con il compito di coordinare l'amministrazione della lingua e della cultura comuni agli Stati regionali nati dalla scomposizione dei grandi Stati. Lo Stato federale europeo secondo Héraud risulterebbe "dall'unione delle regioni Normandia, Borgogna, Savoia, Val d'Aosta, ecc. (nazione francese); Baviera, Assia, Bassa Sassonia, Tirolo (nazione tedesca); Lombardia, Toscana, Sicilia (nazione italiana)"76. L'idea di ritagliare comunità etnicamente omogenee si fonda su una visione astorica degli avvenimenti che hanno caratterizzato l'Europa nel ventesimo secolo: il fenomeno immigratorio, le guerre, le divisioni e le riunificazioni hanno determinato una mappa geopolitica caratterizzata dalla non corrispondenza di nazione e Stato, con la diffusione della società multiculturale e multietnica. La sola Germania dal 1945 al 1988 ha accolto 14 milioni di lavoratori stranieri. Oggi il gruppo di immigrati più consistente in Europa è rappresentato dal milione e mezzo di turchi che risiede in Germania. Non corrisponde alla realtà storica neanche l'attribuzione di un'unica nazionalità a regioni come la Val d'Aosta o il Tirolo. In quest'ultimo caso l'omologazione del Sudtirolo al Tirolo riporterebbe le lancette della storia al 1918, quando il demos e l'ethnos tirolesi erano tutt'uno, cancellando cosi ottanta anni di storia che hanno visto svilupparsi un'identità sud-tirolese, eterogenea, multilinguistica e multiculturale, espressione del benefico gioco delle molteplici apparrenenze. il federalismo etnico, volendo realizzare degli Stati regionali etnicamente omogenei, pone le basi per un apartheid delle comunità, giustifica la pulizia etnica segregando quelle diversità che asserisce di voler difendere. L'obiettivo geopolitico dell'etnofederalismo assume contorni radicali: occorre"disegnare una nuova carta dell'Europa", perché "gli odierni confini, frutto del caso della storia e degli imperialismi, non hanno né un fondamento giuridico né corrispondono alla ragione"77. La modifica dei confini statali, con la nascita di una Federazione europea etnica, dovrebbe favorire il superamento delle minoranze, la cui esistenza viene considerata "moralmente inaccettabile". Anche le soluzioni che radicano la convivenza interetnica nei territori dove sono msediate una o più minoranze, come nel caso del Sudtirolo, sono giudicate insufficienti, in quanto "la minoranza è falsificata" a causa dell'applicazione del sistema del bilinguismo e del biculturalismo78. Per gli etnofederalisti il principio-guida di una auspicata normativa etnica che assegni la priorità al diritto collettivo dei gruppi etnici è "il rispetto dell'individualità linguistica e culturale di tutti i gruppi" che per Guy Héraud si deve realizzare anche "con una protezione dall'eccessiva immigrazione"79. Alla base della mixofobia etnofederalista vi è l'avversione per tutte le forme di convivenza interetnica, accusate di produrre "irrisolvibili conflitti tra le nazionalità"80. La soluzione proposta, in nome di un nazionalismo linguistico, prevede la riparazione etnica del paesaggio politico europeo, anche perché "gli errori storici" che hanno prodotto le minoranze possono essere sanati "attraverso la semplice modifica dei confini"81. Il federalismo etnico impronta al rispetto del criterio etnico le stesse modalità di esercizio del diritto di autodetermmazìone. Per quel che riguarda, ad esempio, la definizione del territorio chiamato al voto, onde evitare "la persistenza dell'elemento straniero su una porzione di territorio, il venir meno dell'unità etnica e la nascita di enclavi"82, il diritto di prendere parte al referendum per l'autodeterminazione dovrebbe essere limitato alle popolazioni autoctone, a quelle che risiedono in un determinato territorio da almeno tre generazioni, a coloro che non vi risiedono ma appartengono alla stessa nazionalità. La "filosofia etnica" da una parte riprende le tesi primordialiste, per le quali "le nazioni e le comunità etniche sono le unità naturali della storia ed elementi integrali dell'esperienza umana"83, dall'altra rappresenta una modernizzazione della dottrina volkisch, del concetto mitteleuropeo di Volk, con autori come Héraud e Veiter che "mistificano le caratteristiche della costruzione di un tipo di società "premoderna", come "sostanza" della formazione di una comunità tout court; isolano il fattore liiigua. dalle rete dei fattori che determinano l'odierna fòrmazione della comunità sociale e statale, e lo stilizzano con un'attitudine pseudoscientifica a farne il concetto guida di un'identità collettiva volklich, etnica"84. Parallelamente alla continuità ideologica con il concetto mitteleuropeo di Volk, si registra una continuità politico- organizzativa tra le odierne associazioni etnofederaliste e quelle che operarono tra le due guerre mondiali. La Fuev (Federalistische Union Europàischer Volkssgruppen), l'organizzazione transnazionale che oggi raccoglie una serie di associazioni delle minoranze, si rifà al movimento del "Congresso delle nazionalità europee", attivo negli anni `20 e `30, egemonizzato dalle minoranze tedesche85. Guy Héraud è il coeditore di Europa Ethnica, l'organo ufficiale della Fuev, nonché stretto collaboratore del Bund der Vertriebenen, l'associazione dei profughi tedeschi, già dagli anni `60 impegnata in collaborazione con la Fuev nell'elaborazione e nell'ancoraggio a livello internazionale di un nuovo diritto collettivo dei gruppi etnici. La "Sudetendeutsche Landsmannschaft", il gruppo che all'interno del Bund der Vertriebenen raccoglie i profughi tedeschi dei Sudeti, molto impegnata soprattutto in Baviera, nel 1987 ha premiato Héraud conferendogli l'"Europàischer Karlspreis". I Sudeti insieme al Land della Baviera hanno dato vita nel 1977 all'Intereg, l'Internationales Institut fùr Nationalitàtenrecht und Regionalismus, con sede a Monaco di Baviera, centro di elaborazione teorica del nuovo regionalismo europeo etnocentrico, che ha ripreso, modernizzandola, la vecchia dottrina volkisch. La rivista Europa Ethnica, oltre che della Fuev, èl'organo ufficiale dell'Intereg. Nel 1989 l'Intereg dedica un intero volume a Héraud. Theodor Veiter, tra i fondatori dell'Istituto, esperto delle questioni delle nazionalità e sostenitore di posizioni apertamente antisemite86, nell'introduzione alla pubblicazione ricorda come il professore universitario francese "alcune volte è stato criticato con il termine "etnonazionalista" e vi sono degli autori che polemizzano contro l'etnicità e l'identità etnica come idee in qualche misura nazionalsocialiste o fasciste, ma i principi guida del pensiero di Héraud comprovano che proprio l'etnicità e l'affermazione del diritto all'autodeterminazione dei popoli e dei gruppi etnici, da lui con coerenza perseguiti, aiutano a combattere il nazionalismo estremo e con questo anche l'etnonazionalismo"87. Héraud, oltre a figurare nel "Comité de patronate" della rivista della nuova destra francese, la Nouvelle Ecole, nell'elenco uscito nel numero lì del gennaio-febbraio 197188, pubblica saggi su riviste della nuova destra. È il caso di funges Forum, dove scrivono Luc Pauwels, leader della nuova destra in Belgio, e Yvo J.D. Peeters, membro dell'Intereg, la cui firma appare anche sul settimanale della nuova destra tedesca, funge Freiheit. Dopo la caduta del muro di Berlino le teorie etnofederaliste, prima coltivate in ambiti ristretti ed elitari, hanno trovato nuovi spazi di diffusione politica e rischiano di preparare il terreno a una etnicizzazione dei conflitti sociali. Il pericolo rappresentato dal neoregionalismo europeo, nelle sue componenti più radicali fortemente inquinato dalle teorie etnofederaliste, Ralf Dahrendorf lo individua nella "cattiva tendenza a creare unità più piccole, che si vorrebbero omogenee. E...] La peggiore delle prospettive è la cosiddetta Europa delle Regioni, in cui unità subnazionali omogenee - e quindi intolleranti - si uniscono con una formazione sovranazionale retorica e debole"89.
