Lo sostiene il libro di Daniel J. Goldhagen, Hitler
willing executiones : non vi sarebbero state proteste significative (come
in altri casi ci sarebbero state, anche sotto il regime hitleriano, il cui terrore
non era tale da impedire ogni dissenso). Centocinquantamila
copie vendute negli Stati Uniti tra aprile e luglio, l'undicesimo posto tra i
best-seller del New York Times. Una tesi di fondo (tutto il popolo tedesco
è responsabile dell'Olocausto) al centro di numerosi dibattiti in televisione
e sui giornali americani. Il libro del giovane sociologo di Harvard, Daniel
Jonah Goldhagen (in Usa, edito da Knopf, 620 pagine, 30 dollari in hard cover;
in Gran Bretagna da Little Brown), malgrado l'handicap di essere un libro di storia
e piuttosto impegnativo, ha avuto un trionfo. Professor
Goldhagen, lei è diventato famoso in brevissimo tempo e con una sola opera.
La traduzione del suo libro era stata appena pubblicata in Germania, che molti
suoi colleghi tedeschi l'hanno attaccata. Soprattutto su un punto: quando lei
sostiene che il massacro degli ebrei sarebbe stato un «progetto nazionale»
dei tedeschi. Daniel J.
Goldhagen. Avrei potuto esprimere questo concetto in maniera diversa:
e cioè che l'annientamento degli ebrei non sarebbe stato possibile senza
la partecipazione di un gran numero di persone, appartenenti a tutte le classi
sociali mobilitate dal regime. Chiamarlo «progetto nazionale» non
modifica la sostanza di questa impresa criminale. Lei
allude a un «progetto» elaborato dal popolo tedesco da lungo tempo,
anche prima di Hitler? Non esattamente.
Anzi, se è questa l'impressione che il libro suscita, preferisco rinunciare
a questa formulazione. In base alle mie ricerche si può piuttosto affermare
che, all'avvento del nazismo, il modello teorico dell'Olocausto, l'immagine dell'ebreo-nemico,
era diffusa da tempo presso buona parte del popolo tedesco. Nei
suoi metodi non gioca anche l'enorme frustrazione di voler capire l'incomprensibile?
L'Olocausto non è qualcosa di
inesplicabile. Anche se può essere difficile portarne alla luce le motivazioni,
credo che, in linea di principio, ciò sia possibile. Perciò mi sono
dedicato alla questione dei pensieri e dei sentimenti che guidarono gli assassini.
Personalmente ricordo bene che quando,
nel 1935, ci furono le leggi di Norimberga contro gli ebrei, noi consigliammo
ai nostri conoscenti ebrei di fuggire. «No» risposero «adesso
capiamo con chi abbiamo a che fare, e per noi personalmente la situazione non
è così grave». in quel senso, lei ha sbagliato a giudicare
la Notte dei cristalli. Essa fu accolta con sgomento da molta gente. Ha avuto
un solo lato positivo, ha convinto moltissimi ebrei ad andarsene. Di
certo la legislazione antisemita del settembre 1935 non è stata accolta
con favore dagli ebrei. Alcuni possono aver ritenuto che limitasse il potere arbitrario,
che veniva esercitato su di loro e in generale molti ebrei speravano ancora che
Hitler non durasse. Alcuni scoppi di violenza cessarono, ma in realtà nulla
migliorò. Allo stesso modo, non posso condividere la sua interpretazione
della Notte dei cristalli del 1938. La violenza contro gli ebrei, lo sappiamo,
generò una certa inquietudine presso molti tedeschi. Certo, il modo in
cui si svolse l'operazione - uomini delle Sa che bastonavano gente, spaccavano
vetri, bruciavano sinagoghe - turbò molti e profondamente. Eppure i documenti
mettono in evidenza la pressoché totale assenza di opposizione contro una
dottrina secondo cui gli ebrei erano colpevoli e meritavano una punizione. Coloro
che assistettero al rogo delle sinagoghe, lei scrive, devono avere pensato in
maggioranza: gli sta bene, agli ebrei. Come può provarlo? l'assenza
di prove è una prova in sé. Se manca un rifiuto di principio...
... non necessariamente esiste un
assenso di principio. A prescindere dal fatto che fosse possibile esprimere un
rifiuto di principio sotto quel regime. Guardi
che contro svariati provvedimenti, sotto il nazismo, vi furono moltissime aperte
proteste, anche per iscritto. Ma con un'unica eccezione: la persecuzione degli
ebrei. Lei è un giovane americano,
cresciuto in un regime democratico e non può immaginare quale fosse la
pressione durante la dittatura di Hitler. Poi venne il terrore della dittatura
e della guerra... È falsa
l'opinione diffusa che la Germania nazista, al pari della Russia stalinista, fosse
dominata con la pura violenza. Non tutte le dittature si basano solo sul terrore.
