In un interessante saggio di Walter Benjamin intitolato L'opera
d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica , scritto nel
1936, si affronta per la prima volta il problema estetico posto dall'emergere
di una nuova forma di produzione artistica: il cinema. Dopo
l'avvento del cinema sonoro, diffusosi proprio a partire dagli anni Trenta del
Novecento, si inizia a parlare della neonata forma d'arte come di un mezzo ideale
al fine della democratizzazione della cultura. Nell'ambito delle discussioni teoriche
e politiche di quegli anni sul rapporto arte-società di massa, emergono,
contro il pessimismo della scuola di Francoforte (Horkheimer e Adorno), le nuove
tesi di Benjamin e Brecht. Il cinema, come il teatro, non è solo uno svago,
che non esige alcuna concentrazione, o una mera distrazione per persone incolte
ed esaurite dal lavoro (teoria preferita dai denigratori della cultura di massa),
ma uno strumento didattico per acquisire una nuova percezione del mondo. Il cinema
si pone in contrapposizione dialettica con la concezione aristocratica dell'arte,
poiché questa non è più in grado di rappresentare le esigenze
del presente mentre ora, nella visione di Benjamin, sono le tesi del materialismo
storico incarnatesi in un'arte popolare a rappresentare il polo antitetico nel
processo di evoluzione della cultura. Secondo l'analisi
di Benjamin le tecniche di riproduzione fotografico-cinematografica presentano
certamente degli aspetti negativi accanto a quelli positivi: ciò che verrà
perduto dall'arte con l'introduzione di queste nuove tecniche sarà quella
che Benjamin definisce "aura", ovvero il concetto di autenticità
di un'opera: "l'hic et nunc dell'opera d'arte - la sua esistenza unica è
irripetibile nel luogo in cui si trova" (1). L'autenticità di un'opera
e la sua unicità saranno concetti aboliti dalla fotografia e dal cinema:
di una foto e di un film potranno farsi mille e una copia tutte uguali, senza
contraffazioni, imitazioni o falsi. Il cinema, allora, tenterà di ritrovare
l'"aura" negata attraverso il culto del divo, ossia "costruendo
artificiosamente la personality fuori dagli studi…(esso) cerca di conservare quella
magia della personalità che da tempo è ridotta alla magia fasulla
propria del suo carattere di merce" (2). Benjamin
parla di una sottrazione dall'ambito della tradizione, di una perdita del "valore
cultuale" dell'opera a vantaggio di un "valore espositivo". Nella
fruizione di un'opera che possiede un valore cultuale, l'aspetto estetico viene
posto in secondo piano rispetto all'elemento magico e religioso di cui essa è
un tramite: "l'alce che l'uomo dell'età della pietra raffigura sulle
pareti della sua caverna è uno strumento magico. Egli lo espone davanti
ai suoi simili; ma prima di tutto è dedicato agli spiriti" (3). Quando,
invece, è proprio l'aspetto estetico ad essere in primo piano, ovvero quando
il dipinto della caverna o l'immagine della Madonna vengono trasferiti dal luogo
sacro, in cui emanano la propria "aura", in un museo, essi perdono il
loro valore originario per acquisire un valore espositivo. Tuttavia,
accanto a queste considerazioni, Benjamin mette in rilievo gli aspetti positivi
di questa trasformazione tecnologica. Il cinema modifica il rapporto delle masse
con l'arte, infatti "da un rapporto estremamente retrivo, per esempio nei
confronti di un Picasso, si rovescia in un rapporto estremamente progressivo,
per esempio nei confronti di un Chaplin. […] Al cinema" continua l'autore
"l'atteggiamento critico e quello del piacere del pubblico coincidono"
(4). Benjamin paragona il cinema all'architettura o all'epopea: come queste esso
ha la facoltà di offrirsi alla ricezione collettiva simultanea, ha il potere
di insinuarsi distrattamente nella mente dell'osservatore, producendo delle modificazioni
nello stato d'animo e nel pensiero senza catturare un'attenzione concentrata nel
fruitore, al quale si impone con una forza di convincimento che non esige concentrazione
o contemplazione poiché interviene nella mente sollecitando uno spazio
inconscio. Nella situazione cinematografica agiscono delle dinamiche psicologiche