Il pendolo dell'identità e la Liga Veneta
La visione etnofederalista di Héraud è contestata da una corrente intellettuale all'interno della Lega Nord, sostenitrice di una "teoria posrmoderna della nazionalità", in cui alla concezione oggettiva della nazione viene contrapposta quella soggettiva: la "nazione-volontà". La crisi dello Stato nazionale farebbe riaffiorare delle convìvenze volontarie: "comunità che sono cioè basate solo sulla volontà degli individui di stare insieme, di dare vita ad associazioni e a libere federazioni [.1, che possano dar vita ad un'identità comune non necessariamente radicata nel passato"90. Il comun denominatore della volontà di stare insieme non sarebbe costituito dalla lingua, dall'etnia, dalla storia, ma dall'atteggiamento anticentralista e antistatalista. Nella formazione della "nazione non coercitiva", mentre il collante identitario potrebbe anche mancare, quello del consenso risulta assolutamente necessario. La critica al federalismo etnico prende le mosse da una impostazione liberal-libertaria, che ha come punto di riferimento dottrinale il pensiero di Ernest Renan e soprattutto di Murray N. Rothbard91. La concezione emofederalista di Héraud essendo fondata sull'antindividualismo riproduce in piccolo quel modello statalista che vorrebbe disintegrare, per cui le "piccole patrie", basate sul criterio dell'omogeneità etnica, non sarebbero altro che degli Stati nazionali in miniatura. La contestazione liberal-libertaria all'impostazione völkisch di Héraud va alle radici: il federalismo etnico è definito "collettivista", "anti-individualista" e "statalista", in quanto "una concezione oggettiva della nazione finisce per entrare in rotta di collisione non soltanto con i diritti individuali inviolabii della persona, costringendo i singoli a subire l'identità che essi potrebbero legittimamente non desiderare, ma anche con le comunità autentiche: quelle liberamente scelte e costituite"92. La corrente liberal-libertaria sostiene che i movimenti autonomisti e indipendentisti, pur rimanendo legati alle teorie etnonazionaliste, negli ultimi anni avrebbero subito una trasformazione, grazie alla "progressiva penetrazione di elementi liberali, libertari ed individualisti". Quello che sta emergendo - scrive Berardo Maggi sui Quaderni padani - "in modo sempre più netto proprio all'interno delle lotte autonomiste [è] un contrasto tra il vecchio nazionalismo ed un etnismo di tipo nuovo: il primo ancorato ancora a logiche ampiamente stataliste ed il secondo sempre più ispirato a categorie liberali- libertarie"93. L'osservazione dei movimenti indipendentisti, però, attesta una tendenza opposta: la diffusione delle teorie vòlkiwh del federalismo etnico e della nuova destra. Mentre il regionalismo europeo degli anni `70 era contrassegnato soprattutto dal conflitto economico tra centro e periferia, quello ritornato di attualità dopo la caduta del muro di Berlino si caratterizza, nelle sue componenti indipendentiste, per la preponderanza del messaggio etnocentrico. L'idea di un regionalismo separatista non nazionalista, individualista, corrisponde più a una aspirazione dei liberal-libertari della Lega Nord che all'odierno orientamento dei movimenti indipendentisti. Anche la storia della Lega Nord è vista dalla corrente liberal-libertaria attraverso la lente di ingrandimento della "svolta liberale", per cui a un primo periodo volkisch ed etnofederalista, avrebbe fatto seguito una fase in cui il partito si sarebbe fatto interprete di bisogni molto più diffusi, sintetizzabili nell'opposizione radicale allo statalismo centralista, per cui "il movimento di Bossi va visto come una coalizione di ragioni ed interessi orientata a spezzare l'unità politica italiana"94. La convivenza all'interno della Lega Nord di concezioni contrapposte di nazione si spiega con la natura ambigua ed ambivalente dell'idea di identità propagandata. Nel corso degli anni l'identità della comunità delle Regioni settentrionali per la Lega ha assunto un andamento oscillante: dalla comunità regional-nazionale delle origini alla comunità di interessi, soprattutto economici, fino alla definizione della comunità nazionale padana. La corrente liberal-libertaria interpreta l'evoluzione della Lega Nord come il progressivo abbandono dell'originaria impostazione etnonazionalista, sostituita da una visione liberale, ragione fondante del successo elettorale. Il ricorso alla mitologia etnonazionalista costituirebbe un messaggio strumentale, diretto alla base del partito. Il progetto Padania, però, ricolloca la questione dell'identità sul piano etnonazionalista, in maniera tale che il pendolo identitario, dopo essersi fermato, all'inizio degli anni `90, sul polo della comunità degli interessi economici, ha ripreso a oscillare, spostandosi nuovamente verso il polo etnico. Il tentativo di trovare una sintesi al movimento oscillatorio del pendolo identitario, interpretando la Padania come "nazione di nazioni", configge con la difficoltà di far convivere l'idea etnofederalisra della nazione oggettiva (comunità naturale ed omogenea, prepolitica) con la visione liberal-libertaria della nazione per consenso. Le tensioni politiche tra la Liga Veneta e la Lega Lombarda, sfociate nella commissariamento della segreteria regionale e nella successiva scissione della componente "venetista", con la nascita della "Liga - Repubblica Veneta", al di là del conflitto sulla questione delle alleanze elettorali, testimoniano la difficoltà di tradurre politicamente l'idea della nazione padana, come "nazione di nazioni", senza che questo comporti un'accelerazione delle spinte etniche centrifughe. L'elemento nazional/nazionalistico, espresso nel termine Padania, infatti ha involontariamente offerto spazi politici alla moltiplicazione delle microrivendicazioni a sfondo etnoregionalista, provocando effetti disgregativi sulla Lega Nord. Nel documento approvato il 22 settembre 1998 dall'autoconvocato consiglio nazionale della Liga Veneta, in precedenza sciolto da Bossi, si denuncia il patto del 1989 tra le Leghe regionali che diede vita alla Lega Nord e sì rivendica "la propria totale autonomia, la propria tradizione, la propria libertà, la propria sovranità". L'ala "venetista", che in nome della "casa comune dei veneti" si dissocia dal disegno dell'unità della Padania, enfatizzando l'identità, l'autonomia e il diritto all'autodeterminazione del "popolo veneto", tende a riprodurre a livello microregionale il progetto indipendentista. Il pendolo dell'identità, spostandosi sul polo etnonazionalista della grande nazione padana, ha fatto riemergere le divisioni tra i tanti Nord, la difficoltà a ricomporle in un disegno unitario macroregionale. Una volta constatato il fallimento della secessione in tempi brevi, i micronazionalismi regionali si sono sentiti incoraggiati a tentare percorsi separati verso l'indipendenza o l'autonomia, incoraggiati dalle componenti economiche insofferenti nei confronti di un progetto nazionalista padano dai tempi necessariamente lunghi. L'autodeterminazione dei popoli si rivela cosi un'arma politica a doppio taglio: brandita contro Roma, per costruire attorno al progetto Padania una nuova identità nazionale, si ritorce contro la Lega Nord, nel momento in cui alcune sue componenti ne rivendicano l'esercizio a livello regionai-nazionale.
