(…) Bruscamente la luce elettrica ritornò e Tonder automaticamente allungò il braccio e spense le due lampade a benzina. Il sibilo scomparve.
Tonder disse:
“ Sia lodato Iddio! Quel sibilo cominciava a rovinarmi il sistema nervoso. Sembra che qualcuno sussurri in continuazione.” Piegò la lettera che aveva scritto e disse: “ E’ strano che non arrivino lettere in numero maggiore. Ne ho ricevuto solo una in quindici giorni”.
“ Forse perché nessuno ti scrive” disse Prackle.
“ Forse.” Tonder si rivolse al maggiore: “Se qualcosa dovesse accadere… a casa, intendo… credete che ce lo farebbero sapere? Qualche cattiva notizia, intendo, la morte di qualcuno o qualche cosa del genere?”
“Non saprei” rispose Hunter.
“Bene” continuò Tonder “non vedo l’ora di uscire da questo buco maledetto!”
“Come, non volevi stabilirti qui dopo la guerra?” fece Prackle; e imitando la voce di Tonder: “Riunire quattro cinque fattorie. Se ne potrebbe fare un bel posticino, una specie di feudo di famiglia. Non era così? Volevi diventare un piccolo castellano della valle, no? Gente simpatica e gentile, bei prati, cervi, bambini. Non la vedevi così, Tonder?”.
Mentre Prackle parlava, le mani di Tonder erano cadute sulla tavola. Quindi egli si strinse le tempie e disse tutto eccitato:
“Piantala! Non parlare così. Questa gente! Questa gente orribile! Questa gente fatta di ghiaccio, che non ti guarda mai.” Rabbrividì. “Non parlano mai. Rispondono come morti. Obbedisce, questa gente orribile. E le ragazze sono di gelo!”
S’udì battere discretamente alla porta e Giuseppe entrò con un secchiello di carbone. Attraversò silenziosamente la stanza e depose il secchiello con tanta attenzione che non fece il minimo rumore; quindi si voltò senza alzare gli occhi su nessuno e ritornò verso la porta. Prackle chiamò ad alta voce:
“Giuseppe!”
Giuseppe si voltò, senza rispondere, senza alzare gli occhi e fece un lievissimo inchino. E Prackle disse ancora ad alta voce:
“C’è del vino o dell’acquavite?”
Giuseppe scosse il capo.
Tonder si alzò di scatto dalla tavola, la faccia stravolta di rabbia, e urlò:
“Rispondi, porco! Rispondi a parole!”
Giuseppe teneva sempre gli occhi bassi. Disse con voce monotona:
“No, signore; no, signore, non c’è vino.”
E Tonder domandò furiosamente:
“E neppure acquavite?”
Con lo sguardo sempre rivolto a terra, Giuseppe rispose con la stessa voce monotona:
“Non c’è acquavite, signore.”
Se ne stava perfettamente immobile.
“Che cosa vuoi?” disse Tonder.
“Voglio andare, signore.”
“E va’, maledizione!”
Giuseppe si voltò e uscì silenziosamente e Tonder si tolse un fazzoletto di tasca e si asciugò la faccia. Hunter lo guardò:
“Non dovresti farti dominare da lui così facilmente.”
Tonder sedette di nuovo, e presasi la testa tra le mani disse con voce rotta:
“Voglio una ragazza. Voglio tornare a casa. C’è una ragazza in questa città, una bella ragazza. La vedo continuamente. E’ bionda, abita presso il magazzino di ferri vecchi. Voglio questa ragazza.”
Prackle disse:
“Sorvegliati. Sorveglia i tuoi nervi.”
In quell’istante la luce elettrica si spense ancora e la stanza fu immersa nelle tenebre. Hunter si mise a parlare mentre alcuni fiammiferi venivano accesi e un tentativo veniva fatto di riaccendere le lampade a benzina. Disse:
“Credevo di averli arrestati tutti. Devo averne lasciato fuori uno. Ma non posso correre laggiù tutti i momenti. Ho degli uomini in gamba, laggiù.”
Tonder accese la prima lampada e poi anche l’altra, e Hunter parlò severamente a Tonder:
“Tenente, parla con noi se hai bisogno di sfogarti. Non farti sentire dal nemico a parlare così. Non c’è nulla che questa gente ami di più del sapere che i tuoi nervi non reggono più. Non farti sentire dal nemico.”
Tonder sedette di nuovo. La luce gli illuminava crudamente il volto e il sibilo riempiva ancora la stanza. Egli disse:
“Ecco! Il nemico è ovunque! Ogni uomo, ogni donna, perfino i bambini! Il nemico è da per tutto! Le loro facce spiano di sulle soglie. Le facce bianche dietro le tendine, in agguato, in ascolto. Li abbiamo battuti, abbiamo vinto da per tutto, ed essi attendono e obbediscono, e attendono. Metà del mondo è ormai nostra. E’ lo stesso negli altri paesi, maggiore?”
