Sopra le ali di pollo fumanti c’è appeso un cartoncino scritto a mano che dice: LA VITA E’ QUELLO CHE TI SUCCEDE MENTRE PENSI AD ALTRO. Il cartello pieno di schizzi gira lentamente sotto i raggi arancioni delle lampade a infrarossi. Una musica apocalittica in sottofondo mugola dagli altoparlanti nascosti. Rintanato dietro il banco un ragazzo anemico tutto pelle e ossa, col cappellino calcato in testa da cui sventolano due orecchie rosa lanuginose. Con più anelli che la riloga di una tenda, manco ce li avesse messi una punzonatrice per bovini.
Sul cappellino nero c’è ALI; in bianco. Il ragazzo pelle e ossa è alle prese con la tastiera del computer e il telefono allo stesso tempo, pesta rumorosamente sui tasti marrone e tiene il telefono contro la spalla. Squilla un altro telefono accanto a lui per un’ordinazione da asporto e una ragazza con lo stesso cappellino, una coda di cavallo che sventola di dietro, corre verso il ragazzo pelle e ossa facendo cadere per terra il telefono. “Merda!” dice e annaspa per raccoglierlo; lo prende e se lo incolla all’orecchio. Dal telefono esce un ronzio, il suono di quando manca la linea. Lei sbatte giù la cornetta.
“Posso aiutarla?” mi chiede.
“Sì, vorrei ordinare dieci ali, per favore.”
“Che salsa?”
“Che cosa c’è?” Mi lancia un’occhiata esasperata come se fosse troppo indaffarata per vedersela con uno che non conosce la procedura.
“E’ tutto là su quella mensola gialla” dice. “Normale. Piccante e Piccante Piccante.”
“Piccante Piccante?” faccio io.
“Piccante Piccante. Piccante doppio.”
“Piccante.”
“Bene” fa lei, poi scarabocchia l’ordine e lo passa ad altri due tipi pelle e ossa con cappellino nero e un lungo grembiule nero che stanno ai cestelli delle friggitrici.
“Chi l’ha scritto il cartello?” chiedo alla ragazza.
“Prego?”
“Chi è che ha scritto quel cartello, appeso sopra i polli?”
“Non saprei proprio” risponde lei, ancora più scocciata che richieda la sua attenzione per qualcosa che esula dalle sue mansioni.
“Mi piacerebbe conoscerlo.”
“Chi?” dice incredula.
“La persona che ha scritto il cartello.”
“Io non lo so chi ha scritto il cartello” fa lei lamentosa.
“C’è nessuno che lo sa?” A questo punto lei gira il poderoso sedere verso i due friggitori pelle e ossa, strusciandomi la coda di cavallo sul naso.
“Qualcuno sa chi ha scritto questo cartello? C’è qui un tipo che lo vuole sapere.”
“Cosa?” dicono i friggitori praticamente all’unisono, scuotendo le mie ali nell’olio sfrigolante e salando e pepando il tutto con enormi contenitori d’acciaio.
“Chi ha scritto il cartello appeso qui? Questo tipo lo vuole sapere.”
“Io no” dice uno di loro scaricando le mie ali bisunte in un cartoccetto bianco mentre l’altro ci rovescia sopra una sostanza rossa gelatinosa. La ragazza torna a girarsi verso di me.
“Da bere?” chiede.
“Coca” dico io. “Una Coca piccola.”
“Una Pepsi va bene lo stesso?”
“Non c’è altro?”
“Non c’è altro.”
“Va bene” faccio io e lei mi mette davanti un bicchiere vuoto, poi fa scivolare il cartoccio di ali rosse sul bancone.
“Fanno tre e quarantasette” dice.
“Quindi nessuno sa chi ha scritto quel cartello?” insisto cercando il portafogli.
“Proprio così. A quanto pare non lo sa nessuno.”
“Magari è stato uno di un altro turno?”
“Può darsi.”
“Mi piacerebbe parlare a quella persona, se è possibile” le dico porgendole una banconota da dieci tutta ciancicata.
“Come mai?”
“Mi piacerebbe capire se la persona che ha scritto quel cartello poi lo mette in pratica o invece parla a vanvera.”
“Mette in pratica che cosa? Dice lei.
