La Lavagna Del Sabato 20 Settembre 2008


ARTE CIOČ APERTURA

Intervista a Jean-Luc Nancy di Sara De Carli




L'arte è più riconoscimento che conoscenza: riconoscimento, però, che non ci riporta al già noto, ma che ci apre a qualcosa d'altro, che non conosciamo in senso tecnico ma che pure intuiamo e in qualche modo intravediamo, che sentia­mo famigliare. L'arte è riconoscimento dell'ignoto e dell'inconoscibile e tratta l'apparire del non apparente.


Quando li hanno beccati a Trieste, cinque giorni insieme nello stesso hotel, Victoria Cabello ha ammesso: «Contavo sul fatto che non riconoscessero Maurizio. È una star che non fa gola al mondo televisivo». Eppure Maurizio Cattelan insieme a Matthew Barney e Damien Hirst forma la santa trinità dell'arte contemporanea. Non c'è critico d'arte che non li citi, per osannarli o per dirne peste e corna. E poi ci siamo noi, i comuni mortali, che tra - rispettivamente - bambi­ni impiccati, saghe epiche del muscolo testicolare (in arte Cremaster) e pecore in formaldeide ci sentiamo come minimo interdetti. Un luogo comune, forse. Non fosse che viene il dubbio che queste opere abbiano la pretesa di dire qualcosa della nostra epoca, e quindi di noi. Lo fanno? E se sì, il mondo da esse descritto è un mondo che sentiamo nostro? Al di là dell'esercizio accademico o puramente speculativo, qui si tratta di capire che rapporto ha l'arte con il mondo e con noi. E va bene che l'arte non ha un compito pedagogico, sono secoli che ha rifiutato l'onere, ma l'arte ha o non ha una dimensione sociale? Gli stessi esperti sull'argomento sono divisi. C'è chi sogna un ritorno alla figurazione pura, alla libertà, al sogno e chi sostiene il diritto-dovere dell'arte di impegnarsi nella società. Ne abbiamo parlato con Jean-Luc Nancy, filosofo francese, per scoprire che l'arte contemporanea lo urta. Non perché non la capisca, ma perché la capisce troppo.


Communitas: Che cos' l'arte contemporanea?

Jean-Luc Nancy: Io parlerei dell'arte di oggi, non di arte contempora­nea: "arte contemporanea" è un sintagma dalle frontiere mobili, che non si ripa a categorie estetiche particolari come è per il cubismo o per la body art. In funzione di queste categorie si può dire che alcune opere d'arte pur essendo prodotte oggi non appartengono all'arte contempo­ranea, ad esempio se uno scultore realizza statue classiche, perché man­cano alcuni sintomi che caratterizzano l'arte contemporanea. Come è possibile? L'arte è sempre stata contemporanea, è sempre stata l'arte del suo tempo, gli artisti sono sempre stati contemporanei ai loro - appun­to - contemporanei. Un artista può non essere contemporaneo? Sì, ma solo uscendo dall'arte. Se un artista oggi segue i canoni di Renoir - è un esempio - quell'artista non è un artista contemporaneo, ma non è nem­meno contemporaneo di Renoir: non è contemporaneo di nessuno.


Communitas: Che cos’è l'arte?

Nancy: L'arte è sempre produzione di una forma nello spazio dell'og­gi, la "messa in forma" del mondo presente: dare al mondo una certa possibilità di senso e di significato. Questo è Heidegger: il mondo non è la totalità dei significanti, ma la totalità delle possibilità di significare qualcosa. Gli artisti quindi danno forma a una possibilità di signi­ficazione. Non si tratta di una attribuzione di significato, l'artista non dice "il significato del mondo è questo e quest'altro": quello lo fa la filosofia. L'arte dà un'apertura, produce una circolazione di significati, non è qualcosa che rende immobili i significati in un significato con­cluso e conclusivo. Non era così nemmeno quando l'arte era attraversata dalla religione: è evidente che l'arte cristiana è altro dal cristiane­simo. Pensi alla Pietà Rondanini di Michelangelo: non dice nulla di ciò che è scritto nel Vangelo circa la deposizione del Crocifisso, inve­ce innalza una forma all'interno della quale entrano in gioco infinite possibilità di significare il dolore e la sofferenza umana. L'arte è que­sto: innalzamento di una forma che apre una possibilità di mondo.


Communitas: Questo vale anche oggi, un tempo in cui il mondo è così com­plesso?

Nancy: Mi piace il fatto che in francese la parola globalizzazione non esiste, si parla di mondializzazione: significa che noi oggi dobbiamo inventare una forma di mondo, una forma che faccia circolare le pos­sibilità di significato, di cui nessuno però possa appropriarsi per trasformarli in significati. L'arte ha il compito di aprire il mondo a se stesso, alle sue infinite possibilità. Aprire pos­sibilità senza chiuderne nessuna. Infatti l'arti­sta apre lo spirito delle persone a nuove possi­bilità di forma, a nuovi mondi che prima ignoravamo. Come diceva Proust, ogni scrittore modella il suo pubblico, che prima non esisteva. Nessuno era in grado di capire Caravaggio prima di Caravaggio.


