La Lavagna Del Sabato 02 Agosto 2012 MULTI-FOCALITÀ E INTARSI DELLA LETTERATURA ITALOFONA Rosanna Morace
Nel mese di giugno, dalle file di El-Ghibli, Maria Cristina Mauceri ha compiuto un interessante ricognizione degli aspetti più innovativi della Letteratura italofona, mettendone in luce caratteristiche strutturali e linguistiche, imagologiche, etiche e civili, nonché il ruolo della critica e dell’editoria. Premessa portante era la necessità (e l’auspicio) che, oramai compiuti 21 anni, questa nuova letteratura potesse finalmente uscire dalla «minore età» per entrare a pieno titolo nella Letteratura italiana.
Se, infatti, la Letteratura italofona è «Letteratura minore», certo non è letteratura di minor pregio, come ben dimostrano Deleuze e Guattari analizzando l’opera di Kafka.1 Anzi, tanto più essa è in una condizione di minoranza e si trova deterritorializzata linguisticamente e politicamente, tanto più è innovativa, sperimentale, «rivoluzionaria». Ciò equivale a dire che l’aggettivo ‘minore’ non qualifica più certe letterature ma le condizioni rivoluzionarie di ogni letteratura all’interno di quell’altra letteratura che prende il nome di grande (o stabilita).2
La sperimentazione avviene perciò all’interno della letteratura nazionale, scardinandone gli assi portanti e introducendo elementi di variazione e movimento: perché la letteratura minore non ha modelli e, anzi, «la relativa mancanza di talenti finisce per avere un effetto benefico e permette di concepire qualcosa di diverso da una letteratura di maestri».3 L’innovazione avviene così a livello linguistico, strutturale, tematico ed etico, in modi diversi da autore ad autore. Se, però, l’analisi dei due filosofi francesi riguarda specificatamente il tedesco degli ebrei di Praga, nel caso della letteratura italofona dobbiamo prendere in considerazione le numerose lingue, letterature e culture di provenienza degli scrittori operanti in Italia, che, come ricordava Mauceri, sono oggi di ben 92 nazionalità diverse.
La polifonia che ciò crea è evidentemente un unicum nel nostro panorama letterario, anche se val la pena ricordare quanto la nostra storia sia connotata da un incessante movimento dalla periferia al centro e viceversa, ovvero quanto i centri minori siano stati propulsori di nuovi modi letterari e linguistici che, nel tempo, hanno acquisito centralità assoluta, divenendo modelli indiscussi. Basti pensare alla Ferrara di Ariosto e Tasso, alla Recanati di Leopardi, al greco Foscolo, alla Sicilia di Verga, Pirandello, Sciascia, per citare solo alcuni degli autori che hanno assunto come lingua uno standard che originariamente non apparteneva loro. E in realtà, se allarghiamo il campo alla Letteratura mondiale, potremmo fare anche i nomi di Conrad, Nabokov, Beckett, Ionescu, Camus, Brodskij, Kundera, Kristof, ovvero autori ‘minori’ che hanno assunto una lingua letteraria diversa dalla madrelingua. Tale fenomeno, da sempre attivo, è particolarmente degno d’interesse nei giorni nostri, non solo e non tanto perché la letteratura italofona sta assumendo proporzioni ragguardevoli da un punto di vista quantitativo e qualitativo, quanto perché, verosimilmente, i panorami letterari nazionali diverranno sempre più ‘creoli’, ibridi, mettendo in crisi il concetto stesso di letteratura nazionale. L’emigrazione è, infatti, «l’epidemia della nostra epoca»,4 interessa frange sempre più grandi di popolazione che non comprendono solo gli strati sociali più bassi, e in qualche modo l’essere migranti sta divenendo una condizione esistenziale oltre che sociale. Dunque, osservando la questione da questa angolazione, si potrebbe affermare che gli autori migranti abbiano un occhio privilegiato nel narrare una condizione di non-territorialità sempre più onnicomprensiva e sempre più caratterizzante la condizione ‘post-post moderna’, ovvero