L'antropologo Claude Lévi-Strauss è stato colui
che, con la sua utilizzazione del modello della linguistica strutturale nelle
indagini sulle strutture della parentela e sui miti e con le sue teorie generali
sul concetto di struttura, ha più contribuito alla formulazione e alla
diffusione di quello che è stato chiamato strutturalismo. Nato nel
1908 a Bruxelles da genitori francesi, è vissuto a Parigi, dove si è
laureato in filosofia nel 1931; nel 1935 si trasferisce in Brasile, dove rimane
sino al 1939, compiendo spedizioni in Amazzonia e nel Mato Grosso. Nel 1939 torna
in Francia, ma si rifugia poi negli Stati Uniti, dove insegna a New York, entra
in contatto con l' antropologia americana e stringe amicizia con Jakobson. Rientrato
in Francia nel 1948, nel 1950 insegna all' Ecole Pratique des Hautes Etudes e
dal 1954 Antropologia sociale al Collège de France; nel 1973 è stato
eletto all' Accademia di Francia. Le sue opere principali sono: Le strutture
elementari della parentela (1949), Tristi tropici (1955), Antropologia strutturale
(1958), Il totemismo oggi(1962), Il pensiero selvaggio (1962, dedicato a Merleau-Ponty),
Mitologiche ( Il crudo e il cotto , 1964, Dal miele alle ceneri , 1966-67; L'
origine delle buone maniere a tavola , 1968; L' uomo nudo , 1971), Antropologia
strutturale due (1973) e Lo sguardo da lontano (1983). Secondo Lévi-Strauss,
la linguistica di Saussure rappresenta " la grande rivoluzione copernicana
nell' ambito degli studi dell' uomo ", ma sullo sfondo dei suoi studi di
antropologia è la tradizione della scuola di Durkheim. Questi aveva mostrato
che i fenomeni socio-culturali non sono spiegabili come espressioni di istinti
o di scelte individuali volontarie e consapevoli, ma in termini di rappresentazioni
collettive. I concetti basilari della religione, come Dio, anima, spirito o totem,
hanno la loro origine nell' esperienza con cui gli uomini avvertono la forza e
la maestà del gruppo sociale e sono il prodotto di una sorta di mente collettiva.
Sulla linea dello studio delle rappresentazioni collettive, l' allievo e nipote
di Durkheim, Marcel Mauss (1872-1950), aveva individuato, nel Saggio sul dono
(1924), alla base dello scambio arcaico il triplice obbligo, radicato nella
mente umana, di dare, ricevere e restituire, ossia un principio di reciprocità,
da cui dipendono le relazioni di solidarietà tra individui e gruppi, mediante
lo scambio di doni pregiati. A questi problemi si collega l' opera fondamentale
di Lèvi-Strauss, Le strutture elementari della parentela. L' obiettivo
di essa è di individuare la logica sottostante a tutti i sistemi di parentela
al di là della loro varietà, ossia la struttura invariante rispetto
a cui essi sono tutti trasformazioni. Alla base di tutti i sistemi matrimoniali
è, secondo Lèvi-Strauss, la proibizione dell' incesto, la quale
impedisce l' endogamia: l' uso di una donna, vietato all' interno del gruppo parentale,
diventa disponibile ad altri. Grazie alla proibizione dell' incesto è reso
allora possibile lo scambio di un bene pregiato, le donne, tra gruppi sociali
e quindi lo stabilimento di forme di reciprocità e di solidarietà
che garantiscono la sopravvivenza del gruppo. Sono queste le relazioni invarianti
necessarie in ogni società, alla luce delle quali diventa possibile studiare
le varie forme che assumono le relazioni di parentela, individuando due categorie
essenziali di sistemi matrimoniali, quello a scambio limitato, tra cugini, di
tipo prescrittivo, e quello a scambio generalizzato, di tipo preferenziale. L'
antropologia, alla pari della geologia, della psicanalisi, del marxismo e soprattutto