Nonostante il suo carattere repressivo e poliziesco, la dittatura nazista ebbe
grande popolarità e Hitler era un leader stimato e carismatico. I principi
della sua politica, inclusa la persecuzione degli ebrei, furono accolti con favore
dalla maggioranza dei tedeschi, di sicuro fino alla fitte degli anni Trenta. Ma
solo all'inizio; quando fece uccidere i suoi camerati delle SA, Hitler mostrò
di cosa fosse capace. Ed è
quindi ancora più sorprendente che questa disposizione omicida e tanta
brutalità non abbiano diminuito il consenso generale verso di lui. Eppure
fu così. La borghesia pensava: adesso il regime ha preso una strada migliore,
sono stati uccisi i teppisti. Allora quasi nessuno pensava agli ebrei. Poi ci
fu la coscrizione obbligatoria, in violazione dei trattati di Versailles. E questo
rallegrò molti. Nel'36, ai Giochi olimpici di Berlino, i francesi entrarono
nello stadio marciando con l'imbarazzante saluto di Olimpia, il quale assomigliava
al saluto di Hitler. un altro grande successo per Hitler. Dei vergognosi crimini
della Gestapo e del Gauleiter Burkel durante l'annessione dell'Austria non sapevamo
nulla. E si potrebbe continuare. Poi ci fu la guerra e tutto cambiò. Eppure
indubbiamente Hitler voleva realizzare i suoi progetti, grandiosi, omicidi e razzisti.
E la guerra gli offrì la possibilità di risolvere la cosiddetta
questione ebraica. Sì, senza
l'operazione Barbarossa, non ci sarebbe stato l'Olocausto. Ma
la volontà omicida di Hitler esisteva da molto prima dell'Operazione Barbarossa.
L'attacco all'URSS gli fornì solo le motivazioni necessarie a imporre la
propria volontà. E molti capi militari, anche se non tutti, collaborarono
volontariamente all'uccisione degli ebrei. Se nel '16 lei avesse detto ai generali
tedeschi che 25 anni dopo avrebbero partecipato volontariamente al massacro di
decine di migliaia di uomini, donne e bambini ebrei, l'avrebbero presa per pazzo.
Ma come si giunse allora a questo
nuovo atteggiamento? Nel maggio del '40 Himmler scrisse - in quel momento i nazisti
erano all'apogeo del potere - di essere convinto che fosse non germanico e impossibile
sterminare un intero popolo. Se Himmler pensava questo, come poteva la gente comune
immaginare che fosse possibile? Perché
in Germania il dibattito sull'eliminazione politica e anche fisica degli ebrei
si era affermato da un pezzo. Non si trattava di chiedersi se, bensì come
ciò sarebbe avvenuto. La possibilità teorica che qualcosa succedesse
era comunque nota alla maggioranza. Ne
è certo? Il 15 novembre 1942 vi fu una dichiarazione dei gruppi di resistenza
ebrei nel ghetto di Varsavia. Scrissero al governo polacco in esilio a Londra
che era terribile, ma la maggioranza degli ebrei non credeva che sarebbe stata
uccisa. La stessa convinzione era diffusa in Germania. Naturalmente
per la maggioranza ciò era impensabile, un genocidio simile non si era
mai verificato prima. Ma quando la persecuzione degli ebrei ebbe luogo, così
dicono le fonti, moltissimi tedeschi la approvarono. Vi erano molti antisemiti
perfino tra le file degli oppositori di Hitler la persecuzione degli ebrei non
è stato il motivo fondamentale della loro resistenza. I
tedeschi erano demoralizzati a tal punto dall'abilità di Hitler che non
erano più in grado di articolare i sentimenti che molti di essi provavano.
Indubbiamente ci sarebbe stato
bisogno di una guida per la resistenza. La Chiesa, per esempio. Ma avrebbero dovuto
esserci anche molte persone da poter mobilitare. Noi due siamo più d'accordo
di quanto sembri: nel 1932 vi era un grande potenziale antisemita, che Hitler
e i nazisti poterono sfruttare, rafforzare e sviluppare. I singoli potevano concludere
poco, certo. Ora lei parte dal presupposto come quasi tutti finora che vi fosse
la volontà di resistere, ma non esistesse il modo di farlo. Nel mio libro
dimostro invece che non vi fu mai una diffusa volontà di protesta. Non
esistono affatto testimonianze al riguardo, mentre ve ne sono molte che dimostrano
il supporto dato alla politica di sterminio. ...
come ci si aspetterebbe da una dittatura. Prendiamo uno degli esempi fatti da
lei. Lei dice che i tedeschi, la maggior parte della gente comune, avrebbero approvato
le deportazioni degli ebrei. Lei lo prova con una sola scena accaduta su un tram.