la «vita liquida» dei nostri giorni. Ovviamente non basta trovarsi in una condizione decentrata e ‘minoritaria’ per riuscire ad esprimere una condizione esistenziale di decentramento e precarietà, poiché la letteratura, e l’arte in genere, lavora sulle forme per dar voce a qualcosa che la trascende. E dunque dei modi vorrei qui brevemente trattare, riallacciandomi ad alcune osserazioni di Mauceri e nella convinzione che sia necessario porre in rilievo gli aspetti più innovativi di questa ‘corrente variopinta’ che scorre entro il fiume (inaridito) della letteratura italiana, implementandolo non tanto per portata quanto per qualità delle acque. Premessa necessaria a quanto sto per dire è che, per quel che concerne la ‘Letteratura migrante’, risulta piuttosto difficile fare delle generalizzazioni, perché diverso è il rapporto di ciascun autore con la propria madrepatria e madrelingua, diversi sono i motivi che li hanno spinti ad emigrare e a scegliere l’Italia come paese di adozione, diverso è anche il modo di vedere e vivere il Bel Paese, di fare e intendere la letteratura. Le difformità sono così spiccate che la medesima provenienza geografica e culturale non comporta necessariamente esiti simili a livello letterario, linguistico e tantomeno emotivo: diventa perciò arduo accostare l’opera dei brasiliani Monteiro Martins e de Caldas Brito, o quella degli albanesi Vorspi, Kubati e Ibrahimi. Quest’ultima, per esempio, modula la lingua su una memoria culturale e su un passo epico molto simili a quelli di Carmine Abate, arbëresh , e non a caso le stesse ballate divengono il sostrato dell’esistenza dei protagonisti di Rosso come una sposa e Il ballo tondo.5 Molto diversa è invece la lingua di Ornela Vorpsi: una lingua asciutta, secca, che lavora per sottrazione come quelle lavorano per addizione e a mosaico; una lingua, però, che è l’esatto corrispettivo del suo modo di vedere l’Albania: quel Paese dove non si muore mai6 nel quale si sentiva soffocare e tarpare le ali. Così, mentre l’una recupera gli aspetti mitici e ancestrali della propria cultura, pur non ignorando le zone d’ombra e gli eccessi della dittatura comunista, l’altra marca principalmente quest’ultimo aspetto, mettendo in luce «fenomeni curiosi nell’andamento di un popolo» fin dalla dedica al testo: Dedico questo libro alla parola umiltà, che manca nel lessico albanese. Una tale mancanza può dar luogo a fenomeni assai curiosi nell’andamento di un popolo.7
Ma, pur nella specificità di ogni singolo autore, vi sono dei tratti linguistici, formali e contenutistici ricorrenti, che mi paiono degni di nota perché inseriscono elementi dinamici nel nostro panorama letterario, rinnovandolo dall’interno e ibridandolo con tradizioni letterarie diverse. Mi occuperò qui solo di due aspetti formali particolarmente interessanti, non del tutto nuovi ma notevoli per l’esser divenuti il centro nevralgico della struttura di alcune opere o del modus scribendi di certi autori. Mi riferisco alla focalizzazione multipla e all’ibridazione tra generi letterari diversi.
Per ‘focalizzazione multipla’ o multi-focalità intendiamo, con Genette, la focalizzazione interna «dove lo stesso avvenimento può essere evocato diverse volte a seconda del punto di vita di numerosi personaggi corrispondenti».8 Genette porta come esempio i romanzi epistolari, il poema narrativo di George Browning, The ring and the Book, «che racconta un caso criminale visto successivamente dall’assassino, dalle vittime, dalla difesa, dall’accusa, ecc.» e il fim di Kurosawa Rashmon. Stando a questi esempi la focalizzazione multipla può essere sia intradiegetica che extradiegetica, il narratore può essere un personaggio o l’autore. Nella letteratura italofona prevale decisamente la focalizzazione multipla intradiegetica, che assurge a modulo strutturale delle opere di Tawfik e