Per conquistare una fetta di terra relativamente piccola, tra il 1915 e il 1918 milioni di italiani vengono chiamati alle armi. Le vittime saranno quasi 600 mila. La grande guerra diventa subito fonte di feroci polemiche politiche. Dopo la fine del conflitto comincia una vera e propria battaglia per conquistare la memoria degli italiani. Perla sinistra socialista e anarchica, e per molti cattolici, la guerra è stata una "inutile strage", come l'ha definita nel 1917 papa Benedetto XV. Ma per i nazionalisti - che spesso diventeranno fascisti - è stata un conflitto glorioso.
Queste due visioni del passato - e del mondo - si scontrano ovunque nel paese. E comincia la guerra dei monumenti. Olengo è una piccola frazione a sud di Novara. Dopo la prima guerra mondiale il Circolo operaio agricolo propone una lapide dedicata alle 16 vittime locali del conflitto. La prima proposta è: "In memoria dei figli del popolo di Olengo / caduti nella guerra nefasta 1915-1918". Sopra la lapide c'è il simbolo del circolo: falce e martello racchiusi in un sole. Ma il prefetto censura il testo, cambiando "guerra nefasta" in "guerra europea". Il 3 aprile 1921 la lapide è inaugurata nel cimitero locale. Subito, però, ci sono dei problemi con i fascisti della zona per il messaggio poco eroico del monumento. La notte della marcia su Roma - 28 ottobre 1922 - qualcuno porta via il simbolo del circolo. Infine, nel 1927, la lapide viene rimossa dalle autorità.
A Milano non si riesce a costruire un monumento alla guerra per anni. La sinistra è fortissima in città e l'ostilità verso l'esercito è molto sentita. In altre zone d'Italia gli scontri sul passato recente sono spesso violentissimi. La sinistra organizza molti ex combattenti in una Lega proletaria mutilati, invalidi, reduci, orfani e vedove di guerra. La Lega cerca di costruire monumenti e lapidi che parlano di una guerra europea, di una tragedia, di un futuro socialista, senza conflitti tra i popoli. Gli squadristi cercano di togliere queste lapidi, con la violenza. Durante alcuni scontri ci sono anche dei morti, come nel 1921 a Cecina (vicino Livorno) e ad Albano Vercellese. A Muggiò, nel Milanese, un custode (socialista e mutilato) viene ucciso dai fascisti mentre cerca di difendere una lapide che parla di "fratellanza internazionale" e maledice le guerre.
Con Mussolini al potere, dopo il 1922, la versione fascista del conflitto comincia a oscurare quella socialista e pacifista. Tutte le lapidi "di sinistra" vengono rimosse. Ne resta traccia solo negli archivi e nei giornali dell'epoca. Il fascismo fa costruire monumenti alla guerra che parlano di eroismo, sacrificio, "bella morte" e "caduti per la patria". E impone la sua versione della guerra e del passato. Non c'è spazio per nient'altro. L'enorme Monumento alla vittoria, che ancora oggi divide Bolzano è uno degli esempi più contestati di questa tendenza.
Con la liberazione dell'Italia, a partire dal 1943, anche i monumenti fascisti sono spesso distrutti, ma non tutti e non quelli dedicati alla grande guerra. La versione ufficiale della prima guerra mondiale è quella nazionalista-fascista, mentre la versione "sovversiva" resta confinata nella memoria privata. Ma non sempre. A Rovereto ora c'è anche un piccolo monumento al disertore. A Cercivento, in provincia di Udine, c'è una targa che ricorda quattro soldati fucilati per "insubordinazione" nel 1916, l'unica di questo tipo in Italia. In Inghilterra, dopo novant'anni, alcuni soldati fucilati per "vigliaccheria" (in realtà erano in stato di shock) sono stati riabilitati, e i loro nomi aggiunti agli elenchi delle vittime di guerra. Qualcosa sta cambiando per i dimenticati di questo conflitto. Ora che non c'è più nessun testimone vivente di quella tragedia, si può finalmente aprire la memoria pubblica a tutti, "eroi" e no.
(Tratto dalla rivista Interrnazionale n° 719, del 22 novembre 2007.)
John Foot insegna storia contemporanea al dipartimento di italiano dell'University college di Londra. II suo viaggio nella memoria divisa degli italiani va in onda ogni due settimane nel programma Jolla!Jalla! di Radio Popolare Network. John Foot ringrazia Adolfo Mignemi per l'aiuto nella ricerca.
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