Nemmeno a Lula piace la direttiva europea sui rimpatri approvata recentemente a Strasburgo: “ È una decisione che contribuisce a creare una percezione negativa della migrazione”, ammonisce il Presidente del Brasile. E rivolgendosi alle istituzioni europee ricorda come il suo paese abbia “accolto milioni di immigrati che ora vivono pienamente integrati nella società”. Non è l’unico, soprattutto in America latina, a manifestare risentimento per la brutta aria che migranti e rifugiati sono costretti a respirare nel vecchio continente. La reazione di sdegno alla “direttiva della vergogna” infatti non accennano a placarsi, e provengono principalmente dalle organizzazioni nazionali e internazionali che lavorano per la tutela dei diritti umani. M quali sono esattamente i punti critici di questa legge quadro europea che ogni stato membro deve recepire entro luglio 2010? E le norme italiane, integrate eventualmente dall’intero pacchetto sicurezza, sono compatibili con questa direttiva? Abbiamo rivolto la domanda a tre esperti come Christopher Hein, direttore del Centro italiano per i rifugiati (Cir), Lorenzo Trucco, presidente dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), e Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci.
Tutti concordano nell’individuare due o tre punti particolarmente controversi negli standard minimi che l’Europa stabilisce anche per porre un limite alle legislazioni troppo repressive di alcuni suoi membri. “Il primo problema – spiega Christopher Hein – è la possibilità di detenere per via amministrativa un cittadino straniero irregolare fino a 18 mesi. A ben guardare la direttiva stabilisce il limite fino a 6 mesi aggiungendo che solo in casi molto particolari si possa arrivare a un anno e mezzo, ma lascia completa discrezionalità agli stati”. L’Italia, d’altra parte, nelle norme riguardanti il “pacchetto sicurezza” inserite nel ddt, ha già adottato quel limite citando l’eventualità che lo straniero non fornisca alle autorità documenti validi. Un caso niente affatto raro: si può facilmente immaginare che nessuno dei disperati naviganti sulle carrette del mare sia in possesso di un passaporto nuovo fiammante. “Ma 18 mesi sono davvero troppi per identificare una persona – aggiunge Filippo Miraglia – tutti quelli che seguono la detenzione amministrativa in Europa sono concordi nel dire che occorrono al massimo 20 giorni, non più di una settimana per la fotosegnalazione e il rilievo delle impronte digitali. Tutti sanno che se l’espulsione non avviene in 20 giorni significa che gli stati d’origine o di transito non intendono collaborare per riaccogliere i migranti”. Tanto per fare anche due conti, Miraglia fa notare che, con un tempo massimo di detenzione di 60 giorni come prevede attualmente la legge italiana, “ogni espulsione costa, solo per le spese di gestione del Ctp, circa 15 mila euro”. Ed è per questo, o “per la mancanza di aerei – spiega Lorenzo Trucco – l’Italia non ha mai rimpatriato oltre il 40.44% dei detenuti nei Ctp”. “ Di positivo però nella direttiva – continua il presidente dell’Asgi – c’è la possibilità di rientro volontario non prevista invece dalla legge italiana, una forma senz’altro meno lacerante e che evita il divieto di reingresso in Europa per 5 anni, un limite davvero troppo alto posto dalla direttiva UE” e che, secondo Miraglia, “stigmatizza gli immigrati illegali e li trasforma in criminali da escludere”. L’Europa ha perfino bocciato la garanzia del patrocinio legale gratuito, sia per la detenzione che per l’espulsione.
Un altro punto, il più odioso e condannato, è l’estensione della detenzione amministrativa e dell’espulsione – verso il paese d’origine o quello di transito – anche ai minori, accompagnati e non. “Questo finora in Italia non è possibile e nemmeno il pacchetto sicurezza lo prevede”, sottolinea Hein. Una norma pericolosissima, che “mette in discussione l’articolo 3 della Costituzione considerando i minori stranieri diversi da quelli italiani”, fa notare Miraglia. “Non credo perciò che potrebbe mai essere applicata nel nostro paese – sostiene Trucco – anche perché violerebbe la Convenzione internazionale del fanciullo siglata a New York nel 1989”. E non solo: secondo l’Arci, “nel caso venisse applicata questa norma contro i minori si potrebbe fare ricorso alla Corte di Strasburgo perché tradirebbe lo stesso trattato di Lisbona che ha inglobato la Carta europea dei diritti umani di Nizza”.
Ma, conclude Miraglia, “accanto agli elementi concreti c’è un fattore culturale: l’Europa, che non è riuscita a darsi una legge comune sugli ingressi e sul soggiorno degli stranieri, ha trovato invece un unico accordo, solo sul piano repressivo delle sanzioni. Soprattutto per questo, per come è stata pensata e presentata, questa direttiva è una forma di razzismo istituzionale che viene dalla più alta sede sella democrazia europea”. “Attenzione – ammonisce infine Trucco – perché una volta incrinato il sistema, violati i principi, introdotta una deroga ai diritti, è difficilissimo riparare. Oggi, nei confronti del migrante, mi sembra che si stia autorizzando un diritto speciale”. Per tutti, è davvero una pagina buia.
(Articolo apparso su Il manifesto del 20 Giugno 2008.)
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