della linguistica, diventa in tale modo scienza capace di cogliere le strutture
profonde, universali, a-temporali e necessarie, al di là della superficie
degli eventi, che è sempre ingannevole, e al di là dell' apparente
arbitrarietà degli elementi che costituiscono ogni società. A queste
strutture si accede non attraverso la descrizione puramente empirica delle varie
situazioni di fatto, ma mediante la costruzione di modelli. Essi sono sistemi
di relazioni logiche tra elementi, sulle quali è possibile compiere esperimenti,
ossia trasformazioni, in modo da individuare ciò che sfugge all' osservazione
immediata. I modelli non hanno mai perfetta rispondenza alla realtà, ma
non sono neppure semplici costrutti puramente soggettivi o dotati soltanto di
valore metodologico: essi hanno valore oggettivo, perchè mettono in luce
le strutture che formano l' ossatura logica della realtà. A queste strutture
si accede non attraverso la descrizione meramente empirica delle varie situazioni
di fatto, ma mediante la costruzione di modelli. Essi sono sistemi di relazioni
logiche tra elementi, sulle quali è possibile compiere esperimenti, ossia
trasformazioni, in modo da individuare ciò che sfugge all' osservazione
immediata. I modelli non hanno mai perfetta rispondenza nella realtà, ma
non sono neppure semplici costrutti puramente soggettivi o dotati soltanto di
valore metodologico: essi hanno valore oggettivo, perchè mettono in luce
le strutture che formano l' ossatura logica della realtà. La struttura,
infatti, non è una pura e semplice forma, ma "è il contenuto
stesso colto in una organizzazione logica concepita come proprietà del
reale". Una disposizione di parti costituisce una struttura, quando è
un sistema retto da una coesione interna, che si manifesta nel momento in cui
sene studiano le trasformazioni, non storiche, ma secondo regole logiche: grazie
a questo studio è infatti possibile rintracciare proprietà simili
in sistemi apparentemente diversi. Per definire una struttura occorre collocarsi,
come fa la linguistica, sul piano delle regole grammaticali e sintattiche, non
su quello del vocabolario, ossia degli elementi singoli. In questo senso, la struttura
di cui parla Lévi-Strauss, si distingue nettamente dalla struttura sociale,
di cui parlano gli antropologi britannici, in primo luogo Alfred Radcliffe-Brown
(1881-1955), per i quali essa è l' insieme di relazioni sociali, empiricamente
osservabili, tra gli individui, che ne consentono il funzionamento e la stabilità.
Secondo Lévi-Strauss, invece, il fenomeno empirico è soltanto una
combinazione logicamente possibile di elementi: per poterlo spiegare occorre ricostruire
preliminarmente il sistema globale di cui esso è soltanto una variante.
Dalla scuola durkheimiana, Lévi-Strauss riprende l' idea della natura psichica
dei fatti sociali: questi sono sistemi di idee oggettive, ossia di categorie che
nel loro insieme costituiscono lo spirito umano nella sua universalità,
ma questi sistemi non sono elaborazioni consce, bensì inconsce. Il fondamento
ultimo è dato dallo spirito umano inconscio, che si rivela attraverso i
modelli strutturali della realtà. Obiettivo dell' antropologia diventa
allora la contemplazione dell' architettura logica dello spirito umano, al di
là delle sue molteplici manifestazioni empiriche. L' attività inconscia
collettiva tende a privilegiare una logica binaria, ossia una logica che costruisce
categorie mediante contrasti o opposizini binarie. Per quanto riguarda la lingua,
la fonologia ha messo in luce che alla base del sistema dei suoni significativi,
c'è un piccolo numero di sistemi di contrasto. Questo stesso tipo di logica
presiede anche alla costruzione dei miti.