che influenzano la percezione, la comprensione e la partecipazione degli spettatori,
determinando l'immedesimazione o la distanza dagli eventi rappresentati. Attraverso
la riproduzione di ambienti e di particolari nascosti, la natura che parla dall'occhio
della cinepresa appare diversa da quella dello sguardo superficiale del quotidiano
e la comprensione che si ha della nostra esistenza aumenta. Il pubblico è
un "esaminatore distratto" che è indotto dal cinema a un atteggiamento
valutativo, il quale, però, non implica raccoglimento e allo stesso tempo
svaluta ogni valore cultuale. Al posto del rituale
la nuova arte potrà instaurare la propria fondazione su un'altra prassi:
la politica. Da due diversi punti di vista però, il cinema potrà
essere un'arma nelle mani dei regimi totalitari, o liberal - democratici, che
tenteranno di trascinare le masse attraverso un'estetizzazione della vita politica
(propaganda, indottrinamento, persuasione) oppure, attraverso la sua politicizzazione,
sarà la nuova arte a far nascere una coscienza critica e politica nelle
masse degli spettatori, e allora divertirsi non significherà essere d'accordo.
Un autore contemporaneo, Gilles Deleuze, ne L'immagine-movimento
e ne L'immagine-tempo (5), scritti entrambi negli anni Ottanta,
sostiene la tesi secondo la quale, nonostante la grande abbondanza di mediocrità
presente nella produzione cinematografica, i grandi autori del cinema possono
essere paragonati non soltanto ad altri artisti, quali architetti, pittori o musicisti,
ma anche a dei pensatori, che pensano attraverso delle immagini-movimento
e delle immagini-tempo al posto dei concetti. Deleuze
riallaccia le sue riflessioni sul cinema alle concezioni di Henry Bergson sulla
natura del movimento e del tempo. Il cinema attraverso il montaggio arriva a dare
un'immagine del tempo che può essere diretta se legata alle immagini-tempo
o indiretta se proveniente dalle immagini-movimento e dai loro rapporti. Nella
contrapposizione elaborata da Bergson tra il tempo inteso come durata nella coscienza
e il tempo misurabile della matematica e degli orologi, il cinema si presenta
come l'esempio tipico del falso movimento: esso, infatti, procede con due dati
complementari, delle sezioni istantanee che si chiamano immagini e un movimento,
o tempo impersonale, uniforme e astratto, che è nella macchina da presa
e con cui si fanno "sfilare" le immagini. Il cinema dunque ricostruisce
il movimento con delle sezioni immobili come il più vecchio dei pensieri
(paradosso di Zenone). Tuttavia, sostiene Deleuze, non si può concludere
l'artificialità del risultato a partire dall'artificialità dei mezzi:
infatti il cinema, sebbene proceda con fotogrammi che sono delle sezioni immobili
di tempo (sequenze di 18 o 24 immagini al secondo), ci restituisce un'immagine
media (ovvero risultante dalla somma di tutti i fotogrammi) a cui il movimento
non si aggiunge astrattamente, ma che appartiene invece all'immagine come dato
immediato. Attraverso la cinepresa mobile e il montaggio, il cinema non ci offre
un'immagine alla quale aggiungerebbe, solo in un secondo momento, il movimento,
ma ci dà immediatamente un'immagine-movimento. Attraverso l'inquadratura,
la macchina da presa ritaglia dallo spazio aperto del mondo un sistema chiuso,
una sezione mobile del tempo-durata, un sottoinsieme fatto di immagini, di personaggi
e di oggetti posti in relazione dinamica tra di loro. A differenza di quelle arti
fatte di pose (scultura, pittura, fotografia), le quali rimandano a forme e idee
eterne ed immobili, il cinema, come la danza e il mimo, libera valori "non-posati",
riporta il movimento all'istante qualsiasi; esso non cerca il "tutto",
poiché il movimento si fa solo se il tutto non è né può
essere dato: appena ci si dà il tutto, il tempo diviene immagine dell'eternità
e di conseguenza non c'è più posto per il movimento reale che è
puro divenire senza sosta. Queste riflessioni aprono la possibilità per
una nuova filosofia: mentre la filosofia antica si proponeva di pensare l'eterno,
l'universale, il cinema diventa il portavoce dell'altra filosofia, capace di un
modo di pensare nuovo che cerca il singolare, in ogni istante qualsiasi.
