La parola sradicamento (che noi riprendiamo da Simone Weil, 1980) guarda dal lato terribile un fenomeno che osservato da un altro lato costituisce il grande orgoglio dell'Europa e dell'Occidente: la libertà. È di qui che nasce quella immanente tensione con il confine che attraversa la nostra cultura: ogni limite ci lega, ogni radice ci tiene, soffoca la nostra libertà di esseri umani. II diritto alla mobilità intellettuale e territoriale, la possibilità di entrare ed uscire da qualsiasi legame che ci vorrebbe trattenere come se gli appartenessimo, questo dare ospitalità e rispetto a chiunque senza guardare ad un'appartenenza diversa da quella al genere umano, questa santità-trascendenza dell'individuo è qualcosa di così grande e importante che l'Occidente che le ha dato vita fa fatica a vederne l'altra faccia.
Anche la libertà infatti, come ogni Dio, possiede dei campi dove di notte scarica i suoi detriti, dove si assiepano quelle patologie che sono i suoi figli naturali e che rifiuta di riconoscere come proprie. Ciò non deve meravigliare: ogni cultura considera corrispondenti alla propria essenza i lati che le vengono riconosciuti come pregi e come contingenti ed accidentali quelli che le vengono costantemente rinfacciati. Questi ultimi o vengono ritenuti irrilevanti oppure sono trattati come fenomeni provvisori che con un po' di attenzione e di pazienza sarà prima o poi possibile eliminare.
La libertà e lo sradicamento si scoprono fratelli, nati dall'unica spinta che ha separato l'uomo dai suoi legami. Ma i bilanci individuali di questa partita doppia sono molto diversi: ci sono coloro che alla contingenza e insicurezza reggono bene, quelli che sono sicuri di far bene qualsiasi compito perché sono «i più bravi», born to win. Per costoro è facile non avere radici perché troveranno sempre l'accoglienza che si presta a chi è eccellente, saranno vendibili su ogni mercato. Sono quelli che Merton in un famoso saggio chiama i cosmopoliti, coloro che sono meno attaccati ad una comunità perché sono «consapevoli di poter fare carriera in altre comunità». Ma ci sono anche quelli che al contrario sono sicuri di non farcela e che ce la fanno solo nei film americani degli anni quaranta oppure nelle prediche domenicali, coloro che sono born to love. Per costoro lo sradicamento prevale sulla libertà in quanto quest'ultima si traduce in un'esposizione dura e feroce alla contingenza del mondo. Ogni tanto i cantori della libertà (Isaac Berlin) si svegliano dal loro sonno dogmatico e scoprono che l'umanità si fa sedurre da Sirene pericolose, dalla nostalgia di legami forti, da un desiderio di comunità che riduce le libertà e la tolleranza ed entra in conflitto con l'altro, con l'estraneo, sia esso musulmano, ebreo, africano o turco.
L'Europa aveva trovato nello Stato sociale lo strumento per rendere compatibili la libertà e la sicurezza, uno strumento secolarizzato e materialistico che sottraeva una parte delle risorse al mercato e alla produzione per destinarle alla protezione dei più deboli. Adesso sembra (anche perché non sempre sono stati i deboli a giovarsene) che quella strada non possa più essere battuta e si ritorna a sentire il fascino delle vecchie protezioni, quelle fondate sulla appartenenza etnica o religiosa. La libertà produce lo sradicamento che a sua volta genera la richiesta di protezione. Quest'ultima però muta le sue forme e al posto dello sviluppo e del danaro ritorna di moda la durezza sacrificale delle solidarietà di appartenenza (religione o nazione) quando e dove non si è già affermata l'economia criminale.
(Tratto da Il pensiero meridiano, Laterza editori, Bari, 2001.)
Franco Cassano (Ancona, 1943) insegna Sociologia e Sociologia della conoscenza all'Università di Bari. Tra le sue opere: Il teorema democristiano (Bari, 1979), Aprossimazione (Bologna, 1989), Partita doppia (Bologna, 1993) e Paenisola. L'Italia da ritrovare (Bari, 1998).
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