Communitas: Perché allora molti di noi non capiscono l'arte contempora­nea? Questo non è un fallimento dell'arte stessa?

Nancy: È vero, per molti l'arte contemporanea non è arte e non lo è perché non apre nessun mondo, nessuna possibilità di significabilità. L'arte contemporanea apre solo una domanda, un interrogativo: nella forma dell'arte contemporanea circola solo un interrogativo, preoccupato e angosciato. La sua è una forma di mondo fragile e inquietante. Il nostro è un mondo che si percepisce come un mondo che ha perso significato, che vive l'assenza di grandi idee regolatrici, siano esse politiche o estetiche. Di conseguenza sono scomparse le figure come supporto di possi­bilità per creare forme. Gli artisti contemporanei danno conto di questa mancanza, ed è il motivo per cui non si definiscono quasi mai artisti, ma "testimoni". Non è la prima volta che succede, è lo stesso problema che aveva Duchamp quando prese un orinatoio prodotto in fabbrica e lo espose col titolo di Fontana. Per Duchamp l'arte è un appuntamento senza appuntamento, un incontro casuale fra un uomo e una cosa che a un certo punto l'uomo elegge come forma. Ed è li che l'uomo diventa artista, a posteriori. Guernica è l'ultimo esempio di pittura storica, dopo Guernica ogni schematismo possibile scompare.



Jean-Luc Nancy

Communitas: Sta smontando l'impegno civile dell'arte?

Nancy: La maggior parte della gente - me compreso - è urtata dalle opere d'arte contemporanea: non è che non le capisco, è che le capisco troppo. Quando guardiamo un'opera d'arte contemporanea ci sen­tiamo riversati addosso troppe significazioni, e di fronte a questo sovraccarico di significazio­ni proviamo fastidio. Penso all'opera di Sylvie Blonchet sugli stupri in Bosnia, così immedia­tamente e intenzionalmente politica... Ma una cosa è che l'artista sia politicamente impe­gnato, altra è la sua opera. L'opera d'arte non è politica, Guernica non è un'opera comunista, Picasso sì. L'arte è significazione pura. Per questo non sono d'accordo con l'arte politica.


Communitas: Quale resta allora l'obiettivo dell'arte se l'arte non è più in grado di presentare delle possibilità di mondo?

Nancy: Restano almeno due cose: il gesto dell'artista e un segno alla fine del gesto, un segno che non ha significato. Cominciamo dal gesto. Il gesto è un movimento, che accompagna un'intenzione e una signi­ficazione, ma che è estraneo all'intenzione. L'arte è innanzitutto questo gesto, il minimo e allo stesso tempo l'essenziale dell'arte. Penso a Claudio Parmiggiani, al suo labirinto di vetro, a lui che entra nel labi­rinto con una mazza e lo distrugge. Alla fine del gesto dell'artista non c'è il vuoto, ma un segno. Un segno che segnala qualcosa, un segno di riconoscimento, di rimando, che tende verso l'oltre. L’opera d'arte non è mai fine a se stessa. Non esiste l'art for art's sake, così come - all'estre­mo opposto - non esiste l'arte per la religione, o l'arte per la politica. Un'opera d'arte è arte nel suo rimandare ad altro. Avere una finalità è proprio dell'opus oggetto della tecnica, l'opera d'arte non serve a nulla, è un segnale.


Communitas: Chiunque può rompere vetrine, ma non tutti sono artisti.

Nancy: Quello è un gesto politico, può darsi che dovremmo farlo tutti, ma questo discorso non ha niente a che fare con l'arte. Perché anche se gli artisti oggi rifiutano quell'etichetta e si dicono testimoni, non è vero che basta mettere strumenti e materiali in mano a chiunque perché ne venga fuori un'opera d'arte. E come se ci fossero una moltitu­dine di possibilità di mondo, che però devono passare attraverso un punto singolo. L'artista è questo punto singolo.


Communitas: Dopo tutto questo discorso immagino che a maggior ragione sia da buttare l'idea dell'arte come occasione di conoscenza...

Nancy: Meno di quanto creda. In questo l'arte è molto vicina alla filo­sofia. La filosofia nasce dalla meraviglia, diceva Aristotele, ma in real­tà continua anche con la meraviglia e lo stupore. Quando lo stupore cessa, la filosofia si trasforma in conoscenza, mimesis. Allo stesso modo l'arte è più riconoscimento che conoscenza: un riconoscimen­to però che non ci riporta al già noto, ma che ci porta a qualcosa d'al­tro, che non conosciamo in senso tecnico ma che pure intuiamo e in qualche modo intravediamo, che sentiamo famigliare. È paradossale, certo, ma l'arte è riconoscimento dell'ignoto e dell'inconoscibile, trat­ta l'apparire del non apparente. Come diceva Adorno, “qualsiasi musica è uno sforzo per pronunciare il nome impronunciabile di Dio”.


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