Gilles Deleuze L'inquadratura,
il piano e il montaggio sono i mezzi attraverso i quali il cinema costruisce il
suo sistema di relazioni tra immagini. L'inquadratura è il punto di vista,
il sistema chiuso che comprende tutto ciò che è presente nell'immagine.
Essa può comporsi secondo schemi geometrici, dinamiche di luci e ombre,
"disinquadrature" e fuori campo, e il suo scopo è rendere l'immagine
leggibile, oltre che visibile, dallo spettatore. Il piano rappresenta il movimento
stesso, il rapporto tra le parti e il cambiamento che ne scaturisce è l'immagine-movimento
stessa, la sezione mobile della durata secondo la visione bergsoniana. Attraverso
esso si rende possibile una modulazione spazio-temporale grazie alla quale il
tempo assume il potere di dilatarsi o concentrarsi e il movimento assume il potere
di rallentare o accelerare. Infine il montaggio che rappresenta il tutto del film,
l'idea che ci fa dono di un'immagine della durata e del tempo effettivi. Deleuze,
ripercorrendo la storia del grande cinema d'autore, individua diverse scuole di
montaggio che sembrano segnare un percorso di trasformazione da un cinema classico
a un cinema moderno che si differenziano per la diversa immagine del tempo che
hanno saputo dare: mentre il cinema classico ha veicolato un'immagine indiretta
del tempo, proveniente dalle immagini-movimento e dai loro rapporti, il cinema
moderno ha dato un'immagine diretta del tempo grazie ad immagini-tempo che hanno
instaurato nel cinema un regime di scambio tra immaginario e reale, tra soggettività
e oggettività, con il fine di comunicare l'idea del passaggio, del cambiamento
quale natura stessa del tempo. Deleuze concepisce il tempo quale direttamente
rappresentabile poiché l'immagine-tempo ha la facoltà di esprimere
la natura del tempo, il fuggevole, in una forma compiuta: "ma la forma di
ciò che cambia, non cambia, non passa. È il tempo, il tempo in persona…un'immagine
tempo diretta, che da a ciò che cambia la forma immutabile nella quale
si produce il cambiamento" (6). Tra gli autori
di immagini-movimento, Deleuze individua diverse forme di montaggio utilizzate:
la tendenza organica della scuola americana, la tendenza dialettica della scuola
sovietica, la tendenza quantitativa della scuola francese d'anteguerra e infine
la tendenza intensiva della scuola espressionista tedesca. La
scuola americana concepisce con Griffith un'idea di montaggio in cui i personaggi
e le azioni sono presi in rapporti binari che costituiscono un montaggio alternato
parallelo, con l'immagine di una parte che succede a quella di un'altra seguendo
un ritmo, un'alternanza delle parti differenziate; ad esempio, il mondo dei poveri
e il mondo dei ricchi, oppure il mondo dei buoni e quello dei cattivi, vengono
presentati come sfere in conflitto, indipendenti le une dalle altre, appunto come
modi paralleli, manicheicamente opposti, mentre si trascura il fatto, commenta
Deleuze, che le parti in opposizione sono in realtà il frutto di una stessa
causa, le due facce della stessa realtà sociale di sfruttamento. Le parti
distinte entrano in conflitto, ma le azioni tendono a ricongiungersi, fino ad
arrivare ad una situazione trasformata che costituisce una grande unità
organica. Nei film russi di Eisenstein, Vertov, Pudovkin e Dovzenco l'obiettivo
del montaggio è quello di comunicare l'idea di una meta unitaria da raggiungere
(presa di coscienza, azione politica) attraverso una giustapposizione di situazioni
legate tra loro e in evoluzione. L'opposizione dialettica, il passaggio da un
opposto all'altro si realizzano attraverso il ricorso al patetico (l'immagine
viene caricata di una tensione emotiva fino ad esplodere, ed emergere dall'insieme
come "immagine al quadrato"; pensiamo, ad esempio, alla carrozzina del
Potëmkin.) e al montaggio di opposizione: questo si differenzia dal montaggio
parallelo poiché l'unità a cui riporta non è un semplice
assemblaggio di parti giustapposte, ma una spirale organica che cresce attraverso
le contraddizioni per arrivare ad un'unità più elevata, appunto
ad una sintesi dialettica. Il cinema francese degli stessi anni è profondamente
legato, invece, allo spiritualismo. Il movimento della macchina da presa rispecchia