Poi dice: nessuno poteva farsi illusioni sul destino degli ebrei. Ma non erano
addirittura i deportati stessi a farsi illusioni su ciò che li attendeva?
Ovviamente intendevo solo dire
che era chiaro quale destino li attendeva. Comunque, il fatto che si sapesse non
è decisivo per spiegare le reazioni della gente. Prenda per esempio i battaglioni
di polizia che diventarono squadre della morte: quando ricevevano l'ordine di
annientare gli ebrei, eseguivano prontamente e con diligenza, anche se molti sapevano
che avrebbero potuto sottrarsi al compito. Che potessero rifiutarsi di uccidere
lo ha messo in evidenza anche Christopher Browning nel suo Uomini comuni.
Ma Browning ha dato una spiegazione del loro atteggiamento omicida: una
specie di pressione interna del gruppo. lo dimostro invece che ciò non
è sufficiente per comprendere la psicologia di chi ha compiuto certe azioni.
Cosa serve allora per comprendere.
Voglio riportare l'attenzione su
chi ha effettivamente agito: che uccidesse gli ebrei senza partecipazione emotiva
oppure con dolore, che rifiutasse o approvasse il genocidio. Voglio creare un
quadro per l'analisi. E poi spiego le ragioni. Una è che la stragrande
maggioranza delle persone che contribuirono all'Olocausto pensavano di essere
nel giusto. Decisivo fu che essi condividevano l'antisemitismo virulento nell'intera
società tedesca... ... che
lei, come hanno scritto irritati molti critici, vede all'opera in Germania già
centinaia di anni prima. Ma non è vero che l'antisemitismo portò
Hitler al potere. Nelle ultime elezioni libere, il 58 per cento degli elettori
votò partiti di certo non favorevoli all'uccisione degli ebrei. E
non tutti quelli che votarono per i nazisti votarono per la violenza, e certo
non per la violenza contro gli ebrei. Votarono per l'ordine, per il ripristino
della potenza tedesca, per la forza economica e via dicendo. Ma è più
importante il fatto che Hitler, paranoico antisemita, da moltissimi non fu considerato
uno che sbagliava bensì un politico da prendere sul serio. Vi
fu molto antisemitismo, ma gli ebrei godevano di una buona posizione a livello
ufficiale. Certo, per quanto antisemitismo
vi fosse nella repubblica di Weimar e nel II Reich, nessun governo tollerò
eccessi contro gli ebrei. Si rimase agli attacchi verbali. Ma ciò non vuol
dire che una concezione odiosa degli ebrei non esistesse già da molto tempo.
Già prima del XIX secolo la maggioranza dei tedeschi era antisemita - non
nel senso nazista, ovviamente - perché aveva ereditato l'antisemitismo
cristiano medioevale. Perché
allora in Germania abbiamo avuto coni tanti buoni rapporti tra tedeschi ed ebrei?
Non si può dire che la Germania dell'Ottocento fosse più antisemita
di altri paesi. È ovvio,
non esiste un carattere popolare tedesco immutabile. Neppure
l' «odioso tedesco» Vediamo
di chiarire una volta per tutte: l'attuale cultura politica della Germania è
essenzialmente diversa, opposta, rispetto alla cultura politica tedesca che dominava
nel 1933. Almeno lo speriamo. Non
vi è dubbio. Chi non è convinto che la stragrande maggioranza dei
tedeschi oggi crede alle istituzioni democratiche? Io
non ne sarei così sicuro. Ma naturalmente qualcosa è cambiato. Oggi
ci si chiede come possano essere accaduti gli orrori della guerra e il genocidio
nella ex Jugoslavia... Spesso in
Germania vi sono stati dibattiti comparativi come questo. Gli storici devono naturalmente
fare dei paragoni, ma non per relativizzare l'Olocausto, bensì per poterlo
meglio comprendere. Nella ex Iugoslavia ci sono stati dei massacri in grande stile,
ma non un genocidio...»
(Intervista tratta dal
sito Cultura Nuova)
Daniel J. Goldhagen. |