La Lavagna Del Sabato 3 Novembre 2007


L'INTERO POPOLO TEDESCO RESPONSABILE DELL'OLOCAUSTO?








Lo sostiene il libro di Daniel J. Goldhagen, Hitler willing executiones : non vi sarebbero state proteste significative (come in altri casi ci sarebbero state, anche sotto il regime hitleriano, il cui terrore non era tale da impedire ogni dissenso).

Centocinquantamila copie vendute negli Stati Uniti tra aprile e luglio, l'undicesimo posto tra i best-seller del New York Times. Una tesi di fondo (tutto il popolo tedesco è responsabile dell'Olocausto) al centro di numerosi dibattiti in televisione e sui giornali americani.
Il libro del giovane sociologo di Harvard, Daniel Jonah Goldhagen (in Usa, edito da Knopf, 620 pagine, 30 dollari in hard cover; in Gran Bretagna da Little Brown), malgrado l'handicap di essere un libro di storia e piuttosto impegnativo, ha avuto un trionfo.

 

Professor Goldhagen, lei è diventato famoso in brevissimo tempo e con una sola opera. La traduzione del suo libro era stata appena pubblicata in Germania, che molti suoi colleghi tedeschi l'hanno attaccata. Soprattutto su un punto: quando lei sostiene che il massacro degli ebrei sarebbe stato un «progetto nazionale» dei tedeschi.

Daniel J. Goldhagen. Avrei potuto esprimere questo concetto in maniera diversa: e cioè che l'annientamento degli ebrei non sarebbe stato possibile senza la partecipazione di un gran numero di persone, appartenenti a tutte le classi sociali mobilitate dal regime. Chiamarlo «progetto nazionale» non modifica la sostanza di questa impresa criminale.

Lei allude a un «progetto» elaborato dal popolo tedesco da lungo tempo, anche prima di Hitler?

Non esattamente. Anzi, se è questa l'impressione che il libro suscita, preferisco rinunciare a questa formulazione. In base alle mie ricerche si può piuttosto affermare che, all'avvento del nazismo, il modello teorico dell'Olocausto, l'immagine dell'ebreo-nemico, era diffusa da tempo presso buona parte del popolo tedesco.

Nei suoi metodi non gioca anche l'enorme frustrazione di voler capire l'incomprensibile?

L'Olocausto non è qualcosa di inesplicabile. Anche se può essere difficile portarne alla luce le motivazioni, credo che, in linea di principio, ciò sia possibile. Perciò mi sono dedicato alla questione dei pensieri e dei sentimenti che guidarono gli assassini.

Personalmente ricordo bene che quando, nel 1935, ci furono le leggi di Norimberga contro gli ebrei, noi consigliammo ai nostri conoscenti ebrei di fuggire. «No» risposero «adesso capiamo con chi abbiamo a che fare, e per noi personalmente la situazione non è così grave». in quel senso, lei ha sbagliato a giudicare la Notte dei cristalli. Essa fu accolta con sgomento da molta gente. Ha avuto un solo lato positivo, ha convinto moltissimi ebrei ad andarsene.

Di certo la legislazione antisemita del settembre 1935 non è stata accolta con favore dagli ebrei. Alcuni possono aver ritenuto che limitasse il potere arbitrario, che veniva esercitato su di loro e in generale molti ebrei speravano ancora che Hitler non durasse. Alcuni scoppi di violenza cessarono, ma in realtà nulla migliorò. Allo stesso modo, non posso condividere la sua interpretazione della Notte dei cristalli del 1938. La violenza contro gli ebrei, lo sappiamo, generò una certa inquietudine presso molti tedeschi. Certo, il modo in cui si svolse l'operazione - uomini delle Sa che bastonavano gente, spaccavano vetri, bruciavano sinagoghe - turbò molti e profondamente. Eppure i documenti mettono in evidenza la pressoché totale assenza di opposizione contro una dottrina secondo cui gli ebrei erano colpevoli e meritavano una punizione.

Coloro che assistettero al rogo delle sinagoghe, lei scrive, devono avere pensato in maggioranza: gli sta bene, agli ebrei. Come può provarlo?

l'assenza di prove è una prova in sé. Se manca un rifiuto di principio...

... non necessariamente esiste un assenso di principio. A prescindere dal fatto che fosse possibile esprimere un rifiuto di principio sotto quel regime.

Guardi che contro svariati provvedimenti, sotto il nazismo, vi furono moltissime aperte proteste, anche per iscritto. Ma con un'unica eccezione: la persecuzione degli ebrei.

