La Lavagna Del Sabato 8 Dicembre 2007


ZILDO SANTOS, L'INTERMEDIARIO

– Faceva il poliziotto a Rio de Janeiro. Poi una telefonata ha cambiato la sua vita. Oggi viaggia per l'America Latina consegnando riscatti milionari. –





Jonathan Franklin

GATOPARDO, COLOMBIA

La telefonata del responsabile della sicurezza di una multinazionale gli ha cambiato la vita per sempre. Zildo Santos, brasiliano, faceva il poliziotto ed era famoso perché era sopravvissuto a varie sparatorie. Da agente era un duro senza paura. Dall'altra parte della cornetta, un uomo gli chiese di trattare il riscatto dei figli di un manager dell'azienda: era il 1996 e da allora Zildo viaggia per il Sudamerica con delle bor­se piene di banconote da consegnare ai sequestratori. È l'intermediario latino-americano che conosce meglio l'indu­stria dei rapimenti.

Il suo lavoro consiste nel consegnare riscatti milionari per ottenere la libera­zione degli ostaggi. Tutti i pagamenti sono in contanti. Zildo si presenta da solo e aspetta una telefonata per portare i

soldi nel luogo indicato. Se commette un errore gli ostaggi muoiono. Ha conse­gnato una sessantina di riscatti nei posti più diversi della regione, dalla gabbia del condor nello zoo di Buenos Aires fi­no al molo di Montevideo in Uruguay. E oggi conosce alla perfezione i segreti di quest'industria.

"Alcuni sequestratori sono dei veri idioti, mi chiedono di consegnare due milioni e mezzo di dollari in banconote di piccolo taglio. Hai idea di quanto pe­sano?". Il suo tono rivela chiaramente che non gli piace lavorare con gli stupidi."Con dei biglietti da cento qui ci starebbero solo quattrocentomila dolla­ri. Te li immagini due milioni e mezzo di dollari in banconote di piccolo taglio? Ci vorrebbe un pick up".

Zildo parla a raffica e io faccio fatica a seguirlo: non so più se i sequestratori avevano rapito un bambino di cinque anni o il direttore di una banca. Riesco a segnare sul mio quaderno che una certa banda con cui ha condotto delle trattative era formata da una ventina di delin­quenti, tutti spietati e stupidi: "Facevano talmente tanti errori che alla fine gli ho detto: 'Adesso vi spiego io come si orga­nizza la consegna di un riscatto"'. I rapitori hanno seguito i suoi consigli, chie­dendo di ricevere i soldi con banconote da cento dollari. Zildo ha messo i soldi in uno zaino un po' malridotto ed è andato fuori São Paulo, di fronte ad alcune fave­las. Lì si è avvicinato un ragazzo con un fucile enorme. "Mi puntava l'arma con­tro. Io gli ho detto: `Ehi, non c'è biso­gno"'. Zildo sorride ricordando quell'epi­sodio. La consegna è durata meno di un minuto: gli altri del gruppo sono usciti dal nascondiglio, hanno preso la borsa e lo hanno ringraziato per la sua professionalità.

Zildo ha i capelli biondi e porta degli occhiali scuri con la montatura rossa: sembra uscito da un reality show. Ma la sua riservatezza e soprattutto la sua ca­pacità di mantenere sempre la calma lo hanno reso una celebrità agli occhi di un pubblico ristretto. I suoi clienti sono top manager, multinazionali e famiglie mol­to ricche, insomma chiunque abbia avu­to la sfortuna di cadere nelle mani di una banda di sequestratori professionisti in Sudamerica.