Hunter disse:
“Non so.”
“E’ un fatto” riprese Tonder. “ Non lo sappiamo. I bollettini dicono che tutto è nelle nostre mani. I paesi conquistati acclamano le nostre truppe, acclamano l’Ordine Nuovo.” La sua voce cambiò, sino a farsi sempre più molle. “E che cosa dicono i bollettini di noi? Dicono che siamo acclamati, amati, che fiori vengono gettati sul nostro cammino? Oh, questa orribile gente che aspetta nella neve!”
Hunter disse:
“Ora che te lo sei levato dallo stomaco, ti senti meglio?”
Prackle aveva battuto fino a quel momento il pugno destro, dolcemente, sul tavolo; disse ora:
“Non dovrebbe parlare così. Dovrebbe tenere certe cose per sé. E’ un soldato, no? E allora sia un soldato.”
La porta si aprì senza rumore e il capitano Loft entrò, l’elmetto coperto di neve, le spalle coperte di neve. Aveva il naso rosso, intirizzito, e il bavero del cappotto gli saliva fino alle orecchie. Si tolse l’elmetto e la neve cadde per terra ed egli si spazzò le spalle con le mani.
“Che faccenda!” disse.
“Altri guai?” domandò Hunter.
“Sempre guai. Vedo che hanno rovinato ancora la vostra dinamo. Bene, credo di avere sistemato la miniera per un bel po’.”
“Che cosa è successo?” domandò Hunter.
“Oh, il solito: il lavoro che procede sempre con una lentezza esasperante e un altro vagone messo fuori uso. Ho colto sul fatto il sabotatore, però, e l’ho freddato con un colpo di rivoltella. Ma ora, maggiore, credo proprio di aver trovato la cura adatta. Farò scavare a ogni minatore una data quantità di carbone. Non posso affamare gli uomini, perché non mi lavorerebbero più, ma ho trovato il sistema. Se il carbone non salta fuori nella quantità stabilita, niente cibo per le famiglie. Faremo mangiare gli uomini nella miniera, così che non potranno dividere la propria razione con le famiglie. E’ un sistema che dovrebbe riuscire efficace. O lavorano, o i loro bambini non mangiano. Li ho già avvertiti.”
“E loro che cosa hanno detto?”
Gli occhi di Loft si socchiusero ferocemente.
“ Che cosa hanno detto ? Che cosa dicono mai? Nulla. Nulla assolutamente! Ma vedrete che il carbone verrà fuori.” Si tolse il cappotto e lo scosse , e i suoi occhi caddero sulla porta che dava nel corridoio e vide che si era lievemente dischiusa.
Vi si avvicinò in punta di piedi, la spalancò e la richiuse. “Credevo di averla chiusa bene” disse.
“Infatti” osservò Hunter.
Prackle continuava a voltar le pagine del giornale illustrato. La sua voce era tornata normale.
“Questi sono i cannoni giganti che abbiamo sul fronte orientale” disse. “Io non ne ho mai visto uno. E voi, capitano?”
“Io sì” disse Loft. “Li ho visti anche sparare. Sono meravigliosi. Nulla può resistere al loro tiro.”
Tonder disse:
“Capitano, ricevete molte notizie da casa?”
“Abbastanza” disse Loft.
“Va tutto bene laggiù?”
“A meraviglia. I nostri eserciti avanzano su tutti i fronti.”
“Gli inglesi non sono ancora battuti?”
“Sono battuti in ogni scontro.”
“Ma continuano a combattere?”
“Qualche incursione aerea, niente di più”
“E i russi?”
“Sono quasi alla fine.”
Tonder insistette:
“Ma combattono ancora?”
“Qualche schermaglia, nulla più.”
“Allora noi abbiamo quasi vinto, non è vero, capitano?”.
“Sì.”
Tonder lo guardò attentamente e poi:
“Voi ci credete, non è vero, capitano?”
Prackle s’intromise:
“Non lasciatelo ricominciare!”
Loft guardò tutto accigliato Tonder.
“Non capisco che cosa tu voglia dire.”
“Questo voglio dire” rispose Tonder. “Torneremo a casa fra non molto, vero?”
“Bene, la riorganizzazione richiederà un certo tempo” disse Hunter. “L’Ordine nuovo non può essere stabilito in un giorno, non ti pare?”
Tonder disse:
“Ci vorrà forse tutta la nostra vita?”
“Non lasciatelo ricominciare!” ripeté Prackle.
Loft venne vicinissimo a Tonder e disse:
“Tenente, non mi piace il tono delle tue domande. Non mi piace il tono del dubbio.”
Hunter alzò il capo.