Lei è un giovane americano, cresciuto in un regime democratico e non può immaginare quale fosse la pressione durante la dittatura di Hitler. Poi venne il terrore della dittatura e della guerra...

È falsa l'opinione diffusa che la Germania nazista, al pari della Russia stalinista, fosse dominata con la pura violenza. Non tutte le dittature si basano solo sul terrore. Nonostante il suo carattere repressivo e poliziesco, la dittatura nazista ebbe grande popolarità e Hitler era un leader stimato e carismatico. I principi della sua politica, inclusa la persecuzione degli ebrei, furono accolti con favore dalla maggioranza dei tedeschi, di sicuro fino alla fitte degli anni Trenta.

Ma solo all'inizio; quando fece uccidere i suoi camerati delle SA, Hitler mostrò di cosa fosse capace.

Ed è quindi ancora più sorprendente che questa disposizione omicida e tanta brutalità non abbiano diminuito il consenso generale verso di lui.

Eppure fu così. La borghesia pensava: adesso il regime ha preso una strada migliore, sono stati uccisi i teppisti. Allora quasi nessuno pensava agli ebrei. Poi ci fu la coscrizione obbligatoria, in violazione dei trattati di Versailles. E questo rallegrò molti. Nel'36, ai Giochi olimpici di Berlino, i francesi entrarono nello stadio marciando con l'imbarazzante saluto di Olimpia, il quale assomigliava al saluto di Hitler. un altro grande successo per Hitler. Dei vergognosi crimini della Gestapo e del Gauleiter Burkel durante l'annessione dell'Austria non sapevamo nulla. E si potrebbe continuare. Poi ci fu la guerra e tutto cambiò.

Eppure indubbiamente Hitler voleva realizzare i suoi progetti, grandiosi, omicidi e razzisti. E la guerra gli offrì la possibilità di risolvere la cosiddetta questione ebraica.

Sì, senza l'operazione Barbarossa, non ci sarebbe stato l'Olocausto.

Ma la volontà omicida di Hitler esisteva da molto prima dell'Operazione Barbarossa. L'attacco all'URSS gli fornì solo le motivazioni necessarie a imporre la propria volontà. E molti capi militari, anche se non tutti, collaborarono volontariamente all'uccisione degli ebrei. Se nel '16 lei avesse detto ai generali tedeschi che 25 anni dopo avrebbero partecipato volontariamente al massacro di decine di migliaia di uomini, donne e bambini ebrei, l'avrebbero presa per pazzo.

Ma come si giunse allora a questo nuovo atteggiamento? Nel maggio del '40 Himmler scrisse - in quel momento i nazisti erano all'apogeo del potere - di essere convinto che fosse non germanico e impossibile sterminare un intero popolo. Se Himmler pensava questo, come poteva la gente comune immaginare che fosse possibile?

Perché in Germania il dibattito sull'eliminazione politica e anche fisica degli ebrei si era affermato da un pezzo. Non si trattava di chiedersi se, bensì come ciò sarebbe avvenuto. La possibilità teorica che qualcosa succedesse era comunque nota alla maggioranza.

Ne è certo? Il 15 novembre 1942 vi fu una dichiarazione dei gruppi di resistenza ebrei nel ghetto di Varsavia. Scrissero al governo polacco in esilio a Londra che era terribile, ma la maggioranza degli ebrei non credeva che sarebbe stata uccisa. La stessa convinzione era diffusa in Germania.

Naturalmente per la maggioranza ciò era impensabile, un genocidio simile non si era mai verificato prima. Ma quando la persecuzione degli ebrei ebbe luogo, così dicono le fonti, moltissimi tedeschi la approvarono. Vi erano molti antisemiti perfino tra le file degli oppositori di Hitler la persecuzione degli ebrei non è stato il motivo fondamentale della loro resistenza.

I tedeschi erano demoralizzati a tal punto dall'abilità di Hitler che non erano più in grado di articolare i sentimenti che molti di essi provavano.

Indubbiamente ci sarebbe stato bisogno di una guida per la resistenza. La Chiesa, per esempio. Ma avrebbero dovuto esserci anche molte persone da poter mobilitare. Noi due siamo più d'accordo di quanto sembri: nel 1932 vi era un grande potenziale antisemita, che Hitler e i nazisti poterono sfruttare, rafforzare e sviluppare. I singoli potevano concludere poco, certo. Ora lei parte dal presupposto come quasi tutti finora che vi fosse la volontà di resistere, ma non esistesse il modo di farlo. Nel mio libro dimostro invece che non vi fu mai una diffusa volontà di protesta. Non esistono affatto testimonianze al riguardo, mentre ve ne sono molte che dimostrano il supporto dato alla politica di sterminio.