I rapitori sono sempre armati, mentre gli intermediari sono indifesi. La me­diazione può durare anche settimane, durante le quali Zildo guadagna mille dollari al giorno. "Dovevo consegnare 1,3 milioni di dollari alla periferia di Rio de Janeiro. Ero in macchina e mi dicevano di andare da un posto all'altro. Alla fine ho parcheggiato vicino a un incro­cio, in una zona molto pericolosa. Appe­na ho spento l'auto, alcuni uomini si sono avvicinati: avevano dei fucili, erano giovani, aggressivi e nervosi. Hanno preso i soldi. Poi mi hanno ordinato di aspettare altri cinque minuti. Dopo tre minuti è arrivata la seconda parte della banda, e uno di loro mi ha chiesto: `Dove sono i soldi?'. Gli ho spiegato che li avevo già consegnati ai suoi compagni. Il tizio mi ha puntato il fucile alla testa e ha ri­petuto che voleva i soldi. Stai calmo e fammi un piacere. Chiama i tuoi compa­gni e chiedigli se ho consegnato il riscat­to', ho detto. Lui ha telefonato, mi ha salutato e poi se ne è andato".

 

Codice di comportamento

Zildo Santos ha lavorato nella polizia di Rio de Janeiro per 32 anni. Era un tiratore esperto. Grazie al suo inglese fluen­te, all'amore per l'avventura, ai viaggi e ai corsi di addestramento tenuti dall'Fbi in Virginia, Zildo è un misto tra un im­prudente poliziotto di strada e un professionista perfettamente addestrato. Passa dieci minuti a cercare nel suo di­zionario la parola inglese corretta, ma ci mette trenta secondi per spiegarmi come lanciarsi da un'auto in corsa. La sua vita è cambiata con quella telefonata di undici anni fa, quando è cominciata la sua carriera di intermediario. I due figli minorenni di un manager statunitense che lavorava in Brasile erano stati sequestrati. L'azienda sapeva che Zildo era un bravo comandante della polizia. E visto che avevano bisogno di un duro per consegnare i soldi, si sono rivolti a lui.

Nel giro di pochi anni è diventato un esperto. I clienti lo mandano in giro per il continente. In America Latina molti sequestri sono lampo: la vittima è tenuta in ostaggio per meno di dodici ore. Inve­ce Zildo preferisce lavorare sui "rapimenti tradizionali", in cui l'ostaggio è sequestrato per settimane o mesi. "Il caso dello zoo è durato due anni e mezzo. Tutto è cominciato a Buenos Aires", rac­conta. Il primo messaggio gli è arrivato con un mazzo di fiori nella sua camera d'albergo. Sul biglietto c'era scritto: "Vada al chilometro 88 di questa strada e prenda il messaggio che troverà nella cabina telefonica". Zildo si è precipitato sul posto e ha trovato un altro messag­gio: "Prenda seicentomila dollari e aspetti una chiamata". Tra una telefonata e l'altra, Zildo si metteva in contatto con i familiari per discutere della situazione. La famiglia ha deciso di pagare subito e in pochissimo tempo ha orga­nizzato un prelievo in una banca di fiducia. Gli impiegati della banca hanno preparato i soldi, impilando una sull'altra le banconote da cento dollari. "Qualcuno sa sempre che sei il messaggero", spiega Zildo.

 

Nel pacchetto di sigarette

Una nuova telefonata (una voce maschile che parlava in spagnolo) gli ha ordinato di andare a una pompa di benzina a novanta metri dall'albergo. Doveva cer­care un pacchetto di sigarette Marlboro che conteneva altre istruzioni. In un rapporto per il suo cliente, Zildo ha annotato: "Vedo due sospetti vicino alla banca, con una ricetrasmittente". Tornato in albergo, Zildo ha aperto il pacchet­to di sigarette e ha trovato una cartina: la città di Buenos Aires con un percorso segnato in rosso e due foto polaroid con dei punti di riferimento. Le istruzioni erano semplici: "Vai allo zoo, davanti alla gabbia del condor, e porta i soldi".

Ogni volta che consegna un riscatto Zildo rispetta dei rituali e un codice di comportamento prestabiliti. Si veste sempre da turista, con una camicia a maniche corte (così si vede che non nasconde armi nelle maniche) e uno zaino molto semplice. Prende sempre un'utili­taria, guida veloce e rallenta solo quan­do sta per arrivare. Vuole dare l'impres­sione che è tranquillo e che tutto sta andando nel modo giusto. Così non ha mai perso un cliente. Davanti alla gabbia del condor c'era un altro pacchetto di Marlboro con le ultime istruzioni: "Lascia qui la borsa. Non ti girare. Vattene". Zildo ha lasciato la borsa e si è guardato intorno. "Ho visto degli uomini che prendevano la borsa e scappavano", racconta. "Devi sempre controllare che i rapitori pren­dano i soldi, è una cosa fondamentale in questo lavoro".

