Ho paura che definire scrittori migranti degli scrittori veri, come in alcuni casi i cosiddetti “scrittori migranti” possono rivelarsi, equivalga a porre la prerogativa del permesso di soggiorno per la letteratura. Quando sappiamo che la letteratura non ha bisogno del permesso di soggiorno, per il semplice fatto che gode della cittadinanza da sempre e dappertutto nel mondo civile. Diritto che credo si è guadagnato da sola lungo i secoli e i millenni. Definire uno scrittore con l’etichetta di “migrante” equivale a marginalizzarlo, a farlo scendere a colpi di coda dal livello di realtà al quale egli cerca di appartenere –che è proprio quello della bella arte che è l’amore per l’essere – per “asservirlo” alle leggi di un’attualità caotica e truffaldina, dove il luogo comune è perfetta etichetta commerciale. Vuol dire ridurre disgraziatamente il suo tentativo di “cosmos”, a mera cosmetica.
In Italia ho visto tante antologie di scrittori migranti, ma non ricordo di avere ancora trovato tra le antologie americane una intitolata “Pizza e spaghetti”, anche se non mancano i casi in cui i luoghi comuni del cinema e della tv possono far razzie anche tra i lavori letterari. Non ricordo neanche casi in cui Nabokov, tanto per dire il più geniale, venisse propinato da qualche critico come uno “scrittore migrante”.
Qual è il criterio per definire uno scrittore migrante: il fatto che appartenga a un paese del terzo mondo? No, dico, perché nelle antologie degli scrittori migranti non trovo scrittori francesi o tedeschi o inglesi di stanza in Italia. Trovo solo scrittori del terzo mondo. Ma se questo criterio (vale a dire quello basato sull’immagine di uno scrittore che è venuto in Italia per mangiare meglio e che scopre la scrittura come digestivo) cade, cosa rimane a tenere in piedi la classificazione? La tematica? Ebbene, se si va a vedere, la tematica dell’immigrazione viene affrontata anche da scrittori tutt’altro che immigrati, e con grande vigore. E allora che rimane? La malafede.
L’accettazione della ricchezza d’essere dell’altro, purché lo si faccia passare per la dogana del luogo comune, detta anche cruna dell’ago per il nostro paradiso.
Stranamente, non succede per esempio che vi sia una simile classificazione con gli artisti. Nelle varie biennali non vi sono sezioni per “artisti migranti”. Come mai? E da quando in qua ci si chiede, le arti visive sono diventate più universali della scrittura? Ma poi, questo conio burocratese non è forse spia di un impoverimento della letteratura in generale (e di conseguenza di un eccessivo arricchimento della burocrazia in particolare) per cui, in mancanza di correnti letterarie, si divide la letteratura in base a criteri sociali, sociologici, sociolinguistici, culturologici, tanto per parlare burocratese... Non v’è un po’ di schiavismo qui dentro? Esopo era uno scrittore schiavo, ma cosa avrebbe detto se l’avessero catapultato nel bel mezzo di una “Antologia degli schiavi scrittori” o in quella degli scrittori schiavi? Si sarebbe accontentato di farsi pagare i diritti d’autore in modo da poter mangiare bene per qualche giorno?
Per chi se ne infischia e fin quando avrà fiato continuerà a infischiarsene del livello di realtà che chiamiamo “palude” (livello dei tecno-burocrati), il fatto che uno scrittore si veda costretto ai fini delle Fini leggi dei Bossi a farsi prendere le impronte digitali in questura per poter rinnovare il permesso di soggiorno, non rende meno scrittore quello scrittore; come non rende meno uomo quell’uomo. Ciò che veramente ci offende è che le impronte dell’anima che gli scrittori consegnano di libera iniziativa alla memoria umana nelle pagine dei loro libri, vengano classificate come una specie di X-Files, banche dati particolari di anime umane sì, ma anche aliene... e che lo scrittore “extracomunitario” venga trattato come il caso umano di un alieno.
Scrittori sì, ma anche “scrittori migranti”... Tra quelli che pubblicano libri in Italia non ci sono scrittori e scrittori migranti. Ci sono scrittori e altri. Poi, se con il passepartout dello “scrittore migrante” si cerca di spacciare dei semplici migranti con il pallino di scribacchiare, questa è un’altra faccenda. Si potrebbe anche classificarli e dividerli come scrittori con le chiappe al caldo e scrittori con le chiappe al freddo... E chi può negare che tra i migliori scrittori italiani di oggi non vi siano degli aspiranti migranti?
(Tratto dalla rivista Lo straniero on-line, di Settembre 2007.)
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