di Lakhous. In entrambi gli autori vari personaggi raccontano lo stesso evento da propettive diverse e sempre in prima persona, senza che alcun narratore extradiegetico o onnisciente intervenga mai. Nella prima opera di Tawfik, La straniera,9 si ha una bi-focalità, poiché la voce narrante dell’architetto si alterna a quella di Amina, mentre con Il profugo10 l’autore iracheno arriva ad alternare otto voci narranti, pur nella medesima struttura alternata per cui ad un capitolo narrato dal protagonista Firas ne succede uno in cui la focalizzazione e la voce narrante divengono quelle dei membri della sua famiglia. In entrambe le opere i diversi narratori creano un focus su avvenimenti già narrati e la multifocalità ha la medesima funzione: entrare all’interno di ogni personaggio, dare corpo e anima ai suoi pensieri, alle sue paure, necessità, volontà e speranze, senza accontentarsi di narrare il fatto dall’esterno. Perché dietro ogni azione o evento si nascondono una serie di motivazioni che, se conosciute, fanno cadere ogni giudizio, pregiudizio o considerazione semplicistica. Solo così si può capire appieno l’altro e l’apparenza rivela la sua essenza, non giudicabile ma comprensibile. Al termine di La straniera non riusciamo, infatti, a condannare l’architetto per la sua ritrosia e i suoi pregiudizi verso Amina, né Amina per la sua tendenza a farsi del male o ad andare al di là di canoni e confini. E lo stesso avviene per Walid, in Il profugo, che attraverso le azioni sembra il simbolo dell’esaltato carnefice senza morale, esecutore delle folli volontà di Saddam Hussein, ma attraverso le parole e i pensieri profondi acquista un volto più umano e, a tratti, suscita quasi pietà per la sua fragilità. Amara Lakhous orchestra il primo romanzo, Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, con la stessa struttura multi-alternata di Il profugo e con finalità in parte simili. Ad un «ululato» di Amedeo succede infatti il racconto/monologo di uno degli altri personaggi, a mostrare come la verità abbia sempre almeno due facce e non sia mai riducibile ad un’unica prospettiva, né tantomeno all’apparenza delle cose, spesso fallace. La seconda opera dell’autore algerino alterna invece un capitolo in cui voce narrante è l’uomo ed uno in cui è la donna, con la medesima bi-focalità di La straniera. Diverso, molto diverso, è però il tono di fondo: comico-grottesco e segnato da una scrittura leggera, istantaneamente godibile, che però nasconde il tragico dietro il riso: come la commedia all’italiana, principale modello dell’autore.11 Una focalizzazione multipla con narratore ora intrediegetico ora extradiegetico è quella di 500 temporali, di Christiana de Caldas Brito. Ogni capitolo riporta, sotto il titolo e tra parentesi, il nome del personaggio o dei personaggi di cui si narrerà, e la prima parola dell’incipit è sempre il nome del protagonista, staccato dal corpo del testo come fosse un paragrafo a sé. Si veda il primo capitolo, «Nuvole scure. (Pedro, Jussara)»: Pedro
aspettava in fila il Dois Irmãos. L’orologio digitale del largo Carioca lampeggiò il dodici marzo e, in seguito, i trentasette gradi. Erano le diciassette e trenta, ma sembrava notte.12 Il modulo è iterato all’interno del capitolo per ogni personaggio principale: Jussara
guardò dalla finestra il cielo cupo che parlava di pioggia. Ebbe paura che Pedro mancasse all’appuntamento. Allo stesso tempo, quasi desiderò che lui non venisse.13 A Jussara segue Iraci. Solo quando il narratore è intradiegetico e la voce narrante è Marlene l’attacco del capitolo è diretto: La storia della mia famiglia gira intorno alla pioggia […].14
Ancora multifocale, e corale e polifonico, è La moto di Scandenberg di Carmine Abate, in cui la voce del protagonista si alterna a quella della madre e del «noi», attraverso cui parla la comunità di Hora.
