“Non posso morire senza aver ritrovato mia nipote!”. Dall’Argentina sta rimbalzando sulla Rete il commovente appello di nonna Maria Isabel Chorobik in Mariani, detta Chicha, che da oltre trent’anni è alla ricerca della sua nipote, la piccola desaparecida Clara Anahì Mariani.
Clara Anahì aveva solo tre mesi quando è entrata a far parte dei 30 mila desaparecidos argentini. È nata il 12 agosto del 1976 – cinque mesi dopo il colpo di stato militare del generale Videla; registrata all’anagrafe di La Plata – Buenos Aires al numero 25.376.305, figlia di Daniel Mariani e Diana Teruggi, e scomparsa il 24 novembre dello stesso anno.
Quel giorno i militari, al comando del capo della polizia Miguel Osvaldo Etchecolatz (e braccio destro di Videla, condannato all’ergastolo per il delitto di lesa umanità negli anni bui della dittatura) fecero irruzione in casa Mariani-Teruggi, a La Plata, in Calle 30 n° 1134, e assassinarono sua madre (il papà era fuori), altre tre persone e portarono via la piccola Clara Anahì. Sua madre e suo padre erano militanti montoneros, nella loro casa ospitavano una piccola tipografia clandestina da cui, pochi giorni prima, era uscito un volantino che denunciava come l’Esma (Escuola Mecanica de l’Armadala) si era trasformata in un campo di concentramento e il lancio aereo dei desaparecidos – anche ancora vivi – nel Rio de la Plata. Da allora Maria Isabel Chorobik in Mariani detta Chicha, nonna paterna di Clara Anahì, e il suo papà hanno continuato a cercare la bambina; insieme, finché anche Daniel è stato ucciso il 1° agosto del ’77, poi nonna Chicha ha continuato a cercare la piccola desaparecida da sola, fino ad oggi.
Ma superati gli ottanta anni, ora nonna Chicha – che è stata una delle fondatrici dell’associazione Abuelas de Plaza de Mayo, anche se adesso non ne fa più parte – teme di morire senza aver mai potuto rivedere sua nipote, ed ha deciso di lanciare in Internet la sua richiesta di aiuto a chiunque avesse notizie, e una lettera alla nipote che ora dovrebbe avere 32 anni.
La nonna non ha mai creduto alle dichiarazioni dei militari secondo cui la neonata sarebbe morta con la madre, il suo corpo non è mai stato trovato. “Sono sicura – scrive la nonna a Clara Anahì – che sei sopravvissuta e che sei sotto il potere di qualcuno. Sicuramente ci sono tante domande senza risposte che rendono inquieta la tua vita” e chiede alla nipote di cercare delle foto da neonata per confrontarle con quelle che accompagnano la lettera e le immagini di un video su Youtube.
Le racconta che il nonno paterno era un musicista, sua madre Diana amava la letteratura (aveva 26 anni quando è stata uccisa), che suo padre Daniel era laureato in economia, che i nonni materni si dedicavano alla scienza mentre lei amava le arti plastiche. Prima di morire, il desiderio più grande di nonna Chicha è di abbracciare Clara Anahì “di riconoscermi nel tuo sguardo – scrive – mi piacerebbe che tu mi venisse incontro per far sì che questa lunga ricerca si concretizzi bel più grande desiderio che mi tiene ancora in piedi, quello del nostro incontro. Mentre ti aspetto continuerò a cercarti”. Dopo oltre trent’anni dalla scomparsa della nipote, in un incontro con il Collegio di avvocati “Justicia Ya en La Plata”, nonna Maria Isabel Chorobik in Mariani ha sostenuto che lo Stato argentino non ha dato risposte su ogni singolo desaparecido.
E non ha dubbi sull’esistenza di archivi segreti ancora inesplorati, ma le presidenze della repubblica argentina succedute alla dittatura militare – da Alfonsín a De La Rúa a Menem e famiglia Kirchner compresa – non hanno mai preteso che venissero resi pubblici.
Chiunque possa aiutare nonna Chicha nella sua ricerca può farlo via mail: mariaisabelchorobik@sinectis.com.ar.
NATI A CAMPO DE MAYO
Nel triste elenco pubblicato sul sito abuelas.org.ar – dove campeggia la scritta: “Se sei nato/a tra il 1975 e il 1980, se hai dubbi sulla tua identità e credi di poter essere figlio di desaparecidos, contattaci: dudas@abuelas.org.ar” – risultano ancora tra gli scomparsi 157 bambini, la maggior parte dei quali presumibilmente nati durante la prigionia delle madri, la crudeltà non aveva limiti nell’Argentina della dittatura militare. Le nonne raccontano che molti bambini sono nati nel Campo de Mayo, un’enorme area militare di ottomila ettari a 30 chilometri del centro di Buenos Aires, che dopo il golpe del 24 marzo del ’76 fu scelto dal generale Videla come uno dei 600 carceri clandestini in cui richiudere, assassinare e far sparire chiunque fosse minimamente sospettato di cospirare contro la dittatura.
Ed è qui che – secondo una nota dell’Ancia, agenzia clandestina creata da Rodolfo Walsh (giornalista e scrittore argentino assassinato nel ’77) per denunciare i crimini che la stampa di regime non pubblicava – al 20 agosto q976 risultavano detenuti a Campo de Mayo 38 persone, ma il Comando generale dell’esercito aveva registrato 206 entrate. Si dice che lì sotto siano sepolti molti resti umani. Era l’ospedale militare, che per l’occasione era stato trasformato nel più grande reparto di maternità clandestino della dittatura. Dieci anni fa, il generale Di Benedetto ex direttore dell’ospedale militare, ha confessato al giudice Bagnasco che, a Campo de Mayo, diverse donne avevano partorito tra il 1976 e il 1978, tutte provenienti dal vicino carcere controllato dall’esercito. Confessione confermata anche dalle ostetriche Lorena tasca, Yolanda Arroche, Nelida Valarias e dalla dottoressa Silvia Bonsignore.
Ancora oggi Campo de Mayo è una caserma militare alle porte di Buenos Aires, e nel carcere – che da gennaio, dopo una discussa decisione dei ministri della difesa Nilda Garré e della giustizia Anibal Fernández non è più un Istituto penale delle Forze armate argentine, ma la 34° unità del Servizio Penitenziario Federale – stanno scontando la loro pena per delitti di lesa umanità numerosi ex militari, compreso lo stesso dittatore Jorge Rafael Videla (Marizon).
(Tratto dal giornale Il Manifesto del 3 dicembre 2008.)
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