L'italiano Giovanni Battista Confalonieri, a Lisbona tra il 1593 e il 1596, nel suo diario annota che in Brasile «molti popoli sbranano e divorano i fanciulli e le fanciulle viventi, aprono i ventri delle donne gravide e ne cavano fuora le creature, e in presenza de' padri medesimi se le mangiano arrostite su le bragie, cosa orribile a sentire nonché a vedere». Confalonieri fu segretario del collettore apostolico di Lisbona, una sorta di nunzio non accreditato. Da questo suo accenno generico deduciamo che negli ambienti da lui frequentati non circolavano notizie dettagliate su un evento tragico di una quarantina d'anni prima. Ne era rimasto vittima, con altri, il portoghese Pero Fernandes Sardinha, primo vescovo del Brasile e appena dimessosi da vescovo di San Salvador. La sua nave, la Nossa Senhora da Ajuda, salpata il 15 giugno 1556 e diretta a Lisbona, il giorno dopo s'incagliò di fronte alle coste del Pernambuco, all'altezza del Rio San Francisco.
I novanta che raggiunsero terra caddero quasi tutti in mano agli antropofagi, vescovo compreso. Il banchetto durò alcuni giorni. La fonte più antica sull'accaduto è il colono portoghese Gabriel Soares de Sousa, trasferitosi in Brasile nel 1567. Il suo "Tratado Descriptivo do Brasil em 1587" fu stampato solo nel 1851. L'incisione del 1557 del tedesco Hans Staden, esploratore del Brasile e scampato agli antropofagi Tupinambás, non illustra l'episodio del 1556 ma rende bene il trauma dell'impatto tra la coscienza europea e la pratica dello sbranamento e del divoramento di carne umana, che persisteva nel Nuovo mondo lusitano.
Ad associare per primo l'antropofagia al Brasile fu Americo Vespucci. I cannibali brasiliani più noti erano i Tapuias, definiti da Giovanni Botero «barbarissimi, senza umanità e senza leggi». Una visione più distaccata, quasi scientifica, è del pittore olandese Albert Eckhout, giunto in Brasile con Frans Post, pittore specializzato in paesaggi, entrambi al seguito del conte Maurizio di Nassau-Siegen, governatore del Brasile olandese. La sua Índia Tapuia, resa secondo schemi naturalistici, è accompagnata da un cane che raccoglie gli avanzi del pasto. Sullo sfondo, inquadrati tra le gambe dell'India, una dozzina di Tapuias discendono il fianco di una collina. Il dipinto, del 1641, era destinato a un salone del Palazzo Friburgo di Recife, residenza del governatore, insieme con alcune nature morte e altri sette dipinti dello stesso formato con soggetti umani raffigurati a coppie (indigeni, schiavi africani, meticci).
Spesso accade che un termine associato a una forma concreta del vivere, con l'intrecciarsi delle culture e il passare del tempo migra da una lingua all'altra, acquista un valore traslato e diviene una figura retorica. La parola cannibale, assunta dalle lingue europee attraverso la lingua spagnola e riferita a chi mangia carne umana, deriva da un termine usato dagli Arawak di Hispaniola, interpretato da Cristoforo Colombo come l'equivalente di «uomo forte» e passato a designare chi è forte in quanto si nutre delle carni di uomini dimostratisi in vita forti e capaci. Antropofago, parola greca composta, non è sinonimo stretto di cannibale in quanto l'antropofagia non implica necessariamente la ritualità.
Il cannibalismo è presente nel dna delle diverse culture umane. Qualcuno ha sospettato che dietro la scomparsa misteriosa di Romolo, primo mitico re di Roma insieme con il sabino Tito Tazio, si nasconda l'interesse dei senatori romani ad acquisire le qualità e le origini divine del figlio di Marte e di Rea Silvia. Nulla di strano. Niente vieta, alle culture che hanno ripudiato il cannibalismo, di aspirare a sbranare e a divorare altre culture per alimentarsene, metabolizzarle e farle proprie per osmosi. In antropologia, questo processo di osmosi da cultura a cultura è detto «transculturazione».