“Non essere duro con lui” disse. “E’ stanco. Tutti noi siamo stanchi.”
“Bene, sono stanco anch’io” rispose Loft “ma non mi lascio prendere da dubbi proditori.”
Hunter disse:
“Non maltrattarlo, ti dico! Sai dove sia il colonnello?”
“Sta redigendo il suo rapporto. Chiede rinforzi” rispose Loft. “E’ un’impresa più grande di quanto credessimo.”
Prackle domandò tutto eccitato:
“E li avrà, i rinforzi?”
“Come posso saperlo?”
Tonder sorrise.
“Rinforzi!” disse dolcemente. “O forse truppe di avvicendamento. Forse potremo andarcene a casa per un po’.” E con un altro sorriso: “Forse potrò passeggiare per la strada e la gente mi dirà: “Salve!” e poi: “È un soldato” e mi invidieranno, già, e mi invidieranno. E avrò amici intorno, e potrò voltare le spalle a un uomo senza preoccuparmi”.
“Non ricominciare!” disse Prackle. “Non lasciategli perdere ancora il controllo!”
Loft disse con tono disgustato:
“Abbiamo già abbastanza guai, senza che gli ufficiali del Comando impazziscano.”
Ma Tonder continuò:
“Credete davvero che ci sarà l’avvicendamento, capitano?”
“Io non ho detto nulla di simile.”
“Ma avete detto che avrebbe anche potuto essere.”
“Ho detto che non lo sapevo. Senti, tenente, abbiamo conquistato metà del mondo. Dobbiamo presidiarlo per un po’. Lo sai benissimo.”
“Ma… e l’altra metà!” chiese Tonder.
“Continuerà a combattere senza speranza per qualche tempo.”
“Quindi noi dobbiamo essere sparsi per tutto il mondo.”
“Per qualche tempo” disse Loft.
Prackle disse nervosamente:
“Vorrei che lo faceste tacere. Perché non lo fate tacere? Fate che la pianti.”
Tonder tirò fuori il fazzoletto e si soffiò il naso; parlava come un uomo un po’ svanito. Rise con aria impacciata e disse:
“Ho fatto un sogno buffo. Immagino che fosse un sogno. Forse era un pensiero. Forse un pensiero o un sogno.”
“Fatelo smettere, capitano!”
Tonder disse:
“Capitano, questo paese è conquistato?”
“Certo” disse Loft.
Una vibrazione isterica apparve nel riso di Tonder. Disse:
“E’ conquistato e noi abbiamo paura; conquistato e noi siamo assediati.” Il suo riso si fece acuto. “Ho fatto un sogno… o forse era un pensiero… fuori, nella neve, con le ombre nere e le facce sulle soglie, le fredde facce dietro le tendine. Ho fatto un sogno, o un pensiero.”
“Fatelo smettere” disse Prackle.
Tonder disse:
“Ho sognato che il Capo era pazzo.”
E Loft e Hunter risero insieme e Loft disse:
“Il nemico si è accorto di quanto sia pazzo. Voglio scrivere questo a casa. I giornali lo stamperanno. Il nemico ha scoperto quanto il Capo sia pazzo.”
E Tonder continuò ridendo:
“Una conquista dopo l’altra, e noi sempre più dentro il vischio…” La risata lo soffocò, e tossì nel fazzoletto. “Forse il Capo è pazzo. Le mosche conquistano la carta moschicida. Le mosche occupano duecento miglia di nuova carta moschicida!”
La sua risata si faceva sempre più isterica.
Prackle si sporse verso di lui e lo scosse con la destra.
“Piantala! Piantala, ti dico! Non hai il diritto di parlare così.”
A poco a poco Loft riconobbe la nota isterica in quel riso e avvicinandosi a Tonder gli dette uno schiaffo sulla guancia. Disse:
“Tenente, smettila!”
Tonder continuò a ridere e Loft lo schiaffeggiò ancora e disse:
“Smettila, tenente! Mi senti?”
Bruscamente, il riso di Tonder cessò e la stanza rimase silenziosa, a eccezione del sibilo delle lampade. Tonder si guardò stupido la mano e si toccò la guancia indolenzita con la mano e si guardò ancora la mano e chinò la testa sulla tavola.
“Voglio andare a casa” disse. (…)
(Brano tratto da La luna è tramontata. Traduzione di Giorgio Monicelli – Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1999.)
John Ernst Steinbeck (Salinas, 27 febbraio 1902 – New York, 20 dicembre 1968) è stato uno scrittore statunitense tra i più noti del XX secolo, autore di numerosi romanzi, racconti brevi e novelle. Fu per un breve periodo giornalista e cronista di guerra nella seconda guerra mondiale. Nel 1962 gli fu conferito il Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: "Per le sue scritture realistiche ed immaginative, unendo l'umore sensibile e la percezione sociale acuta".
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