La Lavagna Del Sabato 10 Novembre 2007


LA COSCIENZA DELLA ROVINA

- Curzio Malaparte: il fantasma della letteratura -


Silvano Leone






Vi sono delle figure che, nel panorama letterario nazionale ed internazionale, vengono celebrate in maniera eccessiva e frivola, dei fuochi di paglia, specchietti per allodole, e vi sono, di contro, individui ingiustamente relegati ad essere ombre, e, come ombre amareggiate, a vagare nel torbido sottobosco del semianonimato letterario, con poca celebrità in vita e ancor di meno in seguito, costretti ad essere riscoperti per puro caso, da articoli di cronaca, citazioni e quant'altro, relegati comunque ad una costante damnatio memoriae, costante e silente.

Un caso fra tanti è Curzio Malaparte, all'anagrafe Kurt Erich Suchert, italianissimo, nonostante il nome di provenienza austriaca, illustre fantasma che vaga raramente in antologie letterarie italiane, ma che mezzo secolo addietro smosse forse il popolino un minimo dalla poltrona di cristallo sulla quale si era adagiato, dal fango e dalle menzogne nelle quali giaceva.

Eppure, le opere di questo autore meriterebbero ben più del misero spazio che occupano oggi nella critica letteraria italiana: opere come “Kaputt”, “Mamma Marcia”, ma soprattutto “La pelle” (quest'ultima probabilmente la più celebre e famigerata dell'intera produzione malapartiana) meriterebbero d'essere studiate in maniera notevolmente più approfondita, non solo perchè opere di indubbio spessore culturale, ma soprattutto perchè in grado di offrire una panoramica esauriente ed avvincente oltre che sull'Italia della liberazione, anche sul modo di pensare stesso degli italiani negli anni quaranta.

Spesso si è accusato Malaparte di trasformismo, per essere passato (dopo una vita dedita al fascismo) al comunismo negli ultimi anni della sua vita, ma tale azione non poteva che essere una conseguenza della sua indole: a ben vedere né il fascismo “integrale” propugnato da Curzio, né il “comunismo” si sono mai avverati in toto.

“La pelle”, edito nel 1949, ( il cui titolo in precedenza avrebbe dovuto essere “La peste”, ma data la pubblicazione del capolavoro di Camus nel 1947 dal medesimo nome, si optò per cambiarlo in “La pelle”) , resta in ogni caso, trasformista o meno che si voglia considerare Malaparte, un indiscutibile capolavoro.

In questa Odissea novecentesca un moderno Ulisse, nei panni d'un ufficiale, dell'ufficiale Malaparte appunto, conduce con le truppe americane, durante la liberazione, una folgorante riscoperta sia della cultura italiana che degli italiani, e ci figura uno spaccato sulla situazione del belpaese che a tratti pare richiamare il più crudo Pasolini, a tratti sfociare in un meraviglioso lirismo: Malaparte è la celebrazione dei diamanti che si annidano nelle miniere di carbone.

Riflessioni, poesia, cronaca, immagini tetre e istantanee d'emozioni, tutto pare entrare in un magico maelstrom, in un tremendo gorgo nel quale ogni cosa si mescola dando forza all'altra: e allora così dalle pagine dello scrittore pratense le emozioni urlano, colano, colorando la notte del racconto di sensazioni atroci e meravigliose, allora il ricordo diviene pensiero ed il pensiero poesia, nel celebrare una storia che è storia di uno e storia d'una nazione: Malaparte è semplicemente un uomo che si rifiuta di chiudere gli occhi e vuole descrivere la realtà, la sua realtà.

Un reale atroce, commovente, disgustoso, ma che merita, vuole, necessita d'esser comunicato: il senso di un qualcosa che deve essere urlato negli occhi del lettore per smuoverlo dal suo letargo intellettuale e indurlo a realizzare uno degli scopi principali di un certo tipo di letteratura, il crearsi una propria opinione, un proprio pensiero.

E allora “La pelle”, proprio come “Kaputt” anni prima ci aveva portato in Europa, così ci trascina, fa correre i nostri occhi nello squallore della disperazione napoletana del 1943, fra le lotte per le “casse da morto” e le “sepolture”, fra l'innocenza di bambini per i quali l'infanzia fu privilegio da guardare lontano e situazioni nelle quali la vita non aveva più peso d'un ramo reciso da un albero, ci fa scoprire, con il dovuto cinismo, cose oggi tristemente dimenticate.

Chi potrebbe immaginare infatti, a mezzo secolo di distanza, che la parola sciuscà , con la quale venivano indicati i bambini napoletani, sia l'italianizzazione delle due parole inglesi “shine shoes”, scarpe splendenti, le quali erano le due parole con le quali i ragazzini napoletani chiedevano il permesso di lustrare le scarpe ai soldati americani?