... come ci si aspetterebbe da una dittatura. Prendiamo uno degli esempi fatti da lei. Lei dice che i tedeschi, la maggior parte della gente comune, avrebbero approvato le deportazioni degli ebrei. Lei lo prova con una sola scena accaduta su un tram. Poi dice: nessuno poteva farsi illusioni sul destino degli ebrei. Ma non erano addirittura i deportati stessi a farsi illusioni su ciò che li attendeva?

Ovviamente intendevo solo dire che era chiaro quale destino li attendeva. Comunque, il fatto che si sapesse non è decisivo per spiegare le reazioni della gente. Prenda per esempio i battaglioni di polizia che diventarono squadre della morte: quando ricevevano l'ordine di annientare gli ebrei, eseguivano prontamente e con diligenza, anche se molti sapevano che avrebbero potuto sottrarsi al compito. Che potessero rifiutarsi di uccidere lo ha messo in evidenza anche Christopher Browning nel suo Uomini comuni. Ma Browning ha dato una spiegazione del loro atteggiamento omicida: una specie di pressione interna del gruppo. lo dimostro invece che ciò non è sufficiente per comprendere la psicologia di chi ha compiuto certe azioni.

Cosa serve allora per comprendere.

Voglio riportare l'attenzione su chi ha effettivamente agito: che uccidesse gli ebrei senza partecipazione emotiva oppure con dolore, che rifiutasse o approvasse il genocidio. Voglio creare un quadro per l'analisi. E poi spiego le ragioni. Una è che la stragrande maggioranza delle persone che contribuirono all'Olocausto pensavano di essere nel giusto. Decisivo fu che essi condividevano l'antisemitismo virulento nell'intera società tedesca...

... che lei, come hanno scritto irritati molti critici, vede all'opera in Germania già centinaia di anni prima. Ma non è vero che l'antisemitismo portò Hitler al potere. Nelle ultime elezioni libere, il 58 per cento degli elettori votò partiti di certo non favorevoli all'uccisione degli ebrei.

E non tutti quelli che votarono per i nazisti votarono per la violenza, e certo non per la violenza contro gli ebrei. Votarono per l'ordine, per il ripristino della potenza tedesca, per la forza economica e via dicendo. Ma è più importante il fatto che Hitler, paranoico antisemita, da moltissimi non fu considerato uno che sbagliava bensì un politico da prendere sul serio.

Vi fu molto antisemitismo, ma gli ebrei godevano di una buona posizione a livello ufficiale.

Certo, per quanto antisemitismo vi fosse nella repubblica di Weimar e nel II Reich, nessun governo tollerò eccessi contro gli ebrei. Si rimase agli attacchi verbali. Ma ciò non vuol dire che una concezione odiosa degli ebrei non esistesse già da molto tempo. Già prima del XIX secolo la maggioranza dei tedeschi era antisemita - non nel senso nazista, ovviamente - perché aveva ereditato l'antisemitismo cristiano medioevale.

Perché allora in Germania abbiamo avuto coni tanti buoni rapporti tra tedeschi ed ebrei? Non si può dire che la Germania dell'Ottocento fosse più antisemita di altri paesi.

È ovvio, non esiste un carattere popolare tedesco immutabile.

Neppure l' «odioso tedesco»

Vediamo di chiarire una volta per tutte: l'attuale cultura politica della Germania è essenzialmente diversa, opposta, rispetto alla cultura politica tedesca che dominava nel 1933.

Almeno lo speriamo.

Non vi è dubbio. Chi non è convinto che la stragrande maggioranza dei tedeschi oggi crede alle istituzioni democratiche?

Io non ne sarei così sicuro. Ma naturalmente qualcosa è cambiato. Oggi ci si chiede come possano essere accaduti gli orrori della guerra e il genocidio nella ex Jugoslavia...

Spesso in Germania vi sono stati dibattiti comparativi come questo. Gli storici devono naturalmente fare dei paragoni, ma non per relativizzare l'Olocausto, bensì per poterlo meglio comprendere. Nella ex Iugoslavia ci sono stati dei massacri in grande stile, ma non un genocidio...»




(Intervista tratta dal sito Cultura Nuova)


Daniel J. Goldhagen.

 





        
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