Interessante è poi la struttura di Il meccanico delle rose, dell’iraniano Hamid Ziarati. Qui il narratore è esterno, e ogni capitolo racconta la storia di un personaggio che sembra irrelato dal precedente (fatta eccezione per i primi due capitoli). Si ha l’impressione di leggere una raccolta di racconti, fino a che non si scopre, quasi al termine del libro, che tutti i vari personaggi sono strettamente collegati con ‘il meccanico delle rose’, reale e silente protagonista del testo, illuminato dagli altri per rifrazione.15 Quel che è veramente insolito e sperimentale è che c’è come una doppia focalizzazione del testo, interna ed esterna: noi non conosciamo mai i pensieri e i sentimenti del meccanico, e dunque se la focalizzazione sui vari personaggi è sempre interna, quella sul protagonista è esterna. Diverso ancora è L’amore e gli stracci del tempo, di Anilda Ibrahimi, dove narratore è l’autrice, che segue la storia dei due protagonisti fin da quando le due famiglie stringono amicizia, per arrivare poi all’innamoramento tra i due giovani e alla separazione forzata sullo sfondo del conflitto balcanico. I due si cercheranno per anni e anni, vivendo nell’attesa di un incontro che la vita passata e il tempo ridurranno a brandelli. La focalizzazione narrativa si alterna di continuo tra Ajkuna e Zatlan, in una prosa che spesso diviene intensamente lirica e che riesce a trasmettere al lettore, in maniera vivida, il senso di attesa e speranza che pervade i due giovani. In tutti questi casi la focalizzazione multipla ha come suo corollario una sorta di genere misto, ibrido, che all’interno del romanzo intarsia il racconto e/o il monologo, con interessanti risvolti sul piano della struttura. Monologhi sono infatti quelli dei personaggi di La straniera, Il profugo e Scontro di civiltà, mentre nel caso di de Caldas Brito, Abate, Ziarati si può parlare di racconti nel romanzo poiché ogni singolo capitolo ha una sua autonomia, che potenzialmente potrebbe prescindere dal capitolo precedente e successivo. Non così nel testo della Ibrahimi. Il ‘genere misto’ è, d’altronde, un altro aspetto ricorrente nella Letteratura italofona e si declina in forme molto diverse da autore ad autore: oltre all’intersezione tra romanzo e racconto/monologo sopradescritta, vi sono i ‘racconti-in-romanzo’ di Julio Monteiro Martins, ovvero raccolte di racconti che indagano un unico tema nelle sue molteplici sfaccettature e sempre da prospettive diverse. I racconti sono legati insieme da un nettissimo filo conduttore che viene a costituire il motivo dominante della raccolta. Così la morte, il vuoto e l’amore (i grandi temi che le tre opere italiane di Monteiro Martins indagano) assumono un aspetto sempre diverso di storia in storia, le accezioni di queste parole si moltiplicano, si approfondiscono, si fanno metafora di qualcos’altro, arrivano ad abbracciare il lato oscuro e magmatico che si cela dietro la facciata e acquistano un nuovo significato col mutare del protagonista, del narratore, della focalizzazione narrativa. Al termine della lettura non si sarà così letto un romanzo in cui è narrato un solo tipo di amore, ma l’Amore, in tutto il suo ampio spettro di possibilità e modi di manifestarsi; non il vuoto interiore di un personaggio, ma il Vuoto, che da personale è divenuto collettivo, metafora dei vuoti in cui ci muoviamo, più o meno consapevolmente, nelle diverse fasi della nostra vita. Le opere di Adrián Bravi si situano, invece, al bivio tra il racconto lungo e il romanzo breve: agili, compatte, da leggere quasi come si ascolta una canzone, tenui nel tono ma complesse e sfaccettate nonostante l’apparenza. Un’architettura romanzesca in un respiro breve. In Tawfik, invece, all’intarsio del monologo nel romanzo si aggiungono poi numerosi racconti ad incastro e soprattutto una commistione tra poesia e prosa, che sono entrambi tecniche derivanti dalla tradizione araba, come hanno ben messo in luce Mauceri e Comberiati. 16 Le poesie sono investite di una precisa funzione strutturale poiché marcano le numerose analessi dei protagonisti e creano una pausa ritmica che è approfondimento dello stato emotivo dei personaggi. La poesia arriva dunque dove la prosa non può giungere e inseriscono un diverso focus sui personaggi, già densamente articolati dai monologhi. È poi importante ricordare che questa ‘trasversalità’ tra i generi è una delle caratteristiche principali che Glissant attribuisce alla Letteratura del «caos-mondo» e alla «creolizzazione dell’immaginario»: È la volontà di disfare i generi […]. Credo che possiamo scrivere poesie che siano saggi, saggi che siano romanzi e romanzi che siano poesie. Voglio dire che noi cerchiamo di disfare i generi proprio perché sentiamo che i ruoli che sono stati attribuiti ai generi nella letteratura occidentale non si accordano più alla nostra ricerca, che non è più soltanto una ricerca del reale, ma che è anche una ricerca dell’immaginario, delle profondità, del non-detto, dei tabù. Dobbiamo scuoterli e renderli caotici, dobbiamo rendere caotici tutti i generi per poter esprimere quello che vogliamo esprimere.17
Le forme tradizionali non riescono più a dar voce alla complessità del reale, che è franto, sfuggente, liquido, ha perso l’illusione della compatezza e di una conoscenza epistemologica unitaria. Per rappresentare il «caos mondo», le forme artistiche dovranno allora far esplodere l’architettura centripeta e le prospettive canoniche, moltiplicando i punti di osservazione e ridisegnando il perimetro della tela in maniera sghemba, obliqua, trasversale. Questo mi sembra il senso profondo delle tecniche narrative cui ho accennato: la multifocalità smembra il punto di osservazione unico, mette in crisi il principio del narratore, del personaggio centrale, dell’autore e dell’eroe, frammenta le prospettive creando un diverso fuoco per ogni personaggio. Parallelamente il ‘genere misto’ intarsia diversi generi per approfondire i molteplici punti di vista dei singoli personaggi, e per arrivare dove il romanzo non può. Ecco allora la poesia, il monologo teatrale e il racconto nel romanzo; e i ‘racconti in romanzo’ che bombardano dall’interno il genere, stravolgendolo e ricomponendolo in maniera desueta. Le opere assumono la frammentazione del reale all’interno della propria struttura per dargli voce non solo nei contenuti, ma anche nelle forme.