Lega Nord: la discontinuità con la nuova destra intellettuale
L'allineamento alle idee della nuova destra interessa la questione nazionale, in prospettiva destinata a rimanere elemento identitario forte di un movimento che intravvede nell'indipendenza il proprio orizzonte ideale. La Lega Nord, però, conserva altri tratti identitari, che non coincidono con l'ideologia della nuova destra metapolitica e anzi se ne discostano: in particolare l'origine e l'autorappresentazione politica dell'elettorato, che in maggioranza si definisce di centro; l'impostazione liberista in economia; l'organizzazione del partito, vicina a quella tradizionale della sinistra. Umberto Bossi ha sempre rivendicato la collocazione del suo partito al centro dello spettro politico. Un centro "alto, nazionalista" che proietterebbe la Lega Nord in una sfera sacra e giusta della politica, al punto che lo stesso impegno politico del segretario assumerebbe contorni quasi eroici, perché a detta di Bossi, "non ha valore di per sé, ma in quanto strumento di una missione alta da compiere"95. La collocazione al centro dello spettro politico della Lega Nord emerge dai dati elettorali. L'analisi dei risultati delle politiche del 1996 attesta come il consenso "è tanto più forte dove più forte era la presenza della Dc. Il voto democristiano, infatti, nel 1992 era ancora attestato sul 34% nei collegi in cui la Lega è più forte, mentre scende al 24% dove è più debole; al contrario è tanto più ridotto dove più consistente è il peso elettorale delle forze politiche sorte dalla crisi del Pci: il Pds e Rifondazione. In altri termini la Lega si sviluppa nelle aree di piccola impresa, a urbanizzazione diffusa, a tradizione bianca"96. Sin dalle sue origini, con la Liga veneta, il movimento delle Leghe si è radicato li dove era più forte la Dc, ad esempio lungo la linea pedemontana veneta da Verona a Belluno. Nell'autorappresentazione politica degli elettori della Lega Nord, dal 1991 al 1996 si è registrata una sensibile crescita di coloro che si definiscono di centro: alle elezioni politiche del 1996, con il 28,7%, costituivano il gruppo più numeroso, seguito da coloro (il 27,9%) che non si collocano lungo l'asse destra-centro-sinistra. Si sentivano di "centro-destra" il 18,2%, di "centro-sinistra" il 16,1%, di "destra" l'8,1 %, di "sinistra" il 6%. Tre anni dopo, con la trasformazione del partito in movimento indipendentista completata, gli elettori leghisti continuano a fornire una autorap presentazione politica prevalentemente centrista: il 22,6% indica nel "centro" il suo posiziona mento ideale, il 6,5% nel "centro-destra". Di "destra" si sente il ~ Diverso è il discorso per i quadri, tra i quali risulta forte l'idea di una collocazione nazionale o addirittura nazionalista. In un'indagine realizzata nel 1997 tra i delegati del Carroccio al congresso nazionale di Milano, la maggioranza assoluta (il 54,8%) di coloro che sono entrati nel partito dopo il 1992 si colloca al di fuori dello spettro destra-centro-sinistra, il 30,6% si definisce di "centro", il 12,9% di "centro-destra", l'1,6% di "destra". Nessuno si dice di "sinistra" o di "centro-sinistra". L'analisi del voto e l'identikit degli elettori della Lega Nord allontana il partito dall'area della nuova destra, evidenziando invece una rappresentazione centrista, contrassegnata da picchi elettorali in coincidenza con zone tradizionalmente bianche e influenzate dalla subcultura autonomista, fortemente radicata nelle province a statuto speciale che confinano con quelle del successo leghista. Ma più che un nuovo centro moderato, l'atteggiamento degli elettori sulle questioni politiche, sociali, nei confronti degli altri, sembra indicare il configurarsi di un centro "populista" ed "estremista". Gli elettori del Carroccio hanno "molti tratti e valori prepolitici che li assimilano a quelli di Alleanza nazionale", tra i quali il politologo Roberto Biorcio indica "gli atteggiamenti rispetto agli immigrati, sulla pena di morte, il desiderio di ordine e autorità", ma "esiste non solo un'estraneità della Lega alla cultura tradizionale della destra italiana, ma soprattutto una contraddizione insanabile fra Lega e An, per le contrapposte idee di nazione, che porta ad una feroce concorrenzialità su]Io stesso terreno"98. La Lega, piuttosto, per il suo sforzo per farsi identificare con i popoli della Padania, fa emergere "uno degli elementi caratterizzanti tutte le formazioni neopopuliste: la tendenza a proporsi come unico ed esclusivo veicolo della volontà popolare"99. Il maggiore fattore di discontinuità con la nuova destra è rappresentato dalla convinta adesione della Lega Nord al liberismo economico, l'esaltazione del capitalismo visto quasi come uno stato di natura. Mentre la nuova destra si oppone al liberismo e all'economia di mercato, considerati insieme all'individualismo e all'universalismo i caratteri del "pensiero unico" erede dell'illuminismo e sostenitore della mondializzazione, la Lega Nord tenta di far coesistere sullo stesso terreno il liberismo economico e il neoetnicismo: "Se la costruzione del discorso neoetnico è il dispositivo per creare nemici e avversari, per segnare differenze culturali insuperabili, l'adozione dei valori dell'economia generalizzata è lo strumento per raccogliere consenso in ogni strato sociale, nella convinzione che in questa fase storica quelli sono i valori egemoni, in alto e in basso, e presso tutti i popoli che marciano al passo con la storia" La Lega Nord esalta la laboriosità, l'operare del piccolo e medio imprenditore, cosi come dell'artigiano e del commerciante, categorie sociali che non a caso nelle regioni settentrionali hanno spostato il loro voto, dalla De verso l'imprenditore politico leghista, che lasciatosi alle spalle la prima fase etnica, in cui la regione assumeva una connotazione etnoterritoriale, ha concentrato la sua iniziativa politica tenendo presente gli interessi, soprattutto economici. La regione, nel secondo periodo dell'evoluzione della Lega (1987-1990), viene interpretata come "comunità di interessi", antagonistici a un sistema politico nazionale degenerato. Il territorio dove si afferma elettoralmente la Lega Nord è quello "in cui il valore aggiunto industriale registra la maggior media per abitante e la maggiore crescita durante gli anni `80; è quello in cui si osserva il maggior numero di unità locali e si registra il maggior peso relativo di addetti all'industria sulla popolazione"'91. La contraddizione dell'allineamento e della contemporanea discontinuità con la nuova destra intellettuale si attenua fino a scomparire, se invece del think tank che ha rielaborato, modernizzandolo, il pensiero nazionalista di destra, si prendono in esame gli altri partiti politici europei populisti: la Lega Nord, cosi come i Freiheitlichen austriaci, la Csu bavarese, il Vlaams Blok fiammingo coniuga in un originale formato populista il messaggio et nonazionalista e il richiamo liberista, offrendo contemporaneamente una risposta alla domanda di sicurezza e protezione dai flussi immigratori e alla richiesta di meno Stato sulle questioni più strettamente economiche. Sicuramente più vicino alla tradizione storica della sinistra è poi l'importanza assegnata dalla Lega Nord all'organizzazione interna che, pur non assumendo la forma del partito di massa, valorizza la militanza che diventa accanto alla forte leadership di Bossi elemento determinante nella costruzione del consenso. Il radicamento di una presenza territoriale forte, il ruolo delle sezioni, i rituali appuntamenti di ritrovo della base e dei simpatizzanti, collocano la Lega Nord in controtendenza rispetto alle forme leggere di organizzazione e comunicazione politica. Dalla fine degli anni `80 ad oltre la metà degli anni `90 la Lega Nord, pur nella contraddittorietà di alcuni suoi messaggi, ha rappresentato un fattore di forte innovazione, di cesura, con "la capacità di rompere con i tradizionali fondamenti dell'identità politica e della delega partitica: la religione, la classe, l'ispirazione laica". Al loro posto la Lega Nord, nata dall'unione delle Leghe regionali, introduce "altri riferimenti, recuperati da contraddizioni antiche della società italiana: i contrasti fra centro e periferia, fra Nord e Sud, fra privato e pubblico, fra società civile e partiti tradizionali"102. Ma dopo il biennio di "isolamento padano" l'allineamento alla nuova destra sulla questione nazionale rischia di far perdere di originalità all'offerta politica della Lega Nord, di disperderne l'efficacia e l'immediatezza inscrivendo la risorsa della "conflittualità permanente" in una battaglia di lungo periodo verso l'indipendenza. La priorità assegnata al micronazionalismo padano, se nel medio periodo non verrà temperata da un riconoscibile sviluppo della via catalana, in grado di contemperare l'ideale indipendentista con la conquista di reali forme di auto-governo territoriale, rischia di privare la Lega Nord oltre che della fiducia degli elettori, come dimostrato dalla sconfitta patita alle elezioni europee del 13 giugno 1999, di un'altra risorsa, la sua grande duttilità, che le ha consentito di cambiare pelle nel corso della sua storia, con un "processo di accumulazione successiva, in cui i nuovi soggetti sociali che facevano il loro ingresso nell'elettorato leghista si affiancavano ai vecchi senza sostituirvisi"103. Il micronazionalismo padano può continuare a risultare vincente per "i tristi" delle "aree tristi"04, che vedono nel radicamento territoriale e nell'enfatizzazione dell'identità le chiavi per opporsi allo spaesamento provocato dal mercato globale. Ma difficilmente la componente liberista del popoìo dei produttori, nel medio periodo, continuerà a riconoscersi in un messaggio micronazionalista, che costringendo la Lega Nord nell'isolamento cancella gli spazi di agibilità politica. Il sostegno indiretto offerto da una parte degli imprenditori veneti al distacco della componente autonomista di Comencini dalla Lega Nord, cosi come il successo della "Lista Bonino" nelle circoscrìzioni elettorali del Nordovest e del Nordest alle elezioni europee del 1999, rappresentano i primi indicatori del potenziale di frattura insito nel progetto micronazionalista padano, declinato con le parole d'ordine della nuova destra. L'immaginata nazione padana, nell'immediato, non fa altro che confermare la contraddizione territoriale del Nord: economicamente centrale, ma politicamente diviso e periferico. Invece di rappresentare il superamento della domanda di federalismo, il micronazionalismo padano ne riattualizza la centralità e l'urgenza.