Secondo Zildo, fare l'intermediario non è pericoloso. In Sudamerica è molto peggio essere un poliziotto. "Non ho mai saputo di un messaggero che abbia fatto bene il suo lavoro e che sia stato ucciso". Nel 2004, però, alcuni criminali armati gli hanno teso un'imboscata nella sua villa fortificata. Per loro Zildo valeva più da morto che da vivo. "Non hanno nean­che sfondato la porta. Hanno aperto con le chiavi. Quando sono rientrato a casa, mi hanno aggredito. All'inizio ho pensato di arrendermi ma, visto che mi avreb­bero ucciso comunque, ho deciso di reagire. Hanno sparato nove volte con una semiautomatica, ma sono sopravvissu­to. Fa parte del mio carattere non arren­dermi mai. Ho fatto bene o ho fatto male? In ogni caso, sono qui! Dopo ho ridipinto tutta la casa di bianco, per cancellare i segni delle pallottole". Al momento dell'aggressione Zildo non era armato, ma è riuscito comunque a difendersi. Perché quell'imboscata? In quanti gli hanno sparato? E chi erano i mandanti?

Sono tutte domande che si è fatto solo in un secondo momento, dopo essere riu­scito a spaventare e a far scappare i sicari. Gli investigatori hanno estratto nove pallottole dai muri della villa. La sua preziosa collezione di oggetti d'arte è stata letteralmente fatta a pezzi. Zildo sorride e si tiene il braccio sinistro. Mi spiega chela pallottola a frammentazio­ne che gli ha polverizzato l'osso del brac­cio e che poi gli si è conficcata nel collo era uscita dalla sua pistola: era stato lui a comprare quella pallottola, insieme alle altre cento cartucce che si trovavano nel suo cassetto.

 

A Montevideo

Il sequestro è una forma di attività capi­talista. I criminali rapiscono i ricchi e li mettono in una gabbia fino a quando non è fissato un prezzo sul mercato: solo allora i familiari ricomprano la loro li­bertà. Un cadavere vale molto meno di un prigioniero vivo e vegeto, per questo chi uccide gli ostaggi è un principiante. "Preferisco trattare con una banda che chiede un milione di dollari piuttosto che con un tizio che ne vuole diecimila", afferma Zildo. "Quando il riscatto è pic­colo e le vittime non sono molto ricche tutto è più difficile. Il sequestratore non è organizzato, non è bravo e spesso è anche molto stupido. Quindi la possibilità che le cose finiscano male è altissima". "Male" significa che i rapitori possono mutilare l'ostaggio: un dito di una mano o di un piede oppure il lobo dell'orec­chio. Poi il tutto viene spedito alla fami­glia insieme a un mazzo di fiori.

Quando c'è una prova che il sequestrato sia vivo (per esempio una fotogra­fia con l'ultima edizione di un quotidia­no) tutte le famiglie accettano di pagare.

Alcune vendono la macchina, altre mettono insieme i soldi raccogliendoli tra i parenti. I ricchi cambiano un assegno e gli ultramilionari chiamano le loro com­pagnie assicurative (sotto la voce "coper­tura in caso di sequestro", che è illegale in alcuni paesi, agenzie come i Lloyds di Londra si occupano delle pratiche ne­cessarie per mandare una squadra a salvare i rapiti).

"Dopo il rilascio, tutti assicurano alla vittima che l'incubo non si ripeterà, perché ormai è vaccinata contro i sequestri", racconta Zildo. "Purtroppo sono scioc­chezze, perché non ci sono vaccini con­tro i rapimenti: puoi sempre essere se­questrato da un'altra banda".

