La sua trilogia si chiama Machines, macchine, ed è legata a un immaginario talmente singolare che per classificarlo si è dovuto ricorrere a un nuovo genere letterario. Sì, perché se proprio lo si deve definire, di Philippe Vasset va detto che è francese, che ha poco più di trent’anni, che fa il giornalista e che è uno scrittore di “fiction tecnologiche”. E la prima di queste sue fiction tecnologiche (Exemplaire de démonstration il titolo con cui uscì nel 2000 in Francia, seguita nel 2004 e nel 2006 da Carte muette e Bandes alternées) arriva adesso anche in Italia nella bella traduzione di Lorenza Pieri (Il generatore di storie il titolo dell'edizione italiana, pubblicata da minimum fax).
Voce narrante della storia è un geologo che durante una missione in Africa si imbatte in un software in grado di fabbricare qualsivoglia opera d'ingegno. Basta inserire una serie di dati, e il software li trasforma in romanzi e racconti dal successo garantito, o anche in fumetti, in sceneggiature di film o di serie televisive, e persino in opere d’arte. Il tutto senza bisogno d'autore. Il fantomatico software si chiama ScriptGenerator©®™, è il vero protagonista del libro ed è descritto con una dovizia di particolari tale da renderlo spaventosamente credibile. Ed è questa dovizia di particolari, o forse il talento nell'inserire personaggi, particolari e storie dentro romanzi impeccabilmente strutturati, che ha fatto sì che la stampa francese abbia già individuato in Vasset il nuovo Michel Houellebecq e che per i lettori i suoi libri siano diventati una sorta di “ricercata ossessione”. Perché se la tentazione di sfuggire alla materializzazione dei peggiori incubi culturali è forte (la sola idea di uno ScriptGenerator©®™, implicante l'inutilità dell'autore e del processo creativo, basterebbe già di suo ad agitare i sonni di generazioni e generazioni di scrittori e artisti), altrettanto forte è quella di andare avanti a leggere per capire come funziona il tutto e ogni sua singola parte. Proprio come quando, bambini, ci si dilettava a smontar giocattoli.
Una letteratura vagamente (e intenzionalmente) ossessiva quella di Vasset. Eppure, a intervistarlo, non ci si imbatte in nulla di ossessivo: Philippe Vasset è un brillante giovane adulto, che ha in curriculum una laurea in filosofia e un passato di detective per un'agenzia di indagini sulle multinazionali, e che alla banale – lo ammettiamo – richiesta di provare a dare una definizione di cosa per lui sia arte, garbatamente e saggiamente rifiuta dicendo: “Non credo sia compito degli scrittori quello di dare delle definizioni, no? Il nostro mestiere sta piuttosto nel far vedere che le definizioni sono false”.
A leggere il suo Generatore di storie verrebbe però da definirlo. Lo si potrebbe definire, ad esempio, un libro di denuncia della meccanizzazione della cultura nell'età contemporanea. Passabile come definizione, o anch’essa confutabile?
In primo luogo direi che Il generatore di storie è un romanzo. O meglio, lo definirei un romanzo che si autodistrugge in diretta. Non ho voluto scrivere un libro che dimostri delle tesi, né un pamphlet, ma una storia, con tutte quelle ambiguità che sono proprie della fiction.
Eppure lo ScriptGenerator©®™, questo software che così accuratamente descrive nel suo romanzo, per certi versi sembra una messa in atto della società dello spettacolo profetizzata da Guy Debord…
Sì, certo, ma credo anche che ci siano stati altri ad aver fatto analisi del genere. Jean Baudrillard, ad esempio.
Philippe Vasset
Ma Debord le piace?
La società dello spettacolo è un testo che mi ha colpito moltissimo quando l'ho letto la prima volta. Ma, se devo rispondere alla sua domanda, direi che no, Guy Debord non mi piace particolarmente. Ha una struttura di pensiero troppo rigida, e il suo mettere in scena costantemente se stesso e l'esattezza delle proprie analisi m'infastidisce parecchio. Ci sono molti altri situazionisti che sono altrettanto, o forse anche più interessanti, di Debord.