L'"estremismo di centro"
Il concetto di "estremismo di centro" può aiutare nella ricerca di una definizione in grado di fotografare la collocazione della Lega Nord, partito allineato alle idee della nuova destra sulla questione nazionale, ma che a livello elettorale non attrae residuali frange dell'estrema destra bensì un elettorato tradizionalmente di centro e che sul terreno dell'offerta politica conserva una proposta economica liberista. In Italia lo storico Giovanni De Luna ricorre all'"estremismo di centro" per definire l'azione politica della Lega Nord. Archiviato l'estremismo vecchia maniera, come si era manifestato nel passato nelle sue forme di sinistra e di destra, ormai "di estremismo ce n'è uno solo, quello di centro"105, a cui fanno riferimento soggetti sociali nati negli anni `80, le classi medie, i piccoli e piccolissimi imprenditori. Il dinamismo sociale ed economico, che si è espresso soprattutto in alcune zone geografiche del Nord Italia, ha fatto si che "nel contenitore di centro nascessero i fermenti di rottura più significativi e quindi gli elementi di una deriva estremista più forte, più radicale. [...l Gli estremisti di centro sono stati capaci di trasformare gli "interessi" in "valori". E questi interessi diventano valori importanti nella misura in cui devono essere difesi contro gli altri. Con una forte aggressività. Con accanimento. Proprio osservando questa aggressività possiamo individuare il connotato più significativo di questo estremismo: una concezione perennemente conflittuale della politica”106. La prima formulazione del termine "estremismo di centro" risale al 1930, quando il sociologo liberale Theodor Geiger evidenzia come il nazionalsocialismo dovesse il suo successo elettorale all'appoggio della vecchia e nuova classe media. Nel 1958 l'"estremismo di centro" viene rielaborato dal sociologo americano Seymour Martin Lipset, che estende l'applicazione del termine estremismo, oltre che alla destra e alla sinistra, anche al centro, perché l'analisi dei moderni movimenti di massa consente di riscontrare in ogni strato sociale sia tendenze politiche democratiche, sia estremiste. La sua tesi è che il fascismo non sia da classificare come estremismo di destra, ma del centro, avendo prosciugato, dal 1928 al 1932, l'80% dell'elettorato di partiti liberali del ceto medio. Lipset descrive l'elettore nazionalsocialista del 1932 come autonomo, protestante, appartenente alla classe media che in precedenza aveva votato per i partiti del centro politico, sia che vivesse nelle zone rurali, sia nei piccoli centri. Il voto di protesta era rivolto contro la grande industria e i sindacati. Nel dopoguerra Lipset definisce il movimento poujadista "estremista di centro", movimento degli strati inferiori della classe media. Contro le tasse e la burocrazia, contro gli stranieri e gli ebrei, filonazionalista, queste erano le parole d'ordine del poujadismo. Il movimento nel 1956 ottenne in Francia l'11,7% dei voti; tra i 52 deputati eletti figurava il futuro leader del Fronte nazionale, Jean- Marie Le Pen, che trent'anni dopo riuscirà a riportare in Parlamento una rappresentanza dell'estrema destra. L'esperto tedesco sui movimenti dell'estrema destra Armin Pfahl-Traughber vede nel movimento poujadista l'anticipazione politica dell'odierno populismo di destra che caratterizza partiti come la Lega Nord, il Fronte nazionale, i Freiheitlichen, il Vlaams Blok, i Republikaner. Negli anni `90 l'espressione "estremismo di centro" torna d'attualità nel dibattito politico in Germania, per descrivere due fenomeni: da una parte l'origine sociale degli autori delle aggressioni contro gli immigrati (la maggioranza dei piromani non proveniva dalla periferia emarginata della società, ma erano da considerarsi perfettamente integrati, quindi espressione di un estremismo dei ceti medi)107. Dall'altra parte l'"estremismo di centro" indica la capacità di diffusione e di sconfinamento nel centro politico da parte delle tesi della nuova destra e dei neoconservatori che contrappongono al patriottismo della Costituzione la selbstbezvuf Nation. I fautori del risveglio della nazione tedesca che riacquisti piena consapevolezza di sé, evitando l'isolamento, svolgono una funzione di ponte "fin verso il centro borghese, i partiti e le istituzioni, oli ambasciatori nazionali della nuova destra riescono a trovare fin nei media liberali, se non esplicita approvazione e adesione, almeno tolleranza"108. I sostenitori della selbstbezvuf te Nation109 sono i paladini dell'omogeneità etnica perché "la democrazia presuppone generalmente una determinata omogeneità, lo Stato ha bisogno di legami tra i cittadini fondati sulle emozioni e la tradizione; interessi e regole del gioco non sono sufficienti per la sua tenuta, cosi come la solidarietà tra i cittadini si deve basare sul sentimento del noi"110. La Germania interpretata come Nationalstaat dovrebbe liberarsi del peso del passato e utilizzare appieno la sua riconquistata collocazione geopolitica a difesa dei propri interessi nazionali, contro il processo di americanizzazione. L'opzione renana del dopoguerra e la politica di inteorazio ne europea vengono considerati i cardini di una politica che ha tentato di cancellare la coscienza nazionale. È attribuibile a Edmund Stoiber, il ministro- presidente del potente Land tedesco della Baviera, il maggiore tentativo di rottura rispetto alla collocazione europeista coltivata dalla Germania dai tempi di Adenauer. Nel 1993 Stoiber sostiene che "dopo la riunificazione tedesca la Germania non ha più bisogno dell'Europa e “dobbiamo prendere coscienza di cosa sia l'identità tedesca"111. Intervenendo a un convegno organizzato dalla Friedrich Ebert Stiftung sulla "etnicizzazione dei conflitti sociali", il sociologo Christoph Butterwegge evidenzia come "dalla riunificazione tedesca negli organi culturali consolidati si manifestino apertamente tendenze etnonazionaliste. Sembra quasi che l'estremismo di destra sconfini nel centro. I mass-media popolari non rimangono estranei al fenomeno, ma diventano essi stessi portatori e moltiplicatori di questo processo. Si tratta di una riorganizzazione dell'identità nazionale nella Germania riunificata"112. Un altro ricercatore, Wolfgang Gessenharter, annovera tra gli strumenti della etnicizzazione del dibattito politico-culturale, accanto alla funge Freiheit, due giornali sovraregionali, Die Welt e rispettivamente Die Welt am Sonntag e la Frankfurter Allgemeine Zeitung, come esempi di stampa che sostiene la cosiddetta nuova destra, Anche qui la nazione e lo Stato e non gli individui, la loro libertà e la loro autonomia stanno al centro dell'interesse. Alle élite si chiede di vivere secondo regole convenute e mantenendo alte le tradizioni, e di manifestare senso del dovere. L'efficienza, l'amore per l'Heimat, il patriottismo, il senso dell'onore e della responsabilità sono parole che incontrano presso i ceti dirigenti conservatori nell'economia, nella politica e nell'esercito una risonanza crescente"113. All'idea di Nationalstaat, che presuppone una rinazionalizzazione della politica, si contrappone quella di Staatsnation, la nazione dei cittadini che non trova il suo fondamento nell'identità etnoculturale, ma nel concetto di "patriottismo della Costituzione" riproposto da Habermas, in grado di sviluppare "nello stesso tempo la sensibilità per la molteplicità e l'integrità delle diverse forme di vita coesistenti dentro una società multiculturale"114. La nazione intesa come "nazione delle volontà", non come "comunità nazionale", ma "società civile che cerca di risolvere i suoi problemi e comporre i conflitti sulla base dei diritti universali dell'uomo e rispettando corrispondenti regole"115.