Con questo libro, che non pare tanto di denuncia, quanto piuttosto di contemplazione amareggiata d'un paese allo sbando più totale, Curzio ci offre un oceano di ricordi, emozioni e, soprattutto, di tristezza, una contemplazione appunto della rovina di un paese, d'una cultura che va lentamente al macero, fra l'indifferenza più totale..e proprio in questo sta il meraviglioso che si annida nell'opera in questione, ma anche in tutta la produzione malapartiana: la capacità di farci notare come vi sia del meraviglioso nel marcio, come vi sia della poesia anche in situazioni strazianti (e anche in ciò Malaparte è degno precursore di Pasolini).

Forse la parola con la quale possiamo identificare al meglio una parte cospicua dell'intera produzione malapartiana è proprio “marcio”, caratteristica che si va acuendo sempre di più con l'avanzare dell'età dell'autore, fino a giungere al suo ultimo capolavoro, “Mamma marcia”, coacervo di cinismo e sfiducia, oltre che di denuncia e soprattutto indignazione. Malaparte nei suoi scritti esprime la sua rabbia, e il suo cinismo, nei confronti d'un Italia malata, marcia, che annega nel nepotismo, nell'indifferenza e nella ferina stupidità dei suoi governanti, nell'ignoranza e nello squallore; dall'altra parte della bilancia abbiamo però la “naturale” bontà del popolo italiano, che spesso muove il lettore a compassione e a riflessione: nel mondo di Malaparte non esistono spesso buoni e cattivi, ma solo persone, persone che cercano di sopravvivere conservando un briciolo di dignità, fra il perbenismo d'una classe dirigente alla quale ci si può solo piegare e il desiderio di una classe operaia destinata al fallimento per l'egoismo dei suoi esponenti.

Altra parola chiave per comprendere la prosa Malapartiana è probabilmente “indignazione”: il sentirsi ferito in volo,la “morte dell'anima”, per citare Sartre, che aleggia fra le sue pagine; il mendicare costantemente giustizia senza mai ottenerla, una giustizia che pare un lontano miraggio, un mito di qualcosa che un tempo fu, ma che non potrà mai più essere...

Poesia, critica, teatro, editoria (era a capo di una casa editrice), giornalismo, narrativa, cinema addirittura, con “Il cristo proibito” del 1951, Malaparte risulta essere dunque uno fra i più prolifici e meritevoli autori del novecento italiano, ma anche, tristemente, uno fra i più illustri sconosciuti, ma la cui poetica letteraria è ancor oggi validissima.

Cinico, sognatore e realista, immorale e moralista, opportunista e ribelle, fascista, non fascista (basta leggere “Don Camaleo” e vedere la successiva reazione dell'allora duce Mussolini per capire quanto lontano fosse il nostro dal normale fascismo) e infine comunista, letterato avverso alla maggior parte dei letterati italiani ( Moravia in primis), e felice di suscitare clamore....queste sono forse le ragioni dell'esilio di Malaparte dal gran galà della letteratura italiana, e credo che, come è scritto in un esauriente capitolo della “Biografia politica di Curzio Malaparte”, opera del critico Giuseppe Paradini, pubblicata nel 1998 da Luni Editrice, la frase “La rivoluzione sono io! ” sintetizzi al meglio l'intera poetica malapartiana...

Che senso ha, perchè dunque leggere oggi Malaparte? Perchè ci induce alla riflessione e ci concede in regalo la vergogna, la vergogna di chi ha tutto e ha dimenticato quando non aveva nulla, perchè ci ricorda che l'Italia è un paese con una dignità anche nel male peggiore, e, infine, per riscoprire forse come le meraviglie possano nascondersi in qualcosa che già abbiamo, senza saperlo, ai nostri piedi, per riscoprire un periodo della nostra storia da una nuova prospettiva, ma soprattutto, perchè Malaparte ci mostra un modo di scrivere dimenticato forse, un modo di scrivere per riflettere e per contemplare il presente da una prospettiva diversa: quella dei privilegiati, di chi non ha subito nulla e si lamenta di tutto. In un mondo che si perdeva il futuro nel presente, Malaparte cercava di insegnare il passato.

La bibliografia seguente è stata presa dall'enciclopedia virtuale Wikipedia, reperibile al seguente indirizzo web: http://it.wikipedia.org/wiki/Curzio_Malaparte#Bibliografia .

 


Curzio Malaparte

 

Bibliografia

Saggistica

•  Viva Caporetto , come Curzio Erich Suchert, Prato: Stabilimento Lito-Tipografico Martini, 1921 ; con il titolo La rivolta dei santi maledetti (Aria d'Italia,1921), poi, con il titolo Viva Caporetto. La rivolta dei santi maledetti, introduzione di Mario Isnenghi, Milano: Mondadori, 1980, 1981; con il titolo Viva Caporetto. La rivolta dei santi maledetti, secondo il testo della prima edizione 1921, a cura di Marino Biondi, con in appendice la prefazione alla seconda edizione romana del 1923, una storia editoriale del testo e una revisione testuale dall'edizione 1921 all'edizione 1923, Firenze: Vallecchi, 1995.