il movimento dell'anima, la passione. Le diffuse immagini d'acqua (mare, fiumi,
riprese subacquee) diventano la forma di quanto non ha consistenza organica: l'astratto,
lo spirito (ne L'Atalante di Jean Vigo l'acqua diventa il luogo dell'apparizione
di fantasmi). Attraverso il montaggio accelerato, la polivisione, la sovrimpressione
delle immagini, il tempo e il movimento diventano smisurati, incommensurabili:
il sublime matematico kantiano fa così la sua apparizione nel cinema. Il
senso del sublime dinamico, invece, emerge dai giochi di luce nei film dell'espressionismo
tedesco. Il contrasto diventa la matrice del montaggio, luce e ombra creano un
mondo striato, lo spazio è costruito attraverso una geometria gotica. La
luce che si oppone alle tenebre, la vita che lotta con l'inorganico per emergere
atterrisce l'immaginazione, ma dà vita allo stesso tempo ad una facoltà
pensante attraverso cui ci sentiamo superiori rispetto a tutto ciò che
ha il potere di annientarci. ( Nosferatu di Murnau, Der Golem
di Wegener, Frankenstein di Whale). Con
l'immagine-tempo il montaggio tende quasi a scomparire a vantaggio del piano sequenza
e della profondità di campo: l'uno trasmette il senso della continuità
di durata, l'altro (sperimentato da Welles), facendo comunicare lo sfondo con
il primo piano, il lontano con il vicino, rappresenta il rapporto tra passato
e presente, ovvero un'immagine-tempo diretta. L'immagine-tempo inaugura uno stile
frammentato che abbandona l'idea di montaggio come associazione, concatenamento
tra immagini, per dare importanza alla spaziatura, al vuoto che si crea tra le
immagini. Mentre l'immagine classica costruiva sequenze di montaggio secondo leggi
di associazione o opposizione che sfociavano poi in concetti, l'immagine moderna
instaura un "regno degli incommensurabili", in cui le immagini non si
associano più in maniera razionale, ma vengono spezzettate per poi essere
riconcatenate. Il fuori campo e il falso raccordo assumono un nuovo senso. In
Godard, ad esempio, a differenza del cinema classico dove persisteva l'ideale
dell'identità e del sapere come totalità e armonia, il mixage sostituisce
il montaggio: le immagini appaiono dissociate, non c'è più unità
tra autore, personaggi e mondo; il rapporto tra il sonoro e il visivo diventa
asincronico, la voce fuori campo si fa indipendente dalle immagini e la sua funzione
è quella di produrre un sistema di sganciamenti e intrecci tra presente
e passato. Qualunque sia la forma di montaggio scelta,
la macchina da presa agisce come una coscienza giudicante, ritaglia una visione
particolare dal flusso continuo della materia e, isolando una sezione nell'insieme
infinito delle immagini, agisce come lo schermo nero posto dietro la lastra fotografica
che fa sì che l'immagine si distacchi. Deleuze
costruisce una vasta tassonomia di immagini cinematografiche, elaborandola sulla
scia del sistema di classificazione generale delle immagini e dei segni stabilito
dal logico americano Peirce. Se un'immagine può esprimere un concetto,
possiamo pensare allora che esistono convenzioni simboliche e discorsive per interpretare
i segni cinematografici? Ovvero esiste un repertorio codificato di immagini-significato
come nella lingua oppure un'immagine, a differenza di una parola, non significa
sempre la stessa cosa? Nel cinema troviamo tre tipi di immagini a costituire l'immagine-movimento:
immagini affezione e pulsione (rappresentano la "primità", secondo
la semiotica di Peirce), immagini azione ("secondità"), immagini
relazione ("terzità"). Vi sono immagini
che hanno una relazione per così dire "naturale" con le cose
che rappresentano, come nel caso di un ritratto che viene associato automaticamente
al suo modello. Ciò che lega le due entità è soprattutto
l'abitudine a vederle associate, il patrimonio comune di gesti che tutti noi compiamo;
così, ad esempio, l'apparizione di un'arma richiama subito un significato
di violenza o di dolore. Queste immagini sono dei cliché. In questo senso
l'immagine filmica, come l'immagine poetica, non significa ma mostra, non è
segno ma intuizione lirica, senso immanente all'immagine stessa, realtà
direttamente presente senza mediazione simbolica o riformulazione del reale stesso.