“Il cartello. Il significato del cartello.”
“Senta, io non so chi l’ha scritto quel cartello, capito?” dice allungandomi il resto con l’aria di volerla chiudere lì.
“Beh, non ha notato per caso qualche collega degli altri turni particolarmente allegro? Particolarmente attento e premuroso? Addirittura esuberante, magari?”
“Io non faccio gli altri turni. Io faccio questo” dice lei.
“Certo, ma magari ne ha sentito parlare. Ormai sarà famoso. Un tipo simpatico da avere intorno.”
“Che tipo?”
“Quello che ha scritto il cartello.”
“Senta, signore, io non so chi ha scritto il cartello. Qualcuno l’avrà scritto ma non io. Chiaro?”
“L’ho scritto io il cartello” dice il ragazzo con il cappellino calcato giù e le orecchie a sventola riagganciando delicatamente il telefono e massaggiandosi la nuca.
“L’hai scritto tu?” La ragazza ridacchia e si gira verso gli altri due. “Il cartello l’ha scritto Dicky!”
“Che cartello?” dicono i friggitori perfettamente all’unisono.
“Questo! Questo qui!” Dà un colpetto al cartello con il dorso della mano facendolo ruotare velocemente sopra le ali fumanti.
“Che c’è scritto?” chiede distrattamente uno dei cuochi.
“Sai leggere” risponde lei e il friggitore più magro si sporge verso il cartello, strofinandosi le dita sporche di rosso sul grembiule nero. Allunga la mano e ferma il cartello ballonzolante. Strizza gli occhi e legge.
“Non ci arrivo” dice facendo un passo indietro e succhiandosi la salsa dal pollice.
“Dice: LA VITA E’ QUELLO CHE TI SUCCEDE MENTRE PENSI AD ALTRO” lo informa la ragazza.
“Lo so cosa dice. So leggere.”
“Beh?” fa lei.
“L’ha scritto Dicky?”
“Che significa, Dicky?” chiede civettuola la ragazza, con una vocina misteriosa.
“Quello che c’è scritto” borbotta Dicky.
“E’ molto acuta” dico io. “Dove l’hai trovata?”
“M’è venuta in mente” dice Dicky.
“Dal nulla?” gli chiedo. Non l’ho ancora visto in faccia.
Continua a trafficare con i tasti del computer, tirando su col naso sotto la lunga visiera del berretto.
“Sì, insomma, m’è venuta così.”
“Dicky è uno in gamba” dice il friggitore dando un colpetto di gomito a Dicky e tornando al suo posto. Dicky sobbalza leggermente ma non rivela il suo volto. Parlo alla sommità del cappellino.
“E allora, Dicky, questo pensiero t’è venuto in un momento in cui ti sei visto consumato dai sogni del futuro e ti sei reso conto che la vita ti stava passando accanto?”
“Più o meno” borbotta lui.
“E’ stato una specie di shock, un sussulto di consapevolezza in cui a un tratto hai visto tutta la distanza dalla vera realtà?”
“Cos’è che è stato uno shock?”
“ Il pensiero. Quel pensiero sottile che la vita è ciò che ti succede mentre pensi ad altro.” Tira di nuovo su col naso e se lo pulisce col dorso della mano. Ora alza lo sguardo su di me; occhi verdini profondi e due pupille scure a mezza luna, come se fosse reduce da un brutto incidente. Altri anelli; uno per narice e tre sul labbro inferiore che hanno l’aria di essere lì lì per infettarsi. Gli occhi miti e spaventati sfuggono i miei posandosi sul cristallo della vetrina.
“Per la verità non stavo pensando proprio a niente” dice con un sussurro come per evitare che gli altri possano sentire. “Insomma, stavo come sognando il Colorado.”
“Il Colorado?”
“Sì.” I suoi occhi schizzano di nuovo lontano da me, incrociano i miei per un millisecondo, terrorizzati, poi si rituffano nella tastiera del computer in cerca di un posto dove nascondersi.
“Intendi un sogno a occhi aperti?”