La nuova destra francese
L'inizio del percorso politico della nuova destra francese si colloca negli anni `50, con l'emergere di un "nuovo nazionalismo incentrato sull'idea della rinascita di un'Europa imperiale. Questo nazionalismo europeo costituisce la principale eredità politico-culturale che l'associazione Grece esplorerà simbolicamente""6. L'obiettivo è la rielaborazione di un'idea di nazionalismo in grado di difendere l'identità europea minacciata. De Benoist -indica come fuleri di un nuovo nazionalismo l'etnopluralismo radicale e un forte antiamericanismo. Con l'etnopluralismo la nuova destra riprende una tradizione politico-filosofica rappresentata più fortemente in Germania (Herder, Leibniz) che in Francia, "una tradizione che presuppone connaturato all'umanità un "bisogno di appartenenza" Il Grece viene fondato nel 1968. Il 15 gennaio si insedia a Nizza un segretariato provvisorio, mentre la prima riunione centrale del gruppo dei fondatori si tiene qualche mese dopo, il 4 e 5 maggio 1968 a Lione. Vi prendono parte Alain de Benoist, che utilizza ancora il nome di copertura Fabrice Laroche con cui firmava gli articoli sulle riviste nazionaliste negli anni `60, Jacques Bruyas, JeanJacques Mourreau. Tra gli assenti giustificati Jean-Claude Valla e Dominique Venner. Quest'ultimo figurava tra i dirigenti del mensile Europe Action, organo dell'omonima organizzazione, che teorizzava un "nazionalismo europeo" fondato su un razzismo biologico e inegualitario. Su Europe Action, a cui collabora de Benoist, Dommìque Venner definisce "un grave problema" l'immigrazione di colore in Francia, perché "noi sappiamo che solo l'etnia bianca è alla base della popolazione dell'Europa, che ha permesso un'espansione civilizzatrice" - Jean Mabire, caporedattore della rivista, si proclama fautore di un nuovo nazionalismo che fa suo l'obiettivo della nascita di un'"Europa dei popoli", un'"Europa delle etnie" contrapposta all'"Europa dei tiranni", rispettando "le comunità naturali, regionali, nazionali e continentali". Un nuovo nazionalismo che riprende anche il pensiero di Pierre-Joseph Proudhon, socialista e per Europe Action degno di attenzione in quanto "teorico del federalismo", "profondamente individualista, avversario del liberalismo, dell'oppressione e di tutte le forme di Stato”119. Il pensiero di Proudhon è alla base del federalismo integrale, da cui prende le mosse la dottrina istituzionale del federalismo etnico elaborata da Guy Héraud. Al secondo colloquio del Grece, tenutosi a Parigi il 15 novembre 1969, una delle relazioni, quella tenuta da Paul Sérant, è dedicata alla "Rinascita etnica, la rivincita di Proudhon contro Marx". Il richiamo all'appartenenza a una comunità etnica, con una comunanza di storia e territorio, coniugato a una solidarietà sociale definita "socialista" caratterizza il nuovo nazionalismo di Europe Action, partigiano dell'Europa delle etnie, contemporaneamente "nazionalista e federalista"'120. Nel "Dizionario del militante", pubblicato su Europe Action nel maggio del 1963, mentre l'Occidente risulta essere "una comunità dei popoli bianchi, comunità di cultura", il popolo è interpretato come "un'unità biologica confermata dalla storia" e la "comunità di popoìo" come "un raggruppamento naturale degli uomini di uno stesso popoìo. I legami sono quelli dello stesso sangue, della stessa cultura, dello stesso destino"121. L'unificazione politica dell'Europa, per i nazionalisti del ReI (Rassemblemenì européen de la liberté) è finalizzata alla costruzione di una "comunità di destino", la rivoluzione passa per il realismo biologico e l'amicizia tra le comunità popolari. Quest'ultima, per Édith Gérard, candidata del ReI alle politiche francesi del 1968, si realizza "nel riconoscimento del fatto biologico e nel diritto di ognuno di rimanere fedele alla sua ernia e alle sue tradizioni"122. Pierre-André Taguieff evidenzia l'emergere già alla fine degli anni `60 del "tema differenzialista", che in seguito diventerà l'elemento guida del razzismo modernizzato della nuova destra, con "la riformulazione implicita del "razzismo" nel vocabolario della differenza (riformulazione che tende a soppiantare definizioni basate sull'ineguaglianza e sulla gerarchia) e il correlativo spostamento, sul piano retorico, dall'argomento inegualitario (classico indicatore di "razzismo" secondo la vulgata antirazzista) all'argomento differenzialista, ovvero all'affermazione esclusiva delle "differenze"123. Dalla dissoluzione del Rel, del cui consiglio nazionale aveva fatto parte de Benoist, dissoluzione originata dalla sconfitta elettorale, prendono le mosse tre correnti, tra le quali il Grece. L'originaria concezione della nazione, elaborata da de Benoist nel fascicolo Qu'est-ce que le nationalisme, pubblicato nel 1966, si fondava sul razzismo inegualitario, con l'idea che "solo la razza europea, bianca, caucasoide", a differenza delle altre "stagnanti e quindi in virtuale regressione", come dimostrerebbe la storia, "ha continuato a progredire". Dopo la fondazione del Grece, riprendendo dall'etologia il principio di "imperativo territoriale", de Benoist fa sua la difesa dell'"ambiente naturale", sia esso la casa o la patria, e sottolinea la particolare potenza delle rivendicazioni avanzate dalle ernie e dalle regioni, poiché "hanno radici profonde, mobilitano le energie della disperazione [...]. Risveglio delle regioni e dei nazionalismi eternamente risorgenti. Siano o no fondate queste aspirazioni, resta un fatto: quali che siano, ovunque vivano, gli uomini sono attaccati ad una terra che considerano la loro terra, e sono pronti a battersi per conservarne l'indipendenza e l'integrità"124. I popoli che vengono sradicati dalle loro radici finiscono per alienarsi, le regioni e il regionalismo si profilano nel pensiero dell'ideologo della nuova destra come strumenti per l'affermazione del sentimento patriottico: "Il fatto è che la regione è concretamente quel che la nazione non sempre è, il contesto entro cui si affermano le culture minoritarie. Il regionalismo, l'etnismo, sono nomi moderni dell'eterna rinascita delle patrie carnali"125. De Benoist pone un duplice limite al regionalismo: da una parte critica quello legato alla sinistra, perché coniugando l'appello egualitario al bisogno di radicamento, in realtà darebbe vita a quella omogeneizzazione che provoca il temuto sradicamento. "Si dirà: le ideologie mettono in moto un processo che ben presto saranno incapaci di controllare, e che gli si rivolgerà contro" La previsione sugli effetti del regionalismo di sinistra risulta particolarmente interessante, perché lascia intravvedere come un processo regionalista in chiave etnico-identitaria, pur se sostenuto da forze politiche orientate a sinistra, sia destinato a sfociare in uno spazio politico tipico della destra, quello delle radici e della comunità opposti ai valori dell'universalismo. De Benoist, dopo aver annotato come "il genio dell'Europa è essenzialmente comunitario"127, indica nell'unitarietà dell'Europa il secondo limite a cui deve attenersi il regionalismo, in quanto sarebbe "nocivo" ed "utopico" lo scenario geopolitico di un Vecchio continente articolato attraverso la coesistenza "assolutamente provvisoria" di mini-nazioni indipendenti.