Il primo piano cinematografico è un'immagine affezione e il suo ruolo è
quello di astrarre l'immagine dalle coordinate spazio-temporali per trasformarla
in icona, espressione pura di un affetto che non esiste separatamente da ciò
che lo esprime: nel vedere un volto sofferente vediamo la sofferenza in persona.
L'immagine affezione esprime qualità o potenze considerate in sé,
senza riferimento a nient'altro. L'affetto è impersonale, esprime il possibile
senza attualizzarlo e si distingue da ogni stato di cose individuato, ma allo
stesso tempo esprime qualcosa di singolare, all'interno di una storia che lo presenta
come l'espressione di un'epoca o di un ambiente. Il film affettivo per eccellenza
è, secondo Deleuze, La passione di Giovanna D'Arco di Dreyer.
Il regista astrae la passione dal processo attraverso un predominanza di primi
piani del volto della santa, mentre il piano medio e quello generale sono costruiti
con assenza di profondità come fossero anch'essi primi piani. Anche uno
spazio qualsiasi può esprimere qualità e potenze ed essere quindi
un'immagine affezione. A metà strada tra l'immagine
affezione e l'immagine azione troviamo l'immagine pulsione, la quale rappresenta
un affetto degenerato che si manifesta in un'azione "embrionata", informe
o perlomeno non formale. Troviamo immagini pulsione in tutti i film naturalisti;
le pulsioni rappresentate sono spesso semplici come la fame ed il sesso e sono
inseparabili dai comportamenti perversi che producono e animano. Buñuel,
considerato con Stroheim e Losey uno dei massimi naturalisti del cinema, ha arricchito
l'inventario di pulsioni e perversioni spirituali ancora più complesse,
riguardanti questioni teologiche e filosofiche (in Simon del deserto ,
ad esempio). A differenza del realismo che si esprime attraverso immagini azione,
il naturalismo esprime una violenza statica, interiore, che si impossessa dei
personaggi e fuoriesce da essi fino a penetrare l'ambiente e a degradarlo. L'immagine-azione
o "secondità" rappresenta tutto ciò che esiste solo opponendosi
a qualcos'altro, come in una relazione duale: azione-reazione, eccitazione-risposta,
situazione-comportamento. Ci troviamo all'interno della categoria del reale, dell'attuale,
dell'esistente, dove le qualità e le potenze si attualizzano in stati di
cose particolari. Siamo nell'ambito del realismo, il genere che ha fatto trionfare
universalmente il cinema americano. Nel regno della "secondità"
la situazione e il personaggio (o l'azione) sono due termini correlativi e antagonisti:
l'ambiente agisce sul personaggio, il personaggio reagisce a sua volta in modo
tale da rispondere alla situazione e modificare l'ambiente, pervenendo dunque
ad una nuova situazione. Molti generi di film hanno una simile struttura: tutti
i film di guerra; i film-documentario (Flaherty), dove si vede l'uomo, o la natura
in genere, fronteggiare le sfide dell'ambiente; i film psico-sociali (King Vidor,
Elia Kazan), dove da una comunità emerge la figura di un capo in grado
di rispondere alle difficoltà della situazione (qui il realismo descrive
una patologia dell'ambiente e le reazioni ad essa da parte dei personaggi che
la subiscono); i film western (John Ford), dove il duale, lo scontro tra due forze
antagoniste si esprime attraverso la rappresentazione del duello; i film storici
(Griffith, De Mille, Hawks), dove sotto la forma dell'immagine-azione troviamo
rappresentati i tre aspetti della storia definiti da Nietzsche: l'aspetto monumentale
nei paralleli o nelle analogie tra una civilizzazione e un'altra (ha il suo capolavoro
in Intolerance di Griffith), l'aspetto antiquario nelle ricostruzioni
scenografiche e costumistiche, l'aspetto critico nella struttura stessa del film,
da cui emerge sempre e comunque un forte giudizio etico sul passato narrato dalla
storia. L'immagine azione ha tuttavia anche un'altra forma, una piccola forma
sostiene Deleuze, dove questa volta è l'azione che svela la situazione,
o un aspetto di essa, la quale a sua volta dà inizio ad una nuova azione.