“Sì. Ero qui. Proprio come ora. Guardavo fuori da quella finestra.” La ragazza con la coda di cavallo si è ritirata insieme ai due friggitori dietro i cestelli in cui gorgoglia l’olio bollente. Parla in tono cospiratorio, si accende una sigaretta gettandomi occhiate paranoiche sopra la spalla. Gli occhi verdi di Dicky tornano al cristallo della vetrina e si fermano sulle goccioline di condensa che scivolano giù. Fuori, in strada, ha l’aria di far freddo. Fa freddo.
“Quand’è stato, Dicky?”
“Cosa?” chiede lui in trance.
“Il sogno a occhi aperti sul Colorado.”
“Boh. Insomma, potrebbe essere l’altro giorno, tipo. Me ne stavo qui. Guardavo la neve.”
“Neve? Stava nevicando?”
“No. Insomma, in Colorado. Guardavo nevicare in Colorado.”
“Ma tu eri qui?”
“Sì, ero qui. Proprio come ora. La vedevo venire giù. Sa, leggera leggera. Tutto era silenzioso. Veramente tranquillo, sa. Sulla montagna dietro di me c’era questa capanna.”
“Tu ti vedevi là fuori nella neve? In Colorado?”
“Sì. Ero lì. Insomma, ero qui ma ero laggiù. E non so di preciso come c’ero arrivato. Sa, come trasportato dal desiderio, tipo. Ci pensavo da un sacco di tempo.”
“Al Colorado?”
“Sì. Ero proprio lì. E insomma, continuavo a vedere questa capanna fra la neve che cadeva. Come una luce dorata dalle finestre e il fumo che usciva dal comignolo. Sa… insomma, una catasta di legna sotto il portico. Ma mancava qualcosa.”
“Che cosa?”
“Questa ragazza.”
“Ah. La tua ragazza?”
“No, questa ragazza che io avevo immaginato che fosse lì.”
“E non c’era?”
“No. E questo mi ha come scioccato, capito?”
“Chi era questa ragazza?”
“Non lo so, ma non c’era da nessuna parte.”
“Una ragazza immaginaria?”
“Penso. Sì, penso di sì. Non c’era.”
“E tu eri deluso?”
“Sì, certo. Un po’ come se fosse quello innanzitutto il motivo per cui ero uscito dalla capanna.”
“Ah, quindi eri stato dentro la capanna?”
“Sì, ma lei non c’era e allora sono uscito nella neve e mi sono girato a guardarla, capito, le luci e il fumo, ma lei non c’era da nessuna parte. Sa, come se laggiù fossi tutto solo. E poi ho pensato insomma perché sono venuto fin qui per ritrovarmi tutto solo? Avevo una sensazione orribile, capito. Tipo quella sensazione che hai quando stai per vomitare. Come che non vedrai più un essere umano. Proprio… come essere solo. Tutto qua.”
“Ed è stato allora che ti è venuto quel pensiero?”
“Che pensiero?”
“Il pensiero che la vita è quello che ti succede mentre pensi ad altro?”
“Tipo” dice lui e i suoi occhi si posano su di me per un istante, poi fuggono di nuovo verso la finestra. “Non lo so. No, quel pensiero non m’è venuto in quel momento. Il pensiero m’è venuto dopo, mi sembra.”
“Dopo?”
“Sì, dopo.”
“Dopo cosa?”
“Non lo so. Tipo dopo che è scattato qualche cosa; qualcosa che è scoppiato proprio dietro di me. Credo che fosse l’olio.”
“Ah, per le ali? L’olio di cottura?”
“Sì. Ha cominciato come a scoppiettare e crepitare… sa, quando ci butti dentro le ali crude fa una specie di esplosione.”
“Capito. Ed è quello che ti ha riportato indietro, quando hai sentito quel rumore?”
“Sì. Sono tornato qua.
“E il Colorado se n’è andato via?”
“Sì. Scomparso.”
“Ed è stato allora che t’è venuto quel pensiero?”
“Mi pare di sì” dice e svanisce di nuovo sotto la visiera del cappellino.
“Sono fiero di te, Dicky” gli dico. Allungo una mano e gli do una piccola pacca sul cappellino, proprio sopra la parola ALI. (…)
Brano tratto dalla raccolta di racconti Il grande Sogno di Sam Shepard – titolo originale Great Dream Of Heaven – traduzione dall'inglese Andrea Buzzi – Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano – Prima edizione ne "I Narratori" gennaio 2005.
Sam Shepard
|