L'etnopluralismo
Alla metà degli anni `70 il Grece abbandona il "realismo biologico" e dell'esperienza dottrinale avviata nel periodo di Europe Action conserva e approfondisce il principio del "diritto alla differenza", con l'idea che i popoli debbano preservare la propria identità. Dal nazionalismo razzialista europeo, precondizione per la nascita di un impero, de Benoist nel corso degli anni `70 sviluppa il nazionalismo differenzialista, alcuni principi del quale erano già presenti nel testo inegualitario del 1966. Infatti dal Qu'est-ce que le nationalisme? emergeva lo sforzo di assolutizzare le differenze, erigendo cosi delle barriere rispetto alla avversata società multiculturale e allo Stato nazionale eterogeneo: "Organizzare, con i diversi gruppi razziali del mondo, una politica di coesistenza pacifica e liberale, che consenta a ciascuno [...l di esprimere le proprie attitudini e doti. Sopprimere, in proporzione, ogni contatto finalizzato alla fusione, all'inversione o allo svolgimento dei dati etnici, o coabitazione forzata di comunità differenti"128. La segregazione etnica può essere legittimata sia attraverso il principio della differenza culturale, sia attraverso quello della diseguaglianza razziale. Taguieff ha ricostruito il modo con cui la nuova destra ha elaborato un razzismo differenzialista su basi culturaliste, modernizzando l'ideologia razzista attraverso la modifica dei concetti guida: dalla razza all'etnia-cultura, dall'ineguaglianza alla differenza, dall'eterofobia all'eterofilia. Nell'intervista a Éléments del novembre 1974 de Benoist si dichiara "contro tutti i razzismi", facendo sua una posizione ascrivibile tradizionalmente alla sinistra. Aggirato grazie a una relativizzazione il nodo della gerarchia delle razze - "Ognuna ha il suo genio particolare E... dobbiamo rassegnarci ad ammettere l'esistenza di una soglia nella comprensione infraculturale E... possiamo dire quindi che ogni razza è superiore alle altre nella messa in opera delle realizzazioni che le sono proprie"129 - l'ideologo della nuova destra si scaglia contro l'antirazzismo egualitarista, accusandolo di essere, al pari delle ideologie razziste, responsabile di genocidi e assassinii etnici. Lo Stato nazionale democratico nato dall'Illuminismo, a differenza della monarchia, in Francia avrebbe distrutto le particolarità regionali, negli Stati Uniti l'integrazione dei negri americani significherebbe la loro sparizione nel melting pot, con la cancellazione della loro specifica identità e "negli effetti, se non nelle intenzioni, un certo antirazzismo si mostra equivalente ai peggiori razzismi, perché sfocia nell'etnocidio, vale a dire nella scomparsa delle ernie in quanto tali"130. La nozione di ernia proposta ricomprende le idee di razza e cultura, definisce lo spirito di un popoìo che si contrappone alla civiltà dell'omologazione prodotta dall'universalismo e dall'egualitarismo. La sopravvivenza delle etnie può essere conseguita solo attraverso lo sviluppo e il radicamento di un "antirazzismo aperto", in grado di "prendere in considerazione le differenze relative esistenti fra gli individui, e che cercasse non di sopprimere queste differenze, ma di farle coesistere in un insieme armonioso e soddisfacente per tutti"131. Il differenzialismo, proposto da de Benoist, si colloca tra il razzismo xenofobo e l'antirazzismo, occupa uno spazio di manovra lasciato libero a causa di quella che Taguieff definisce la debolezza e l'impotenza del discorso antirazzista. La nuova destra nazionalista "tende ad impadronirsi del problema non posto dell'esistenza comunitaria (dall'etnia alla nazione), quindi lo pone alla sua maniera, che il più delle volte include l'immaginario e la retorica della razza"132. Assolutizzando il "diritto alla differenza", cosi come il "rispetto delle differenze" o l'"elogio delle differenze" si prepara una forma moderna di apartheid, che in nome della difesa di comunità etniche naturali mira a separare ciò che in natura non è uguale. il significato di una concezione formalmente antirazzista, ma che stabilendo l'irriducibilità, l'incomparabilità e inassimilabiità dei diversi etnotipi produce un meccanismo di chiusura, lo si comprende prendendo in esame la questione dell'immigrazione. De Benoist, analogamente agli etnofederalisti, giudica pericolosa la convivenza, perché la mescolanza indebolisce un popolo: "Quando due popoli nettamente differenti dal punto di vista etnoculturale convivono, nel momento in cui si oltrepassa un certo li-mite scaturiscono difficoltà di ogni sorta: discriminazione, segregazione, decadimento culturale, delinquenza"133. La tesi del Grece è che lo sviluppo separato dei popoli e il rifiuto della società multiculturale, anche attraverso il ritorno degli immigrati nei paesi di origine, rappresentino i mezzi per evitare conflitti interetnici, razziali. Se per Julius Evola "il razzismo riconosce la differenza e vuole la differenza", la nuova destra francese erge a principio il "ciascuno a casa propria, l'apartheid per tutti. Più furba del solito, questa è la proposta centrale del neorazzismo differenzialista"134. L'appello alla vigilanza, sottoscritto da quaranta intellettuali francesi nell'estate del 1993, con cui si denunciava la pericolosità di una nuova destra con i conti ancora aperti con il razzismo, l'antisemitismo, il fascismo, viene definito da de Benoist espressione del "vecchio metodo di caccia alle streghe maccarthista""'. Relativizzato il significato della sua miliranza iniziale nelle organizzazioni dell'estrema destra ("Ciò accadeva nel contesto molto particolare della guerra d'Algeria" ed è stato l'inizio di una "lunga marcia"), alla critica di Taguieff che indica nel "diritto alla differenza" la forma moderna del razzismo, basato sulla cultura invece che sulla biologia, de Benoist replica sostenendo che non potrebbe esistere un razzismo fondato sulla cultura, in quanto si configurerebbe come un razzismo senza razze, mentre il diritto alle differenze rappresenterebbe "la vera base per un autentico dialogo fra culture, dove ognuna può arricchire l'altra" e "sottolinea la necessità di riconoscere la dimensione collettiva dell'identità e il fatto che ogni teoria basata sull'idea astratta di un io libero da legami è errata"136.