La nuova immagine azione procede per indizi, per ellissi e per equivoci. L'azione
svela una situazione non data che viene dedotta dall'azione stessa, oppure una
piccolissima differenza tra due azioni produce una grandissima distanza tra due
situazioni, delle quali una sola è reale e l'altra apparente o menzognera.
Questa nuova formula dell'immagine è comune a molti film gialli o polizieschi
e al burlesque : in molti film di Chaplin l'azione è filmata mettendo
in evidenza ogni sua più piccola differenza rispetto ad un'altra azione,
per svelare così la grande distanza tra due situazioni. Deleuze cita l'esempio
di Charlot che in guerra segna un punto ogni volta che spara, ma quando una pallottola
nemica gli risponde, lo cancella. All'ultima categoria,
detta "terzità", appartengono quelle specie di immagini (immagini
relazione) che hanno una relazione "astratta" con il senso che veicolano.
Questa relazione è costruita su una convenzione e di conseguenza queste
immagini rendono il film più difficile: esse vanno interpretate in quanto
non sono leggibili intuitivamente e il loro senso va cercato nella storia che
le riguarda, nella loro funzione di simbolo all'interno della cultura a cui appartengono,
nel tessuto relazionale in cui sono inserite. Per esempio i gabbiani che attaccano
gli uomini nel film Gli uccelli di Hitchcock (massimo creatore di immagini
relazione secondo Deleuze) sono il simbolo (relazione astratta) dell'inversione
del rapporto uomo-natura, e soltanto intuendo questa relazione siamo in grado
di comprendere il senso dell'intero film. Ma sono
proprio queste immagini ad avvicinare il cinema al pensiero e ad allontanarlo
dai luoghi comuni. Deleuze si serve della classificazione delle figure del discorso
di Fontanier per descrivere le diverse forme assunte dall'immagine relazione:
così un'immagine può avere il valore dei tropi letterari ed essere
letta come una metafora, una metonimia o una sineddoche oppure valere come allegoria,
simbolo, sillogismo, e animare delle figure di pensiero. Il cinema può
porre ora delle domande trascendenti o esistenziali, domande su Dio o sulla vita,
e le pone attraverso delle immagini mentali che non rappresentano il pensiero
di qualcuno, ma concernono gli stessi oggetti che possiedono un'esistenza propria
al di fuori del pensiero e la relazione che si stabilisce tra essi. L'interpretazione
si fa necessaria per la comprensione di queste immagini, per cogliere la relazione
che le lega, poiché esse non sono unite naturalmente nello spirito, ma
in virtù di una legge esterna. Il mentale
mette in crisi l'immagine tradizionale del cinema e anche se si continuano a fare
film d'azione, essi non esprimono più la vecchia anima del cinema che ora
esige sempre più pensiero. La crisi dell'immagine azione dipende, secondo
Deleuze, da molte variabili, dalla guerra e dalle sue conseguenze, dal vacillare
del sogno americano, dall'inflazione delle immagini nel mondo esterno e nella
mente della gente e dall'influenza sul cinema delle nuove tipologie del racconto,
già sperimentate dalla letteratura. Cadono le illusioni e il realismo non
è più in grado di raccontare il nuovo stato di cose. L'immagine
non rinvia più a una situazione sintetica, ma dispersiva; i personaggi
sono molteplici e non è più possibile distinguere un personaggio
principale da uno secondario. La realtà stessa sembra lacunosa e confusa
e il caso sembra essere il solo filo conduttore che lega gli avvenimenti. L'azione
viene sostituita dalla flanerie , dal vagare senza meta e la nuova immagine
vuole superare quelli che ormai sono diventati i cliché dell'immagine azione
(gli eroi, il lieto fine). Il cinema americano si limita in questo nuovo contesto
ad una mera critica, ad una denuncia che costituisce però una semplice
parodia dei cliché che non conduce a nulla e che dunque non è pericolosa.