•  Le nozze degli eununchi, Roma: La Rassegna Internazionale, 1922

•  L'Europa vivente, Firenze: La Voce, 1923 ; in L'Europa vivente e altri saggi politici, Firenze: Vallecchi, 1923

•  Italia barbara, Torino: Piero Gobetti, 1925 ; Roma: La Voce, 1927

•  Intelligenza di Lenin, Milano: Treves, 1930

•  Technique du coup d'état, Paris: Bernard Grasset, 1931 , 1948; pubblicato dapprima in francese e poi tradotto in italiano come Tecnica del colpo di stato, Milano: Bompiani, 1948

•  I custodi del disordine, Torino: Bugatti, 1931

•  Le bonhomme Lénine, Paris: Bernard Grasset, 1932 ; pubblicato in francese e poi tradotto in italiano come Lenin buonanima, Firenze: Vallecchi

•  Deux chapeaux de paille d'Italie, Paris: Denoel, 1948 ; pubblicato in francese

•  Due anni di battibecco, 1955

•  Maledetti toscani, Firenze: Vallecchi, 1956 , 1959

•  Io, in Russia e in Cina, 1958 ; Firenze: Vallecchi

•  Mamma marcia, 1959 ; Firenze, Vallecchi; con Lettera alla gioventù d'Europa e Sesso e libertà, postfazione di Luigi Martellini, Milano: Leonardo, 1990, 1992

•  L'inglese in paradiso, Firenze: Vallecchi, 1960 . Contiene le operette incompiute Gesù non conosce l'arcivescovo di Canterbury e L'inglese in paradiso assieme a una raccolta di elzeviri pubblicati tra il 1932 e il 1935 sul « Corriere della Sera », alcuni dei quali sotto lo pseudonimo di Candido.

•  Benedetti italiani, 1961 ; Firenze, Vallecchi

•  Viaggi fra i terremoti, Firenze, Vallecchi, 1963

•  Journal d'un étranger à Paris, in francese, 1966 ; tradotto in italiano come Diario di uno straniero a Parigi, Firenze: Vallecchi

 

Narrativa

•  Avventure di un capitano di sventura, Roma: La Voce, 1927 , a cura di Leo Longanesi

•  Don Camaleo, Genova: rivista La Chiosa diretta da Elsa Goss 1928 (poi in Don Camaleo e altri scritti satirici, Firenze: Vallecchi, 1946)

•  Sodoma e Gomorra, Milano: Treves, 1931

•  Fughe in prigione, Firenze: Vallecchi, 1936

•  Sangue, Firenze: Vallecchi, 1937

•  Donna come me, Milano: Mondadori, 1940

•  Il sole è cieco, Milano: Il Tempo, 1941 ; Firenze: Vallecchi, 1947

•  Il Volga nasce in Europa, Milano: Bompiani, 1943 ; in Il Volga nasce in Europa e altri scritti di guerra, Firenze: Vallecchi

•  Kaputt, Napoli: Casella, 1943 ; Milano: Daria Arnati, 1948; Vallecchi, Firenze 1960, 1966

•  La pelle, Roma-Milano: Aria d'Italia, 1949 , 1951; Firenze: Vallecchi, 1959; Milano: Garzanti, 1967

•  Storia di domani, Roma-Milano: Aria d'Italia, 1949

•  Racconti italiani, 1957 ; Firenze: Vallecchi

 

 Teatro

•  Du côté de chez Proust. Impromptu en un acte, in francese, Parigi: Théâtre de la Michodière, 1948

•  Das Kapital. Pièce en trois actes, in francese, Parigi: Théâtre de Paris, 1949

•  Anche le donne hanno perso la guerra, 1954

 

Poesia

•  L'Arcitaliano, Firenze e Roma: La Voce, 1928 a cura di Leo Longanesi (poi in in L'Arcitaliano e tutte le altre poesie, Firenze: Vallecchi, 1963

•  Il battibecco, Roma-Milano: Aria d'Italia, 1949

 

Cinema

•  Il Cristo Proibito , Italia, 1951



Silvano Leone nasce ad Ascoli Piceno nel 1981. Dopo gli studi liceali, compiuti in Teramo, si trasferisce a Roma per completare la sua formazione, iscrivendosi presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell'università "La Sapienza", nella quale si laurea sia nel corso triennale in "Letteratura, musica e spettacolo", sia nel successivo corso specialistico in "Letteratura" nel 2006, e presso la quale lavora per svariati anni in qualità di bibliotecario e career counseling. Conclusi gli studi universitari consegue un master in "Gestione e valorizzazione del turismo" presso la scuola Up Level. Parallelamente all'attività universitaria svolge sia la professione di copywriter freelance, sia l'attività di musicista, realizzando vari album e tournèe, e di scrittore. Nel Maggio 2007 pubblica il suo primo libro, dal titolo "Senzanime", edito dalla casa "Il filo". Attualmente vive a Roma, impiegato come copywriter freelance in alcune aziende. Il suo prossimo libro sarà probabilmente edito nel Gennaio 2008.

 





        
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