NOTE
1 A. de Benoisr, L'impero interiore, Firenze, Ponte alle Grazie, 1996, p. 173. 2 L. Pauwels, "Il lungo cammino dopo Maasìricht: dalla Cee all'impero federale europeo", in Diorama letterario, n. 171, sertembre 1993, p. 19. D. Durando, "Dalla riscoperra delle "piccole patrie" alla grande federazione dei popoli d'Europa", in Diorama letterario, n. 171, settembre 1993, p. 3. 3 A. Melucci - M. Diani, Nazioni senza Stato, Milano, Feltrinelli, 1992, pp. 194-195. "Per una Padania libera in una libera Europa", tesi congressuale, terzo Congresso ordinario della Lega Nord, Milano, 14-16 febbraio 1997, pp. 2-3. 6 f. Diamanti, Il male del Nord, Roma, Donzelli, 1996, p. 49. G. Miglio - M. Veneziani, Padania, Italia, Firenze, Le Lettere, 1997, p. 68. Ivi, p. 68. L. Balbo - L. Manconi, I razzismi possibili, Milano, Feltrinelli, 1990, p. 75. `~ G. Faye, Il sistema per uccidere i popoli, Milano, Barbarossa, 1997, p. 182. 12 A. de Benoist, Demokratie: das Problem, Thbingen, Grabert, 1986, p. 115. 13 U. Bossi, Il mio progetto, Milano, Sperling & Kupfer, 1996, p. 23. 14 W/elt am Sonntag, 23 giugno 1996. ~ Ivi, p. 53. 16 PA. Taguieff, "Dalla razza alla cultura: la concezione dell'identità europea della Nuova Destra", in Diorama letterario, n. 205, giugno-luglio 1997, p. 43. 17 A. de Benoisr, "Il populismo", in Diorama letterario, n. 194, maggio-giugno 1996, p. 9. 18 Costituzione transitoria, in Lega Nord, anno XIY n. 34, 16 settembre 1996. 19 "Per una Padania libera e antagonista all'omologazione", tesi congressuale elaborata dal Dipartimento Affari esteri, Congresso straordinario della Lega Nord, Milano, 27-29 marzo 1998, p. 7. 20 A. de Benoist, "L'idea di Impero", in Trasgressioni, n. 13, gennaioaprile 1991, p. 18. 21 A. Giddenì, Oltre la destra e la sinistra, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 102-103. 22 Ivi, p. 157. 23 IlMan~/esto, 15 dicembre 1993. 24 La Padania, 2 aprile 1999. 23 La Padania, 6 aprile 1999. 26 Ibidem. 27 La Padania, 27 settembre 1997. 28 Brenno, "Noi Celti e Longobardi", in Quaderni padani, n. 12, luglio. agosto 1997, p. 2. 29 Ivi, p. 2. 30 A. de Benoist, "Vòlker brauchen Grenzen", in funge Freiheit, n. 48, 1996. 31 U. Bossi, Processo alla Lega, Milano, Speding & Kupfer 1998, p. 172. 32 p Grel3, H.G. Jaschke, K. Schònekàs, Neue Rechte und Rechtsextremiin Europa, Opladen, Wesrdeurscber Verlag, 1990, p. 295. ~ M. Borghezio, Il nostro etnoplnralismo, in Aa. Vv., Interventi Lega, Ve. rona, Edizioni del Nord, 1993, p. 39. ~ La Padania, 5 dicembre 1997. 36 "Sul principio della differenza", in Terra del Fo, agosto 1997. - G. Mussa (a cura di), "Padania, identità e società multirazziali", in Enti locali padanifederali, n. TI, 1998, p. 14. ~ PA. Taguieff, "Dalla razza alla cultura: la concezione dell'identità europea della Nuova Destra", in Diorama letterario, n. 205, giugno-luglio 1997, p. 49. "Per una Padania libera in una libera Europa", tesi congressuale, terzo Congresso ordinario della Lega Nord, Mdano, 14-16 febbraio 1997, pp. 4-5. 40 M. Wieviorka, Lo spazio del razzismo, Milano, flSaggiatore, 1993, p. 174. 41 P. Piccone, "La crisi del liberalismo e l'ascesa del populismo federale", in Trasgressioni, n. 18, p. 115. 42 Ivi, p. 127. `~ Ivi, p. 128. ~ Vedi A. Pfahl-Traughber, Rechtspopulistische Parteien in Westeuropa, in E. fesse (a cura di), Politischer Extremismus, Mùnchen, Bayerische Landeszentrale fiir politische Bildungsarbeit, 1993; A. Pfahl-Traughber, Volkes Stimme?, Bonn, Dietz, 1994; A. Osterhoff, Die Euro-Rechte: zur Bedeutung des Europaparlaments bei der Vernetzung der extremen Rechten, Mùnster, Unrast, 1997; H.G. Betz, "Rechtspopulismus: eìn mternationaler Trend?", in Aus Politik und Zeitgeschichte, n. 9-10, 1998. `~ M. Revelli, "Il nero muove, vince e spacca", in Il Manifesto, 28 novembre 1993. 46 M. Revelli, "La nuova destra", in Iride, n. 18, maggio-agosto 1996, ristampato in Diorama letterario, n. 206, agosto-settembre 1997, p. 53. `~ D. Cofrancesco, Fascismo: destra o sinistra?, in Bracher - Valiani (a cura di), Fascismo e nazionalsocialismo, Bologna, fl Mulino, 1986, pp. 67-68. 48 P. Ignazi, L'estrema destra in Europa, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 19. ~ A. de Benoist, "L'Europa oltre Maastricht", in Diorama letterario, n. 164, gennaio 1993, p. 4. 50 R. Steuckers, "Verso l'unità europea attraverso la rivoluzione regionale?", in Diorama letterario, n. 171, settembre 1993, p. 42. 51 M. De Wet, "Aufstand der Regionen", in funge Freiheit, n. 30, 1997. 52 ~ Diamanti, "Padania: due obiettivi nella strategia di Bossi", in lì Sole-24 Ore, 18 febbraio 1997. ~ funge Freiheit, n. 39, 1996, pi. ~ Ibidem. " Junge Freihoit, n. 38, 1996, p. 8. 56 P. P. Rainer, "Italienische Sùdtirol-Politik seit der Streitbeilegungserkliirung von 1992", in Aula, o. 6, 1996, p. 29. ~ Il primo paragrafo della tesi congressuale "Per una Padania libera in una libera Europa", elaborata dal "Dipartimento Affari esteri in collaborazione con i membri della Consulta Esteri", si intitola esplicitamente "Risveglio dei popoli e etnofederalismo europeo". ~ G. Héraud, Die Prinzo~>ion dos Fòdoralismus und die Europdische Fiideration, Miinchen, Intereg, 1978, p. 64. ~ L. Roemheld, Intograler Fòderalismus, Miinchen, V~igle, 1977, voi. 1, p. 14. ~ G. Héraud, Contro los États les Régions d'Europe, Nice, Presses D'Europe, 1973, p. 17. 61 G. Héraud, "Le comunità linguistiche alla ricerca di uno statuto", in Foderalismo & Sociot4, n. 2,1996, p. 47. ~ Ivi, p. 19. 63 G. Hermet, Nazioni e nazionalismi in Europa, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 126. ~ D. Gerdes, "Frankreich - "Vielviilkerstaat" vor dem Zerfalì?", in Aus Politik und Zeitgeschichte, n. 12, 1980, p. 7. 65 S. Breuer, La rivoluzione conservatrice, Roma, Donzelli, 1995, p. 70. 66 G. Héraud, Ein Europa der Véilker und Regionen, in J. Hatzenbichler - A. Mòlzer (a cura di), Europa der Regionen, Graz, Stocker, 1993, p. 29. 67 D. Gerdes, "Frankreich - "Vielvòlkerstaat" vor dem Zerfali?", in Aus Politik und Zeitgeschichte, o. 12, 1980, p. 8. 68 G. Héraud, "Le comunità linguistiche alla ricerca di uno statuto", in Federalismo & Societ~i, n. 2, 1996, p. 47. 69 A.D. Smith, Le origini etniche delle nazioni, Bologna, Il Mulino, 1992, pp. 74-74. 70 G. Héraud, Ein Europa der Vòlker und Regionon, in J. Hatzenbichler - A. Mòlzer (a cura di), Europa der Regionen, Graz, Stocker, 1993. pp. 28-31. " G. Héraud, "Une approche humaniste de la question nationale, réponse à M. Dirk Gerdea", in Europa Ethnica, 1984, p. 199. 72 G. Héraud, Ein Europa der Vòlker und Regionen, in J. Hatzenbichler -A. Mòlzer (a cura di), Europa der Regionon, Graz, Stocker, 1993, p. 37. ~ G. Héraud, Die Prinzipien dos Fòderalismus und die Europiiische Fi5de-ration, MOnchen, Intereg, 1978, p. 48. G. Héraud, Ethnischer Ftderalismus - Zur Vermeidung ethnischer Konflikte, E. Esterbaner - G. Héraud - E. Pernrhaler in (a cura di), Fòderalismus als Mittel permanenter Konfliktregelung, Wien, Braumùller, 1977, p. 81. 