1 GILLES DELEUZE, FELIX GUATTARI, Kafka per una letteratura minore, Macerata, Quodlibet, 1996.
2 Ivi, p. 33. 3 Ivi, p. 31. 4 «Un colloquio con Julio Monteiro Martins», in ROSANNA MORACE, Un mare così ampio. I racconti in romanzo di Julio Monteiro Martins, Lucca, Libertà edizioni, 2011, p. 131. 5 ANILDA IBRAHIMI, Rosso come una sposa, Torino, Einaudi, 2008; CARMINE ABATE, Il ballo tondo, Genova, Marietti 1991; seconda edizione riveduta, Roma, Fazi, 2000; Milano, Mondadori, 2005. 6 ORNELA VORPSI, Il paese dove non si muore mai, Arles, Actes Sud, 2004; Torino, Einaudi, 2005 7 VORPSI, Il paese dove non si muore mai, cit. 8 GÉRARD GENETTE, Figure III, Torino, Einaudi, 1976, p 237. 9 YOUNIS TAWFIK, La straniera, Milano, Bompiani, 1999. 10 ID., Il profugo, Milano, Bompiani, 2006. 11 Su Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, cfr. UGO FRACASSA, Storie in condominio. Gadda e Lakhous giallisti pour case, in Letture marginali e altri sconfinamenti, Napoli, Scriptaweb, 2007; DANIELE COMBERIATI, «La verità è nel fondo di un pozzo». La costruzione dell’inchiesta nei romanzi di Amara Lakhous, in Memoria in noir. Un’indagine pluridisciplinare, a cura di M. Jansen e Y. Khamal, Bruxelles, Peter Lang, 2010; ROSANNA MORACE, Scontro di civiltà in un ‘noir problematico’, in «Esperienze Letterarie», 2, 2012 (di prossima pubblicazione). 12 CHRISTIANA DE CALDAS BRITO, 500 temporali, Isernia, Cosmo Iannone, 2006. 13 Ivi, p. 17. 14 Ivi, cap. II, «Lampi (Marlene)». 15 Molti punti di contatto tra Il profugo e Salam, maman, la prima opera di Ziarati, sono state attentamente analizzate da DANIELE COMBERIATI, e dunque rimando al suo studio, Scrivere nella lingua dell’altro. La letteratura degli immigrati in Italia, Bruxelles, Peter Lang, 2010, pp. 141-44. 16 MARIA CRISTINA MAUCERI, «La straniera» di Younis Tawfik: un dialogo tra due culture, in «Studi d'Italianistica nell'Africa Australe/Italian Studies in Southern Africa», XVI, 1, 2003, pp. 8-25, ora anche on-line sul sito «Universo Tawfik».; COMBERIATI, Scrivere nella lingua, cit.,p. 113. 17 ÉDOUARD GLISSANT, Poetica del diverso, Roma, Meltemi, 2004, p. 95. Rosanna Morace, nata a Reggio Calabria nel 1980, si è laureata e addottorata presso l’Università di Pisa con una tesi su Bernardo e Toquato Tasso, vincendo il «Premio Tasso» nel 2008. Nel 2009 comincia ad interessarsi alla ‘Letteratura di migrazione’, pubblicando studi su Carmine Abate e Younis Tawfik. Dal 2010 è “giovane ricercatrice” presso l’Università di Lingue di Sassari, con una borsa della Regione Autonoma della Sardegna finalizzata alla realizzazione di un progetto dal titolo: «Scrittori migranti». E' autrice della monografia "Un mare così ampio. I racconti-in-romanzo di Julio Monteiro Martins", Lucca, LibertàEdizioni, 2011, pp. 180, di cui qui si legge una recensione. home |