Il nuovo progetto estetico, e politico, nasce in Europa con il Neorealismo in
Italia, prosegue con la Nouvelle Vague in Francia e va oltre, fino a cambiare
lo stesso cinema americano, con Welles e il New American Cinema, ed arrivare ad
oggi con una ricerca che non sembra ancora esaurita. Con
l'immagine mentale, l'immagine-movimento arriva al proprio limite, aldilà
di essa troviamo l'immagine-tempo, costituita a sua volta da immagini ottico-sonore
pure, immagini ricordo, immagini sogno, fino ad arrivare alle immagini cristallo.
La nuova immagine allude a visioni del mondo alternative
dove il tempo può seguire una linea spezzata o un percorso circolare e
non essere più strutturato secondo l'idea di un fine a cui tendere. La
realtà assume una nuova forma che è errante, ellittica, sempre ambigua.
Il Neorealismo inaugura un nuovo cinema che Deleuze definisce del "veggente".
Alle situazioni senso-motorie del vecchio cinema d'azione realista si sostituiscono
delle situazioni puramente ottiche e sonore: i personaggi dei nuovi film sembrano
essere divenuti essi stessi degli spettatori di una situazione che subiscono senza
poter reagire. Il personaggio è come consegnato a una visione piuttosto
che impegnato in un'azione. I bambini, che nel mondo adulto soffrono "di
una certa impotenza motoria", sono spesso i protagonisti (in De Sica e in
Truffaut) proprio perché più capaci di vedere e di sentire. Gli
ambienti e gli oggetti che popolano le inquadrature acquistano valore per se stessi
(Visconti e Antonioni). La banalità quotidiana oppure i ricordi d'infanzia,
i sogni e le immagini soggettive animano le nuove immagini fino a confondere la
realtà con lo spettacolo (Fellini); la realtà trascorre nell'immaginario
e ne esce deformata dal pensiero, diviene una nuova realtà, creata dalla
mente attraverso la parola e la visione, finché attuale e virtuale, reale
e immaginario si fanno indiscernibili. Spesso nella sceneggiatura è assente
ogni intreccio, proliferano i tempi morti e le conversazioni banali, oppure il
silenzio. Le nuove immagini che esprimono il divenire, il passaggio, rappresentano
l'essenza del tempo. Immagini visive e sonore rendono sensibili il tempo e il
pensiero e fanno di essi uno strumento di conoscenza. L'immagine
ottico-sonora rievoca un'immagine ricordo: l'immagine attuale (descrizione) si
concatena con un'immagine virtuale (ricordo) componendo un circuito che va dal
presente al passato per tornare al presente, attualizzando il ricordo attraverso
il meccanismo del flash-back. Attraverso questo tipo di montaggio (di cui Mankiewicz
è il più grande maestro, secondo Deleuze) si producono delle relazioni
non lineari tra le situazioni, si impongono delle svolte nella narrazione, delle
rotture di causalità che creano degli enigmi. Ancora una volta si instaura
un circuito di indiscernibilità tra l'immagine attuale del presente e l'immagine
attualizzata del virtuale-ricordo, mentre le immagini sogno emergono quando non
si riesce a ricordare e l'immagine attuale del presente entra in contatto con
l'elemento virtuale del sogno o del déjà-vu . Da questo
nuovo tipo di immagine nasce il confronto tra cinema e psicanalisi e da qui ha
anche origine il Surrealismo (Buñuel). Il montaggio è fatto da dissolvenze
e sovrimpressioni che esprimono l'idea di un coinvolgimento del passato nel presente
