Un giovane torna dalla guerra e non riesce a reinserirsi, non
lo interessano più né le amicizie di prima né tanto meno
il lavoro nell'azienda paterna. I genitori sono preoccupati, perché lo
stato d'animo perdura oltre quanto loro pensano un tempo ragionevole. La madre
è più paziente, come è ovvio, il padre è preoccupato:
il figlio non sembra avere alcuna fretta di occuparsi degli affari di famiglia. Uno
psichiatra oggi potrebbe parlare di disturbo post-traumatico da stress, o magari
di una depressione, visto che la cosa va per le lunghe, e il giovane non va più
né con gli amici né con le ragazze. Ma se la cosa poi sfocia in
un litigio col padre, a cui il giovane ruba la merce per rivenderla, si potrebbero
usare altre etichette diagnostiche: comportamento antisociale, spiegabile magari
in termini di conflitto edipico non risolto, o lotta politico-generazionale. Certo
poi quando il ragazzo, portato in giudizio dal padre, si denuda di fronte al suo
giudice si sospetterà l'episodio psicotico. E come minimo un acting out
da border line. Detto così fa impressione. Questo è l'esordio
della storia di Francesco, prima di essere riconosciuto il santo universale che
è. Ma si può essere santi senza essere universali? E magari non
è detto che tutte le etichette siano sbagliate, semplicemente sono riduttive,
come se fotografassero dei dettagli senza mai riuscire a cogliere l'insieme, che
è troppo più grande delle singole parti. Lo psicoanalista vede il
conflitto edipico, il sociologo e lo storico parleranno dei conflitti del protocapitalismo,
lo psichiatra che marcia con il manuale diagnostico che va per la maggiore avrà
come abbiamo detto più di una categoria dove rinchiudere il paziente. Francesco
è sempre stato ingombrante, da vivo e da morto, durante il suo tempo e
quasi ottocento anni dopo. Non ne vuol sapere di stare in una scatola e, benché
faccia dell'obbedienza professione di fede, è uno di quelli che alla fin
fine obbedisce solo, come Gandhi, alla " piccola voce interiore". Nessuno
ne parla male, anzi, sta simpatico a tutti, e tutti cercano di tirarlo per la
giacchetta, anzi per il saio, dalla loro parte. Questo è sempre un rischio. Lo
scrittore Messori ha avuto la sfacciataggine di arruolarlo cappellano militare
al seguito della crociata, pur di attaccare i pacifisti confratelli di Assisi
che Roma vede troppo indipendenti; gli ecologisti lo hanno eletto loro patrono
e spero che non lo si arruoli di diritto tra i verdi con Pecoraro (nome verdeggiante
anch'esso) Scanio. La Chiesa lo ha fatto addirittura patrono d'Italia, ma si
è adoprata perfino con una bolla papale per interpretare in modo più
morbido certe asperità del suo testamento, anzi, per modificarlo addirittura.
L'ordine da lui fondato ne tradiva le regole in ogni direzione, appena possibile,
dividendosi in fazioni come lui era lontano in uno dei suoi viaggi. Insomma, proibito
parlare male di Francesco, ma guai a prenderlo sul serio, con questestorie di
dialogo con gli infedeli, con questo pauperismo, diciamolo, piuttosto estremista.
Del resto si ricordano sempre gli episodi più rassicuranti: prediche agli
uccelli, lupi ammansiti. Ma Francesco era capace di essere durissimo, con se stesso
e con gli altri. Non voleva che i suoi frati toccassero il denaro. Ci racconta
Fra Tommaso da Celano: "Avvenne che un giorno un secolare, entrato a pregare
nella chiesa di Santa Maria in Porziuncola, deponesse ai piedi della croce un'offerta
in denaro. Appena se ne fu partito, un frate semplicemente lo prese in mano e
lo gettò dalla finestra. Giunse all'orecchio del Santo l'atto del frate,
il quale, vedendosi colpevole, corse a chiedere perdono, e prostrato per terra
si preparò a ricevere il castigo. Lo rimprovera aspramente il Santo, perché
ha osato toccar denaro; poi gli ordina di raccoglierlo con la bocca dalla finestra,
portarlo fuori del recinto del convento e deporlo sempre con la bocca sullo sterco
d'asino ". Freud quindi la pensava come san Francesco sull'equivalenza
simbolica tra feci e denaro. Tutti a dirgli hai ragione, e poi a fare a modo
loro: alla fin fine trovo così bello che prima di morire abbia chiesto
alla suora che veniva da Roma di portargli certi dolcetti che faceva benissimo.
Voleva rimangiarli prima di morire. Col rischio di finire anche patrono dei pasticceri.
(Brano
tratto dal saggio Di buon passo, Guanda editrice, Parma, 2007)
Andrea Bocconi č nato a Lucca nel 1950 e risiede ad Arezzo, dove esercita
come psicoterapeuta. Ha scritto diversi testi teatrali, il romanzo Il monaco di
vetro e, insieme a Patrizia Lacerna, il saggio II matto e il mondo. Presso Guanda
sono usciti Viaggiare e non partire, Il giro del mondo in aspettativa e La tartaruga
di Gauguin. Il suo sito internet č: www.kere.it |