Il Movimento antropofago brasiliano, teorizzato dall'umanista paulistano Oswald de Andrade e da sua moglie, la pittrice Tarsila do Amaral, formatasi artisticamente a Parigi, promuove un'azione di sbranamento e divoramento della cultura europea finalizzato alla valorizzazione dell'identità brasiliana. Tutto iniziò da un regalo di compleanno, fatto da Tarsila a Oswald l'11 gennaio 1928: un dipinto della stessa Tarsila intitolato "Abaporu". In tupi-guarani abaporu è chi mangia carne umana. L'opera di Tarsila divenne l'icona del Movimento antropofago brasiliano. Oltre al Manifesto del 1928 e alla "Revista de antropofagia", ne furono espressione il poema "Cobra Norato" di Raul Bopp e il romanzo "Macunaima" di Mário de Andrade. Carlos Drummond de Andrade dedicò una lirica all'arte di Tarsila, immune dagli influssi di Sigmund Freud e dalle tecniche analitiche, che vince con la magia l'incubo della dipendenza ed espone alla luce del sole l'"allegria colorata della liberazione" dalle inibizioni inconsce.
La coppia Oswald-Tarsila segnò un'epoca. Lei affermava che le belle cose si fanno e si degustano lentamente, e che i suoi quadri erano lindi e lustri come una vettura di lusso appena uscita di fabbrica, in questo riprendendo l'immagine dell'Automobile (maschile) del Manifesto dei Futuristi italiani, più bello della Nike di Samotracia. Tarsila connota l'oggetto meccanico volgendolo al femminile: Rolls Royce. Da parte sua, Oswald è l'autore di una provocazione sarcastica, espressa nel Manifesto del 1928. Il sarcasmo è una forma di umorismo che lascia il segno, corrosiva come il sarcofago che, letteralmente, si nutre della carne che contiene.
Alludendo al banchetto del 1556, Oswald data il Manifesto all'anno 374 (in realtà 372) dalla deglutizione del vescovo Pero Fernandes Sardinha, così come la cronologia romana decorreva ab urbe condita, cioè dall'anno di fondazione della città. Oswald de Andrade definisce l'antropofagia «prova del nove dell'allegria», assorbimento del nemico sacro trasformato in totem, cultura indigena genuina da opporre all'importazione di coscienza in scatola. Il Brasile è Tupi o non è Brasile. Tupi or not Tupi, that is the question. La stessa parodia del dilemma di Amleto (To be or nor to be, that is the question), che Oswald inserisce nel Manifesto, è un esempio fulminante di antropofagia letteraria.
I portoghesi sterminarono i Caetés, insediati sulle rive del San Francisco. A partire dal 1562, condussero contro di loro una serie di spedizioni legittimate da una sentenza di condanna contro i responsabili del banchetto del 1556. Secondo studi recenti, la «guerra giusta» dichiarata dai portoghesi agli antropofagi reali e presunti fu condotta strumentalmente contro nemici indiscriminati. A nutrirsi dei naufragi della Nossa Senhora da Ajuda non sarebbero stati i Caetés ma i Tupinambás. Rispetto ai Tupinambás, i Caetés erano un obiettivo decisamente più appetibile.
Gli obiettivi che suscitano il desiderio di possesso spesso prevalgono sul senso comune di giustizia e lo offuscano. Il filosofo francese Michel de Montaigne, il cui nome compare nel Manifesto antropófago di Oswald, affronta il tema del cannibalismo praticato dai selvaggi del Brasile e con l'occasione riflette sulle guerre di religione in corso in Francia. Più o meno in quegli anni, in Brasile, i portoghesi trucidarono ottantamila Caetés. Nel capitolo XXI dei suoi Saggi, Montaigne si interroga su una questione che precorre i tempi e si chiede se mangiare un nemico morto sia più civile che aggredire e uccidere un nemico vivo.
(Tratto dal sito Musibrasil, gennaio 2008.)
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