Ad esempio?
Gianfranco Sanguinetti. Il suo Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia è stata una delle cose a cui mi sono ispirato nello scrivere Il generatore di storie. È un testo scritto in forma di analisi cinica e brutale fatta da un presidente e direttore generale d'azienda italiano – che nel libro restava anonimo – e riguardante la linea politica da seguire per uscire dalla crisi economica e politica degli anni settanta. Era tutto finto, ma per un sacco di tempo c'è stata molta gente che ha pensato fosse vero.
E a cos'altro si è ispirato nello scrivere Il generatore di storie?
Alla muzak, la musica da ascensore prodotta in serie partendo da basi di canzoni famose. Ascoltandola mi sono ritrovato a pensare che è inevitabile che un giorno una qualche azienda privata tenterà di fare lo stesso con le storie e con la letteratura.
Si è ispirato anche a qualche personaggio della politica o dell'economia contemporanea?
Non del tutto.
Tornando al processo di meccanizzazione della cultura descritto nel suo libro: c'è un evento a cui ascriverne l'inizio?
L'esergo del Generatore di storie cita Marcel Allain, uno degli autori di Fantômas, feuilleton popolare francese di inizio novecento, nonché prima produzione culturale meccanizzata e rivendicata come tale di cui io sia a conoscenza. Fantômas è stato ideato come una ricetta declinabile all'infinito, e sin dall'inizio ha seguito delle precise regole di marketing.
Lei ha fatto altri mestieri prima di diventare uno scrittore?
Facevo, e faccio ancora, il giornalista. Sono caporedattore di una rivista specializzata che si occupa di petrolio (questo per dire che tutti i dettagli riguardanti la sfera delle materie prime che descrivo nel Generatore di storie sono di prima mano…).
E le piace fare lo scrittore?
Ancora non sono del tutto certo che scrivere libri sia il miglior uso che possa fare del mio tempo, ma non riesco a utilizzarlo altrimenti.
Che cos'è per lei la scrittura?
Non lo so, e se lo sapessi probabilmente smetterei di scrivere: diventerebbe come fare giardinaggio o fare l'uncinetto.
Qual è la sua maggiore fonte di ispirazione: l'immaginazione, altri scrittori, la società…
Il reale. Il mondo in cui viviamo oggi è un mondo che non sappiamo raccontare. La maggior parte dei libri di fiction parla di un mondo che non c'è più, che è stato archiviato e che dunque è facilmente circoscrivibile dentro un libro. La vera sfida per uno scrittore contemporaneo sta nel riuscire a dire un po' di questo mondo che non smette mai di sfuggirci, di travalicare ogni nostro tentativo di analisi critica.
Il suo primo romanzo ha avuto un successo tale da essere stato paragonato dalla stampa francese ad altri tre grandi esordi della letteratura francese contemporanea: La salle de bain di Jean-Philippe Toussaint, Estensione del dominio della lotta di Michel Houllebecq e Troismi di Marie Darrieussecq. Sono libri che le piacciono?
Estensione del dominio della lotta è stato un tentativo interessante di dire tutta la povertà che c'è nelle nostre vite al lavoro.
E gli altri due?
Non li ho letti…
Se le chiedessero di passare una serata con uno scrittore (o scrittrice, vivente o meno), chi sceglierebbe?
Mi piacerebbe moltissimo passare una serata con il grande scrittore inglese JG Ballard, l’autore (anche) di Crash.
Perché?
È uno dei pochi autori realmente interessato alla società contemporanea, alle città dormitorio, al mondo dell'economia… a tutte quelle cose a cui, di norma, gli scrittori non si interessano granché.
(Intervista tratta dal sito di Minimum Fax)
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