I miti secondo Lévi-Strauss, non sono espressioni di sentimenti o spiegazioni
pseudoscientifiche di fenomeni naturali o riflessi di istituzioni sociali, ma
non sono neppure privi di regole logiche. Come è possibile spiegare il
fatto che i contenuti dei miti sono contingenti e appaiono arbitrari, eppure presentano
forti somiglianze nelle diverse regioni del mondo? La risposta secondo Lévi-Strauss,
sta nel fatto che il mito è l' espressione dell' attività inconscia
dello spirito umano e si struttura come un linguaggio. Come la funzione significativa
di una lingua non è direttamente collegata ai suoni, ma al modo in cui
i suoni sono combinati tra loro, così anche i miti sono formati di unità
costitutive minime, le cui combinazioni avvengono secondo precise regole e danno
luogo a unità significanti. In questo senso, i miti non sono creazioni
puramente individuali e il compito di uno studio scientifico dei miti consiste
nel mostrare non come gli uomini pensano e costruiscono i miti, ma "come
i miti si pensano negli uomini, e a loro insaputa". Gli elementi della riflessione
mitica si collocano a metà tra le immagini connesse alla percezione e i
concetti, cosicchè il pensiero mitico resta legato a immagini, ma, lavorando
con analogie e paragoni, può dare origine a generalizzazioni e costruire
nuove serie combinatorie degli elementi di base, che restano costanti. Di tali
strutture, il pensiero mitico si serve per produrre un oggetto che abbia l' aspetto
di un insieme di eventi, ossia un racconto. In particolare, il sistema mitico
e le rappresentazioni che esso suscita stabiliscono correlazioni tra condizioni
naturali e condizioni sociali ed elaborano un codice che permette di passare da
un sistema all' altro di opposizioni binarie pertinenti a questi piani. Il materiale
è fornito dalle classificazioni, per esempio di animali e vegetali, che
hanno tanta parte nel pensiero primitivo: esse non sono solo legate all' esigenza
pratica di permettere un miglior soddisfacimento dei bisogni, ma nascono dall'
esigenza intellettuale di introdurre un principio di ordine nell' universo. In
questo senso, Lévi-Strauss rivendica, ne Il pensiero selvaggio, l' esistenza
di un autentico pensiero anche nei primitivi, il quale è alla base di ogni
pensiero e non è una mentalità pre-logica, come aveva sostenuto
Lucien Lévi-Bruhl (1857-1939), esclusivamente caratterizzata da una partecipazione
affettiva e mistica con le cose, nettamente distinta dal pensiero logico. L' unica
differenza, secondo Lévi-Strauss, è data dal fatto che il pensiero
"selvaggio", quale si esprime anche nei miti, è più legato
all' intuizione sensibile e, quindi, più attento a salvaguardare la ricchezza
e la varietà delle cose e a memorizzarla. L' ultimo capitolo de Il pensiero
selvaggio è una polemica contro la Critica della ragion dialettica
di Sartre. Definendo l' uomo in base alla dialettica e alla storia, Sartre ha
di fatto privilegiato, secondo Lévi-Strauss, la civiltà occidentale,
isolandola dagli altri tipi di società e dai popoli "senza storia".
In Razza e storia, Lévi-Strauss aveva riconosciuto che ogni società
vive nella storia e muta, ma che diversi sono i modi in cui le varie società
reagiscono a ciò. Le società primitive hanno subito trasformazioni,
ma in seguito resistono a tali modificazioni : in questo senso, esse sono società
fredde, ossia con un basso grado di temperatura storica, e la loro storia è
fondamentalmente stazionaria. Esse si distinguono dunque dalle società
calde, come quella occidentale, perennemente in divenire e caratterizzate da una
stria cumulativa, le quali hanno come costo della loro instabilità i conflitti.
In prospettiva, Lévi-Strauss auspica una integrazione tra questi due tipi
di società e le corrispondenti forme di cultura e di pensiero. Egli rifiuta,
dunque, ogni forma di etnocentrismo, in quanto ogni cultura realizza soltanto
alcune delle potenzialità umane. Questo significa abbandonare ogni forma
di umanesimo e di stoicismo, ossia respingere l' equivalenza, dominante nel mondo
occidentale, tra le nozioni di storia e di umanità: la storia è
soltanto una delle scelte possibili che gli uomini possono compiere.
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