in una forma anarchica e da tagli improvvisi delle sequenze che producono l'idea
di uno sganciamento, di una rottura. Si tratta per Deleuze (che riprende la teoria
bergsoniana del sogno) di falde di passato fluide che emergono disordinatamente
incarnandosi in delle metafore, senza presentarsi direttamente in immagini attualizzate
del passato (come avviene nel ricordo). Tra le immagini sogno Deleuze pone anche
i film della commedia musicale (i film di Minnelli fra tutti), in cui le danze
sembrano voler riprodurre un mondo onirico, creare un sogno gigantesco ed esprimere
il passaggio da questo alla realtà in un andirivieni che di nuovo marca
l'indiscernibilità tra reale e immaginario. Infine
l'immagine cristallo. Essa si produce quando "l'immagine ottica attuale si
cristallizza con la propria immagine virtuale" (7), quando l'immagine presenta
una doppia faccia insieme attuale e virtuale, producendo una nuova forma di indiscernibilità.
Deleuze parla di immagini doppie per natura nelle quali l'indiscernibilità
tra attuale e virtuale, presente e passato, reale e immaginario, vero e falso
non si produce nella mente dello spettatore, ma è un vero e proprio carattere
oggettivo di questo tipo di immagini. Un esempio efficace di immagine cristallo
è l'immagine allo specchio: "l'immagine allo specchio è virtuale
in rapporto al personaggio attuale che lo specchio coglie, ma è attuale
nello specchio che lascia al personaggio soltanto una semplice virtualità
e lo respinge fuori campo" (8). Tra i numerosi autori di immagini cristallo
ricordati da Deleuze ci sono Orson Welles (ne la Signora di Shangai
si ricorda la celebre sequenza della stanza degli specchi), Tarkovskij (un suo
film si intitola appunto Lo specchio ), Resnais (la confusione di passati-presenti
di L'anno scorso a Marienbad ). L'immagine
reciproca del cristallo, presente e passata contemporaneamente, somiglia all'illusione
della paramnesia, al déjà-vu: ricordo del presente, passato contemporaneo
al presente stesso. Tuttavia l'immagine cristallo non ha una natura mentale o
psicologica, ma esiste fuori della coscienza e nel tempo, quasi come un frammento
di tempo allo stato puro. Il passato si forma contemporaneamente al presente e
non dopo di esso e dunque il tempo si sdoppia in ogni istante e l'immagine attuale
del presente che passa si forma simultaneamente all'immagine virtuale del passato
che si conserva, fino a formare un circolo. Il reale si colloca all'esterno dell'immagine
cristallo, l'avvenire è al di fuori del circolo, oltre l'eterno rinvio
tra passato e presente. Molti autori di cinema scelgono di restare intrappolati
nel cristallo, come Visconti, altri cercano uno slancio verso l'avvenire, Renoir
ad esempio, altri ancora, come Fellini, si pongono il problema di come entrare
nel cristallo e si aiutano con ricordi d'infanzia, fantasmi, fantasticherie.
Note 1. Walter
Benjamin L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica,
Einaudi, 1991, p. 22 2. Ib., p. 34 3.
Ib., p. 27 4. Ib., p. 38 5.
Gilles Deleuze Cinema 1 L'immagine-movimento , (1983), tr. it. di J.P.
Manganaro, Ubulibri, 1993; Cinema 2 L'immagine-tempo (1985), tr. it.
di L. Rampello, Ubulibri, 1997. 6. Gilles Deleuze,
Cinema 2 L'immagine-tempo, cit, p. 28 6.
Ib., p. 83 7. Ib., p. 84
(Tratto dal
sito Il giardino dei pensieri - Studi di storia della filosofia.)
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