Come per qualsiasi mercato, anche l'andamento dei sequestri è imprevedi­bile. Di solito avvengono a ondate, ma tutti si meravigliano come se fosse la pri­ma volta. La consegna dei soldi avviene sempre nello stesso modo, giorni di attesa e poi ore di comunicazione frammen­taria: messaggi, piste e istruzioni, tutto condito con una buona dose di pericolo. "Come nel caso dell'Uruguay", ricorda Zildo, quando ha passato un intero fine settimana a correre da una parte all'altra di Montevideo.

All'aeroporto gli hanno ordinato di guidare fino al centro della città, portan­dosi dietro seicentomila dollari in contanti. Doveva cercare una barchetta sulla spiaggia. Dopo vari tentativi, Zildo l'ha trovata e ci è montato sopra. Era sicuro che i sequestratori fossero nascosti nei canneti per assicurarsi che fosse solo. "Sono usciti dai cespugli a volto sco­perto e ci siamo guardati dritto negli occhi. Di solito ti intimano di non guardare e tu abbassi lo sguardo per far capire che non sei un pericolo. Altrimenti, sei spacciato".

Il pomeriggio del giorno dopo Zildo ha ricevuto indicazioni per consegnare quattrocentomila dollari. Si è diretto verso il molo. In una zona deserta, vicino al porto di Montevideo, ha ricevuto istruzioni per prendere un taxi e andare sotto una sopraelevata. Le indicazioni contenevano una cartina tagliata a me­tà, in cui era segnato con un cerchio rosso il punto esatto della consegna. Zildo, che conosce bene la procedura, ha lasciato i soldi sotto ai piloni e si è allonta­nato a piedi. Ha sentito il rumore di un motore che accelerava dietro di lui, vicino a un magazzino. Due uomini su una moto lo hanno superato e poi hanno svoltato su un'altra strada. "Uno di loro aveva una mitragliatrice. Te la fanno ve­dere per avvertirti che non devi fare troppo il furbo.

Non bisogna dimenticare che anche loro sono sempre sotto stress: vivono nel terrore che la polizia arrivi da un momento all'altro". A mezzo isolato di distanza c'erano altri due tipi armati: erano sul posto per intervenire in caso di un imprevisto. Nel giro di pochi secondi i soldi e gli uomini sono spariti, e Zildo è rimasto solo. Ha camminato per qua­ranta minuti prima di trovare un autobus che lo riportasse a casa.

 

L'unica eccezione

La consegna di un riscatto segue sempre dei codici precisi. L'unica eccezione è Rio de Janeiro, dove la diffusione delle feste in spiaggia condiziona anche la consegna dei soldi.

Tre anni fa Zildo è andato con delle buste piene di soldi in una scuola di samba vicino allo stadio Maracanã, a Rio. "C'era un gran rumore di tamburi e decine di persone che ballavano. Sono entrato nella scuola con una busta del supermercato che conteneva 150 mila dollari. Ho visto subito il mio uomo e gli ho consegnato la busta. Era circondato da un sacco di gente e sembrava conten­to: in effetti non è male ricevere tutti quei soldi di sabato sera senza fare nien­te. Gli ho detto che avevo bisogno di aiu­to per uscire vivo da lì. `Non preoccuparti, ci pensiamo noi', mi ha assicurato. L'hanno fatto davvero: due dei suoi uo­mini mi hanno scortato fino a una zona più tranquilla. Sono arrivato in albergo e finalmente mi sono rilassato".

Quando la consegna del riscatto ha successo e l'ostaggio viene rilasciato, i familiari organizzano sempre una festa di bentornato. Zildo è un invitato d'ono­re, riceve decine di regali e tutti lo trattano come se fosse della famiglia. Lui, pe­rò, non si fa illusioni: sa perfettamente che il suo status di celebrità è effimero. "Un anno dopo chiami per salutarli ma sono quasi tutti sbrigativi. La gente vuo­le dimenticare e lasciarsi alle spalle quell'incubo di cui tu, in qualche modo, hai fatto parte".


(Articolo tratto dalla rivista Internazionale del 31 maggio 2007, n° 694.)

 





        
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