76 G. Héraud, Dio Prinzz"ien dos Fdderalismus und dio EuropàYsche Fòdoration, Mùnchen, Inrereg, 1978, p. 53. ~ Ivi, p. 48. 78 G. Héraud, "Le comunità lingulstiche alla ricerca di uno statuto", in Federalismo & Societtì, n. 2, 1996, p. 66. ~ G. Fìéraud, Introduction a l'ethnopolitiqne, in Contre los Etats Los Régions d'Europe, Nice, Presses d'Europe, 1973, pp. 29-30. ~ G. Héraud, Dio Prinzipien dos Fiideralismus und dio Europdische FiSderation, Miinchen, Inrereg, 1978, p. 50. ~` G. Héraud, Ein Europa der Vdlker und Regionen, in J. Hatzenbichler -A. Mòlzcr (a cura di), Europa der Regionen, Graz, Stocker, 1993, p. 32. 82 G. Héraud, Ethnischer Fdderalismus - Zur Vormeidung ethnischerKon flikte, in E Esterbauer - G. Héraud - E Pernthaler (a cura di), F5dera- lismus als Mittei permanenter Konfliktregelung, Wien, Braumi.iller, 1977, p. 82. ~ A.D. Smith, Le origini etniche delle nazioni, Bologna, Il Mulino, 1992, p. 47. 84 D. Gerdes, "Frankreich - "Vielvàlkersraar" vor dem Zerfall?", in Aus Politik und Zeitgoschichte, n. 12, 1980, p. 9. 85 Vedi capitolo IV, "L'internazionale etnonazionalisra". 66 Ibidem.87 A cura di T. Veiter, Fédéralismo, régionalisme et droit dos groupos ethniquos en Europe; Wien, Braumilller, 1989, p. VIII. ~ PA. Taguieff, Sur la Nouvelle droite, Paris, Descartes & Cie, 1994, p. 171. 89 R Dahrendorf, Perché l'Europa?, Bari, Laterza, 1997. p. 55. 90 A. Vitale, "Nazioni per consenso", in Federalismo & Società, n. 3,1997, pp. 80-81. 91 Vedi, M.N. Rothbard, Per una nuova libertà, Macèrata, Liberlibri, 1996; N. lannello, C. Lottieri (a cura di), Nazione, cos'à, Treviglio, Leonardo Facco, 1996. 92 Ivi, p. 91. ~ B. Maggi, "Libere comunità in libero mercato", in Quaderni padani, n. 11, maggio-giugno 1997, p. 7. ~ C. Lottieri, "Interpretazioni della Padania", in Federalismo & Società, n. 3, 1997, p. 57. ~ Comizio di Umberto Bossi, Ponte di Legno, 17 agosto 1996. 96 I. Diamanti, La Lega. Dalfedoralismo alla secessione, in R. D'Alimonte - D. Nelken (a cura di), Politica in Italia - Edizione 1997, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 92. ~ Vedi sondaggio elettorale curato da Renato Mannheimer, su Corriere della sera, 1~ febbraio 1999. 98 R. Biorcio, "La Lega dal federalismo all'indipendentismo", in Chiodi di Nuvole, quaderno monoremarico su "Sfida leghista equivoco federalista", settembre-dicembre 1996, p. 19. ~ R Biorcio, La Padania promossa, Milano, Il Saggiarore, 1997, p. 235. 180 P.F. Poggio, Il naturalismo sociale e l'ideologia della Lega, in G. De Luna (a cura di), La Lega 1979-1993, Firenze, La Nuova Italia, 1994, p. 158. 101 I. Diamanti, La Lega, Roma, Donzelli, 1993, p. 42. 102 Ivi, p. 5. 183 G. De Luna (a cura di), La Lega, Firenze, La Nuova Italia, 1994, p. 10. 104 Vedi, A. Bonomi, Alle origini del movimento: La Lega lombarda tra cosmopolitismo e localismo in ivi ~ Intervista diR. Armeni a G. De Luna, in l'Unità, lì agosto 1997. 106 Ivi. 187 Secondo uno studio condotto dall'università tedesca di Treviri analizzando 1398 segnalazioni della polizia su aggressioni contro stranieri emerge come il campione analizzato staristicamente fosse caratterizzato da "giovani che disponevano di un regolare titolo di studio e qualificazione lavorativa, nonché di un posto di lavoro o di studio sicuri [...]. La xenofobia e il potenziale di delinquenza e di violenza ad essa collegati, non riguardano quindi solo il gruppo dei disgregati e declasasti sociali". G. Spann, "I giovani e l'estremismo di destra", in Aa. Vv., Estremismo di destra e "revisionismo": il caso austriaco, Trieste, Qualestoria, anno XXIV, n. 1, 1996, p. 86. ~ H.M. Lohmann, Von der Gesellschaft zur Nation - oin doutscher Sonderweg, in H.M. Lohmann (a cura di), Extremismus der Mitte, Frankfurt am Main, Fischer 1994, p. 18. 109 Vedi R. Zirclmann, Position und Begriff lilber oine neuo demokratische Rechte, in H. Schwilk - U. Schacht (a cura di), Dio selhstbewaj?te Nation. Anschwellender Bocksgesang und Weitero Beitrdge zu einer deutschen Debatte, Frankfurt am Main, Ullstein, 1994. 110 B. Suror, "Nationalbewui3rsein und universale politische Ethik", in Aus Politik und Zeitgeschichte, n. 10, 1995, p. 3. ììì Siiddeutsche Zeitung, 22 novembre 1993. 112 C. Buìterwegge, Migrant(inn>en und Massenmedien, in Ethnisierung gesellschaftlicher Konflikte, Bonn, Friedrich Ebert Sriftung, 1996, pp. 62-63. 113 Ivi, p. 65. 114 J~ Habermas, Morale, diritto, politica, Torino, Einaudi, 1992, p. 116. 115 B. Sutor, "Nationalbewulltsein und universale polirische Ethik", in Aus Politik und Zeitgeschichte, n. 10, 1995, p. 3. 116 P.A. Taguieff, Sur la Nouvelle droite, Paris, Descartes & Cie, 1994, p. V. 117 Ivi, p. IX. 118 Europe Action, n. 38, febbraio 1966, p. 10. 119 Europe Action, n. 5, maggio 1963, p. 75. 120 P.A. Taguieff, Sur la Nouveie droite, Paris, Descartes & Cie, 1994, p. 133. 121 Ivi, p. 12-13. 122 Ibidem. 123 PA. Taguieff, La forza del pregiudizio, Bologna, Il Mulino, 1994, p. lì. 124 A. de Benoist, Le idee a posto, Napoli, Akropolis, 1983, p. 141. 125 Ivi, p. 145. 126 Ivi, p. 146. 127 Ivi, p. 147. 128 A. de Benoist, Qu'est-ce que lo nationalisme?, 1966, p. 13. 129 A. de Benoist, Le idee a posto, Napoli, Akropolis, 1983, pp. 150- 151. 138 Ivi, p. 152. 131 Ivi, p. 153. 132 PA. Taguieff, La forza del pregiudizio, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 416. 133 A. de Benoist, Lo idee a posto, Napoli, Akropolis, 1983, p. 159. `~ PA. Taguieff, La forza del pregiudizio, Bologna, fl Mulino, 1994, p. 421. 135 Intervista ad A. de Benoist, in Diorama letterario, n. 206, agosto-settembre 1997, p. 21. 136 Ivi, p. 25.
(Saggio tratto dal sito Patchanka.it)
Bruno Luverà, inviato e giornalista parlamentare del Tg1. Si alterna con Marco Frittella, come notista politico dell'edizione delle 13:30 e/o delle 20:00 del Tg1. Libero docente di giornalismo all'Università Iulm di Milano, al master diretto dal professor Angelo Agostini, collabora con la Facoltà di sociologia dell'Università di Urbino, corso di "Comunicazione politica e opinione pubblica", diretto dal professor Ilvo Diamanti. Esperienza professionale cominciata a Radio Radicale, nel 1982. Dal 1983 al 1989 vicedirettore. Nel 1989 si trasferisce a Bolzano, al quotidiano "Il Mattino dell'Alto Adige". Inviato nel novembre del 1989 a Berlino in occasione della caduta del muro. Collabora con "L'Espresso", il "Corriere della Sera". Dal gennaio 1993 giornalista della Rai, Tgr, sede di Bolzano. Dal 1995 giornalista parlamentare del Giornale Radio Rai. Dal gennaio 1999 nella redazione politica del Tg1. Nel 2002 vincitore del premio giornalistico Saint Vincent, con il servizio televisivo sul G8 di Genova. Dirigente sindacale (2003-2005 nella segreteria nazionale dell'Usigrai). Autore di saggi Oltre il confine. Regionalismo europeo e nuovi nazionalismi in Trentino Alto Adige. (1996), I confini dell'odio. Il nazionalismo etnico e la nuova destra europea. (1999), Il Dottor H. Haider e la nuova destra europea. (2000), La trappola. Controinchiesta sui fatti di Genova e sul movimento globale. (2002).
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